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LA POLITICA è SERVIZIO!

Post n°17 pubblicato il 18 Novembre 2010 da paolo.albaneseshow

La politica è servizio, richiede grande senso di responsabilità civile e sociale, chiede di saper ascoltare, di saper guardare dentro i problemi senza nasconderli con parole insignificanti, di semplificarli nella loro realtà per decidere e agire in funzione del bene comune.

La politica è orientamento e organizzazione della vita dell’uomo e, come tale, non deve essere patrimonio di addetti ai lavori ma di tutti e tutti devono essere chiamati a partecipare ai processi decisionali. Con la politica si decide il nostro futuro.

Quando invece la politica diventa esercizio del potere per il potere, si mette al servizio di comitati di affari o si lascia condizionare da un sottobosco di interessi particolari, allora rappresenta una degenerazione insopportabile da isolare e combattere

Riportare la società in generale (e i giovani in particolare) ad avere passione politica, fiducia nelle istituzioni, a impegnarsi per una società più giusta, a misura dell’ambiente in cui vive, significa davvero essere dalla parte dei cittadini e credere nel futuro.

Dobbiamo vincere questa sfida proprio partendo da realtà locali come la nostra, superando le “tristi passioni” dell’antipolitica, dell’individualismo, dell’interesse di parte e personale.

Lavorare per il bene comune significa creare le condizioni affinché tutti possano vivere con responsabilità la propria cittadinanza.

 

