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Alberologia.........

Dall'albero al Bosco. Selviturismo.L'ultima evoluzione del turismo naturalistico; vera ed unica proposta di turismo eco-compatibile

 

 

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Hansjörg Küster * "Salvate gli alberi Sono lo specchio del nostro io"

Post n°30 pubblicato il 10 Giugno 2009 da grifo58

 

La Natura "naturale" è solo un'illusione. E' nei boschi che si svela la nostra storia

 

 

Quanto è naturale la natura? Se naturale significa, come si pensa in modo frettoloso, estraneo all'attività umana, allora la natura non è naturale. È la tesi controcorrente di Hansjörg Küster, che insegna Ecologia botanica all'Università di Hannover, in Germania, nel saggio «Storia dei boschi. Dalle origini a oggi».
L'animale umano è un essere come qualunque altro e in parte si adatta all’ambiente e in parte lo modifica. Il pensiero ambientalista sembra dimenticarlo: in questo senso si parla, in biologia, della co-evoluzione di specie vivente e ambiente. Un caso esemplare è proprio quello dei boschi, in particolare quelli europei, che - dimostra Küster - non avrebbero l'aspetto che hanno, se non fossero stati plasmati da una plurimillenaria azione umana.

Quando siamo in un bosco ci piace la sensazione di essere avvolti da una realtà incontaminata. Al contrario, lei spiega come la Natura sia quasi sempre «di seconda mano». Perché?
«Pensiamo che la natura - e così i boschi - sia un'entità stabile e geograficamente definita. In realtà, dal punto di vista di uno scienziato, non è una “cosa”. E’ un principio, che cambia in continuazione le strutture che vorremmo vedere come immutabili».

In che senso i boschi europei sono tanto entità naturali quanto antropiche?
«Da millenni il paesaggio europeo è stato influenzato dall'attività umana. D’altra parte, il principio naturale è sempre presente, non solo nei boschi, ma anche nelle città e perfino nelle nostre case. Questo principio porta all'instabilità di tutto ciò che gli umani costruiscono, come dimostra il terremoto all'Aquila: le piante crescono, i boschi cambiano, animali umani e non umani nascono e passano. Anche le rocce vengono distrutte e nuovi strati di sedimenti si depositano. Questo si osserva non solo sui fondali marini, ma anche sui nostri tavoli, su cui si deposita la polvere. L'animale umano è parte della natura, perché è coinvolto nel cambiamento. Tuttavia non penso che sia d'aiuto sostenere che le azioni umane portano alla cultura, mentre gli altri processi rientrino nella natura. È complicato stabilire dove la cultura finisca e la natura cominci. Così possiamo sempre considerare i due aspetti: l'idea umana (e culturale) di piantare un bosco e i processi naturali di crescita».

Lei cita l’esempio illuminante dei boschi «naturali» della Germania di oggi.
«In Germania, già nella prima modernità, si capì che la loro scomparsa era stata una delle cause della fine delle culture classiche, come la Grecia e Roma. E, d’altra parte, nel Medioevo il legno era diventato un bene indispensabile e un valore (lo si vede in molte monete e ancora oggi in quella tedesca da un centesimo è raffigurata una foglia di quercia). Così dal XVIII secolo diventò necessario convincere la popolazione che i boschi dovevano essere protetti. Lo stesso principio della sostenibilità fu un’invenzione tedesca: l’idea è che in un bosco non può essere abbattuta una quantità di alberi superiore a quella che ricresce. Non fu facile convincere la gente e, quindi, si ricorse all’autorità di Tacito, secondo il quale le foreste rappresentavano una parte importante del mito fondativo della nazione germanica. Si aggiunse poi un ulteriore argomento: l’avanzata delle legioni romane era stata impedita dalle foreste e, quindi, se ce ne fossero state ancora, avrebbero impedito anche l’invasione delle armate napoleoniche, perché i francesi, come i romani, non erano abituati all’ambiente dei boschi».

Lei cita Tacito e la descrizione della Germania come «silvis horrida», una terra piena di foreste impenetrabili. Esistono ancora foreste così?
«Mi chiederei piuttosto: sulla Terra esistono boschi che non siano stati influenzati dagli esseri umani? Posso pensare che foreste simili esistano ancora nella fascia tropicale o nelle regioni boreali. Ma è difficile dire che non siano state toccate: si possono trovare particelle chimiche, cioè tracce dell'attività umana, un po’ dovunque. Allo stesso tempo si può sostenere che ogni bosco è naturale, perché gli alberi continuano a cambiare secondo ritmi naturali».

Quando decidiamo di lasciare un bosco al suo destino, possiamo sperare che torni alla condizione originaria? E dobbiamo augurarci che accada?
«Un bosco non tornerà mai all’aspetto che aveva prima dell'intervento umano. La composizione delle specie, il terreno, i minerali, la falda acquifera, e così via, sono cambiati in modo definitivo. Ma neanche un bosco naturale torna mai allo “stato” che aveva nel passato. Non avremo mai l’occasione di vedere “ancora” le foreste del Terziario o di 100 anni fa. Per questo non è una buona idea restaurare una “natura” del genere: si distruggerebbe la stessa biodiversità».

E la conservazione presenta molti paradossi: in alcuni casi anche i cerbiatti rappresentano un pericolo per i boschi! Quale natura, allora, si deve salvaguardare?
«Sarebbe meglio salvaguardare il paesaggio. E’ un modo di agire migliore piuttosto che stabilire che c’è una “natura assoluta” da proteggere. Pensare al paesaggio come a un’entità pubblica è un’azione democratica, mentre la creazione della “natura” è una forma di tirannia».

È vero che la tradizione dell’albero di Natale è un effetto delle politiche agronomiche del XIX secolo?
«In parte sì. L'albero di Natale è una tradizione antica. Ma il crescere della popolazione nel XIX secolo creò un mercato per un numero maggiore di alberi sempreverdi. Divenne così necessario “produrli”. Se nei boschi gestiti dall’uomo è opportuno fare opera di pulizia, favorendo quindi la crescita di quelli che restano, fu possibile vendere proprio i piccoli alberi come simboli natalizi. E’ significativo che il Babbo Natale tedesco viva nel bosco, mentre in Inghilterra è un personaggio esotico che arriva dalle foreste del Nord su una slitta».

Se l’idea di una natura priva della presenza umana è un mito, non è un’ipocrisia la speranza di conciliare la conservazione delle foreste tropicali con lo sviluppo economico?

«Possiamo proteggere le foreste pluviali tropicali, se decidiamo di farlo. È importante proteggerle non tanto perché sono la “natura”, ma perché sono paesaggi ricchi di una straordinaria biodiversità. E allora possiamo anche pensare a una loro migliore gestione, compatibile con le esigenze delle popolazioni indigene. È della massima importanza imparare da loro come “usarle”, inventando nuovi modi che preservino le specie importanti per noi e non per la natura stessa».

* Chi è
Hansjörg Küster Botanico
RUOLO: E’ PROFESSORE DI ECOLOGIA BOTANICA ALL'UNIVERSITA’ DI HANNOVER IN GERMANIA
IL LIBRO: «STORIA DEI BOSCHI. DALLE ORIGINI A OGGI» - BOLLATI BORINGHIERI
IL SITO:
HTTP://WWW.GEOBOTANIK. UNI-HANNOVER.DE/CV_KUESTER.HTM

 
 
 
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