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Consumo ergo sum

Post n°29 pubblicato il 19 Settembre 2008 da quagliasebastiano


La Grecia antica orbitava attorno alle idee, il Medioevo attorno alla fede, il periodo moderno attorno alle possibilità – che oggi sappiamo sopravvalutate – della ragione. Oggi il paradigma è il mercato. “Consumo, quindi esisto”. Si vive per aumentare il guadagno, per la crescita.
Il denaro si è trasformato in qualcosa di più di un simbolo del valore della merce o di un mediatore nelle relazioni di baratto. Avendo acquisito caratteristiche di feticcio, come aveva notato un certo Marx, il denaro è il nuovo idolo venerato – custodito solennemente nel sancta sanctorum del sistema bancario – in onore del quale vengono sacrificati valori come l’etica, il rispetto delle leggi e perfino le vite umane.
Chi lo possiede si sente innalzato al paradiso terrestre. Chi deve soffrire per ottenerlo si sente in purgatorio. E chi è senza, si sente all’inferno, emarginato dalla povertà e condannato al ruolo di quelli che soffrono, come Sisifo, sotto il peso schiacciante dei debiti.
Non è facile per la famiglia, la scuola e la religione proporre ai bambini e ai giovani i valori etici, in una società che venera il denaro e chi lo ostenta. Le istituzioni che lo amministrano – banche e borse valori – sono cattedrali stilizzate, le cui cappelle sono disseminate in tutta la città tramite una rete di agenzie. In esse non si può entrare senza mostrare la stessa compunzione del penitente diretto al santuario nella speranza di benedizioni e guarigioni.
La porta è stretta, come quella di ogni sentiero che conduce alla salvezza e alla ricchezza. Onnipresente, l’occhio elettronico della divinità monetaria vigila ognuno dei nostri passi e dei nostri gesti. Una volta dentro, bisogna sopportare la fila con la devozione di chi salderà i propri debiti, ricompensato dal sollievo di poter purgare i propri peccati o di fare offerte a Mammona, aspettando d’essere miracolato con crediti e prestiti. E il rituale, naturalmente, esige di stare al passo con le decime e i tassi delle banche.
I mezzi di comunicazione esaltano chi viene benedetto dalla fortuna. E emarginano la massa anonima condannata alla povertà. Ciò che il denaro procura non è soltanto il magico potere di ammassare beni, comfort, sicurezza e prestigio. Al di sopra di tutto c’è il potere tout court, l’essere in grado di imporre la propria volontà agli altri. Gente come Bill Gates possiede milioni di dollari che non potrebbe spendere nemmeno se vivesse svariate reincarnazioni, e non ammucchia una simile fortuna per pura e semplice avarizia, ma per diventare più potente.
Oggi la ricchezza sostituisce il sangue blu. Un tempo la nobiltà occupava il vertice della piramide sociale. Essere re era questione di destino dinastico: nobili si nasceva. Oggi è il denaro che innalza la persona al trono del potere e, passando di generazione in generazione, assicura un nobile lignaggio. Basta un’oscillazione della Borsa per detronizzare re e incoronare plebei. Qualunque arrivista privo di carattere può brillare in società dal momento in cui possiede denaro. “Il denaro è il nervo vitale in una Repubblica e coloro che amano il denaro sono le basi della Repubblica stessa” diceva Poggio Bracciolini, già nel 1487 “Sull’avarizia e sul lusso”.
Questo paradigma del mercato, associato all’appropriazione privata della ricchezza, fa sì che si parli tanto di affari. Si dimentica che il vocabolo [in spagnolo “negozio”, affare] presenta il suffisso “ocio” “ozio”, in spagnolo], come a indicare che non è salutare occuparsi tanto degli affari senza dedicare tempo alla convivenza familiare, al riposo, al divertimento, alle amicizie e al perfezionamento della vita spirituale.
Da saggi, all’inizio della giornata, i nostri nonni consultavano la Bibbia. I loro figli, il bollettino meteorologico. Oggi si consultano gli indici del mercato finanziario. La salute personale sembra dipendere più dalle operazioni redditizie che dalla disposizione fisica, mentale e spirituale. E la relazione con il denaro delimita le relazioni sociali: chi lo possiede si circonda dei suoi simili e si tiene distante da chi l’ha perduto o non l’ha mai avuto. Dichiarare fallimento comporta la perdita del prestigio e delle amicizie. Avere debiti, agli occhi degli altri, è come aver contratto una malattia contagiosa.
Come affermava il professor Milton Santos, non si prospetta un bel futuro per una società che baratta i beni infiniti con quelli finiti. Come insegnare a casa, alle nuove generazioni, valori che non siano quelli di cui fanno sfoggio gli operatori di Borsa?

Frei Betto [28 Novembre 2006]

Nella foto Frei Betto. Fotografia di Patrizia Ercole, São Paulo 8 Agosto 2008.

 
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