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cicerone1978_m
cicerone1978_m il 12/12/10 alle 09:04 via WEB
È passata in sordina, sui quotidiani regionali, la notizia dell’arresto di Ilario Di Masi; qualche riga in cronaca per segnalare una condanna diventata definitiva a 4 anni e 4 mesi per truffa aggravata. Una notizia come tante altre in una terra come la nostra, ma che nasconde, appena grattata la superficie, una delle figure cardine di una delle pagine più nere della storia sociale, economica e politica di questo martoriato pezzetto di Calabria. Ilario Di Masi, l’uomo autoproclamatosi “commendatore”, è infatti l’artefice della nascita, e della rovinosa morte, del sogno industriale nella Locride. L’imprenditore rampante che all’epoca dello scandalo, al tramonto degli anni ottanta, veniva descritto dai media nazionali come “l’industriale di indole padana” era partito dal nulla, tirando su una realtà produttiva e commerciale in grado di competere con i colossi nazionali come Cirio e Star nel settore della trasformazione e della commercializzazione dei prodotti agro-alimentari. Quasi trecento dipendenti fissi – che raddoppiavano con gli operai stagionali assunti nei periodi di raccolta – e un giro di affari stimato (al momento della trasformazione da ditta individuale in società per azioni) di circa 25 miliardi di lire, la Jonicagrumi era, anche più della sanità impazzita della fine del XX secolo, il motore di una delle aree economicamente più depresse dell’intero sistema Paese; almeno fino allo scandalo che nel marzo del 1987 portò in galera lo stesso Di Masi e l’intero consiglio d’amministrazione della Cassa di Risparmio di Calabria e Lucania, segnando la fine amara del sogno industriale nella Locride. Un crack dai risvolti rovinosi per il territorio, che esplose quando il trio di supervisori inviati dall’allora governatore centrale di Bankitalia Carlo Azelio Ciampi, consegnò la propria relazione sui fidi folli che l’istituto bancario cosentino concedeva all’imprenditore di Caulonia. Fidi e finanziamenti senza alcuna regola, concessi a fronte di garanzie contraffatte o semplicemente inesistenti – con picchi di umorismo nero, come nel caso di un fido concesso «sull’emananda legge speciale per la Calabria» - che finirono col decapitare i vertici di Carical, segnando quello che sarebbe stato l’inizio della fine per la gloriosa e antica cassa di risparmio. Un “buco” (quello della Jonicagrumi) di oltre 47 miliardi di lire – una cifra enorme per l’epoca – che rappresentò una pietra tombale, l’ennesima, per il rilancio del comprensorio. Il primo scandalo Il 24 marzo del 1987, Ezio Arcadi sostituto Procuratore della Repubblica di Locri, firma 11 richieste di arresto, e scoppia il finimondo. Nella lista, oltre al commendatore, finiscono il direttore dello sportello Carical di Roccella, Paolino Surace (nel cui istituto erano movimentati i conti della Jonicagrumi) e tutti i vertici della banca, per uno scandalo dai risvolti nazionali che mette sotto accusa la gestione “dissennata” dell’istituto di credito nei confronti dell’impero industriale sorto all’ombra dell’antica Castelvetere. Finiscono così in prigione, con l’accusa di peculato aggravato, alcuni esponenti di primo piano della politica regionale tra cui l’allora giovane e rampante socialista – di area craxiana – Tonino Gentile, il tecnico Francesco Sapio (espressione del più volte ministro Riccardo Misasi) e Francesco Samengo (uomo molto vicino a Carmelo Pujia, autentico pezzo da novanta della Dc calabrese di quei tempi). La relazione commissionata da Arcadi all’ispettore di Bankitalia Arnoldo Ferri è impietosa e chiarisce come l’istituto di credito di Cosenza abbia agito in modo folle nei confronti di un’azienda enorme costruita però su fondamenta d’argilla e che finirà per implodere sotto il peso di una finanza creativa che non ha nulla da invidiare ai successivi scandali che porteranno ai fallimenti di altri colossi del settore agro-alimentare. Anticipazioni bancarie per approviggionamento di merci utilizzate per altri scopi, fidi miliardari accordati su garanzie di cessioni crediti per importi tre volte inferiori, sconfinamenti (nell’ordine di centinaia di milioni di lire) continui sui conti correnti dell’azienda, e rientro di debiti nei confronti dell’istituto bancario grazie a nuovi finanziamenti emessi dalla stessa Carical: nelle contestazioni della procura locrese c’è un autentico campionario degli orrori della finanza. Uno scandalo che portò al commissariamento della banca ma che, sotto il profilo processuale, finì con la richiesta di archiviazione presentata dallo stesso sostituto procuratore a causa di una sentenza della Corte di Cassazione che una manciata di mesi dopo gli arresti aveva depenalizzato (incredibile ma vero) il reato di peculato nei confronti dei banchieri pubblici. Il processo per bancarotta Ma qualcuno deve pur pagare per il collasso della Jonicagrumi, e così, vista l’impossibilità di mettere alla sbarra i vertici politici della Carical, nel 1991 inizia a Locri (nei confronti di 58 tra imprenditori, amministratori, revisori contabili e semplici lavoratori) il procedimento per il crack del colosso cauloniese, dichiarato fallito dallo stesso tribunale locrese il 18 febbraio del 1988. Un procedimento mastodontico su cui, tra rinvii, ricorsi in cassazione, tre nuovi dibattimenti davanti a tre differenti Corti d’Appello (quella di Reggio prima, quella di Messina poi e infine quella di Catania) verrà calato il sipario solo nel novembre del 2007. Un procedimento che ha visto la quasi totalità degli imputati – visto l’elefantiaco iter processuale – scagionati per avvenuta prescrizione e che si è concluso con la condanna finale di Di Masi a 5 anni di reclusione; un procedimento che, nonostante i quasi venti anni trascorsi, vede ancora il comune di Caulonia (dichiarato allora curatore fallimentare dell’azienda) impelagato in una causa amministrativa che appare interminabile legata alla svendita (nel 1993) degli impianti industriali e dei macchinari appartenuti alla Jonicagrumi. «È emerso – si legge nel dispositivo di sentenza – attraverso il materiale documentale e, in parte consistente, anche attraverso gli esami degli stessi imputati, la conferma in modo chiaro e inconfutabile dell’artificiosa predisposizione di documentazione diretta a dimostrare l’effettuazione di attività finalizzate alla percezione di indebiti aiuti comunitari previsti per la trasformazione di prodotti agricoli». In sostanza, quella che era iniziata come realtà industriale in grado di assicurare un futuro decente ad un territorio in ginocchio (siamo infatti nel periodo d’oro dei sequestri di persona, quando l’Italia intera guardava alla Calabria come a un covo di ‘ndraghetisti), si era trasformata quasi subito, in una scatola vuota tenuta insieme artificiosamente, solo per spillare finanziamenti comunitari e fidi bancari da istituti compiacenti. Con tanti saluti alle speranze dei lavoratori. Un’azienda molto famosa nel bel paese (indimenticati gli spot dei pelati cauloniesi che andavano in onda quasi tutte le sere subito prima del tg1) che si inventava commesse inesistenti per ottenere altri soldi, e che aveva escogitato una serie di machiavellici, per quanto “casarecci”, sistemi per “sistemare” la contabilità. «Nei silos – dice un teste durante il dibattimento – venivano riversate le arance che arrivavano da commercianti privati o da gente che non faceva parte di cooperative. La mattina presto, e in alcuni casi anche durante il giorno, i camion caricavano dai silos, veniva loro consegnata una bolla di accompagnamento per i beni viaggianti, e poi, gli stessi camion, con la stessa merce, venivano parcheggiati in attesa di essere scaricati nuovamente, sempre all’interno del recinto della Jonicagrumi». E ancora vendite al minuto – quelle cioè riferite ai turisti che acquistavano la merce prodotta dall’industria, direttamente ai banconi di Vasì – che raggiungevano cifre esorbitanti e irragionevoli (6,2 miliardi rendicontati solo nel 1984) che andavano addirittura oltre le disponibilità di magazzino dichiarate; pagamenti cartolari, anche tramite assegni bancari, che tornavano subito nella disponibilità di Di Masi; e poi la Dimabox (la società creata dal commendatore per la produzione delle confezioni metalliche in cui inscatolare il prodotto Jonicagrumi) che il 5 ottobre del 1984 comunica di non essere entrata in produzione ma certifica, miracoli dell’imprenditoria, di avere venduto barattoli per 8 miliardi tra l’agosto e l’ottobre dello stesso anno. Tutto questo sotto gli occhi di chi si sforzò in tutti i modi pur di non vedere: politici, revisori dei conti, sindacati, amministratori e gente comune. I risvolti sui lavoratori Ma il crack della Jonicagrumi, non ebbe solo risvolti penali sugli amministratori dell’azienda. Il crollo del colosso dell’agro-alimentare infatti rappresentò, per le centinaia di lavoratori che avevano sperato in un futuro migliore, la fine della tranquillità economica. Decine di operai persero il posto di lavoro, altri finirono in cassa integrazione (alcuni di essi sono ancora incatenati al precariato dopo il loro assorbimento tra le file dei precari comunali), tutti, o quasi, rimasero vittime del sogno truffaldino di un’azienda nata per morire, incapace cioè di reggere agli squilibri del mercato, ancor prima di diventare un pozzo senza fondo di finanziamenti pubblici. E così, l’economia parallela sorta all’ombra di Vasì, semplicemente si frantumò. Decine furono le auto comprate a rate e restituite ai concessionari per l’impossibilità di far fronte ai pagamenti, così come numerosi furono i casi di famiglie incapaci di tenere il passo con i ratei per i mutui sulla casa, per un sogno di stabilità economico-sociale, naufragato sul mare di Caulonia, reso allora rosso dagli scarichi industriali di una società fantasma che inscatolava prodotti che nessuno voleva.Vincenzo Imperitura
 
gazzettino2012
gazzettino2012 il 07/02/12 alle 08:52 via WEB
Caro paolo,vedo che Ti sei rimesso a rifare politica all'interno di questa scarsa società che Ti e Ci circonda.E'sempre positivo che giovani uomini responsabili,stanchi dell'attuale situazione economico-sociale nazionale ed in particolare locale,diano segnali di movimento perche altri recepiscono e contestualmente si muovono.Ho letto e riletto l'articolo di V.Imperitura relativo alla storia della Jonica Agrumi di cui il titolare era LARRIU Dimasi,detto il "COMMENDATORE"per autodefinizione e acclamazione del solito popolo BUE cauloniese.
 
gazzettino2012
gazzettino2012 il 07/02/12 alle 08:57 via WEB
Tra gli arrestati c'era il vostro sindachedu AMMENDOLIA,quale revisore dei conti della stessa Jonica Agrumi.Pensa che il comune che era in loro mani ,come tutt'ora,ha riattivato la consegna degli impianti svalutandola e rivendendola allo stesso commendatore a quattro soldi...E ancora Caulonia parla di questi esseri abominevoli che ritentano la scalata.POVERA CAULONIA.
 
UCIUCCIUDUGADU
UCIUCCIUDUGADU il 10/02/12 alle 12:25 via WEB
questa gente non mollerà mai il potere a caulonia fino alla fine
 
 
paolo.albaneseshow
paolo.albaneseshow il 10/02/12 alle 12:46 via WEB
si sicuramente la politica ha fallito insieme ai suoi personaggi principali,ma oggi le cose stanno viaggiando in direzioni obbligatoriamente contrastanti. Una miriade di ragazzi su un gruppo di facebook stanno evolvendo la coscienza non più verso i soliti chinamenti di testa, stanno proponendo, progettando,se vogliamo essere più chiari,si sono resi conto della gravità della situazione cauloniese,della noia, della mancanza di servizi essenziali che un territorio vissuto da gente civile deve assolutamente pretendere a prescindere dalle posizioni elettoralistiche, che da tanto tempo grazie alla politica familistica e clientelare mantengono invidie e divisioni sociali in un popolo grande quale è caulonia! mi dispiace di non essere presente ma sto lavorando come sempre ho fatto e con il mio lavoro spero di dare un contribbuto al miglioramento di caulonia
 
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