Alberologia.........

Bruno Quaranta FORSE discende per li rami surreali di Alberto Savinio, Giuliano Scabia, in particolare Tragedia dell'infanzia, la' dove ci si accorge di aver lasciato un'opera in forma di tante FORESTE e di tanti giardini, quindi «che importa morire? Ormai noi abbiamo il sapore in bocca dell'immortalita'». Che altro e' Le FORESTE sorelle, un rosario di FORESTE - la Foresta di Tepomajnarte, la Foresta senza ombre, la Foresta dove Dio finalmente si svela... - se non un viaggio verso l'immortalita', di parola in parola? Ogni parola un petalo di bellezza, la bellezza che salvera' il mondo, no? , una parola su tutte: amore. «Penso penso e finalmente dico: / all'amore faro' - sempre in amore / e in oca - e baci e baci / ricevendo daro'. / E beatitudine avro'». Eccoci all'epilogo delle FORESTE, il seguito di Nane Oca, una visione degli Anni Novanta, Nane, Giovanni, figlio di un liutaio e di una fata, concepito come usa concepire, poeticamente, va da se', nell'officina di Giuliano Scabia («Si abbracciarono e si diedero i baci. La rosa pulsava dissetando l'usignolo amato che - per la dolcezza ricevuta - verso' nel calice tremante le gocce del beato succo»), Nane alla ricerca del momon, del bene, come suggeritore il cuore di biblica memoria («Va' dove va il tuo cuore»). Il bene, l'immortalita' che e' il bene, sfolgora non meno intensamente nelle FORESTE, il felice ritorno di Nane Oca. Le Muse non hanno abbandonato l'autore (suoi anche i disegni, folti, pregni, come i sogni, certi sogni), ballando e ballando lo hanno ispirato e cosi' sorretto nell'ariostesca, ovvero favolosa impresa: rivelare «come immortali diventar possibile fosse non solo i personaggi ma anche le persone che ascoltano o leggono il libro». Acrobata, giocoliere, clown, Giuliano Scabia. Di lungo corso. Testimone, artefice, alfiere di un teatro-verita', che ha osato nominare anime perse o salve, salve perche' perse, inanellare canovacci in partibus infidelium, sciacquarsi - riecco Savinio - nell'infanzia, nella drammatica innocenza che ogni uomo e', resta, nonostante lo scorrere delle stagioni. Dai quartieri popolari (ghetto) di Torino al Sud in bilico fra il Diavolo e l'Arcangelo, dalle veglie d'antan (quei dicitori dell'Orlando Furioso, della Gerusalemme liberata, della Commedia...) ai folli di Basaglia. Sempre riandando alle radici, alle fonti, Padova e il Padovano, il Pavante, il piccolo mondo antico sottratto al destino volgare «spremendo» il vocobolario. «Tutto cio' che si dice e' fata - sa Giuliano Scabia - perche' viene da uno dei verbi piu' belli che ci siano in latino, for, fari, fatus suum, fari, anche il fato e' una fata». E' suor Gabriella la «prima donna» delle FORESTE. Rapita da chissa' chi, o semplicemente sparita, cercata e scovata indizio dopo indizio, «tutti insieme alla fine formeranno una rosa, disegnata secondo la forma inventata dal poeta Pascasio di San Giovanni». In veste di detective, «uomini e bestie, popolo del Magico Mondo e del Mondo Questo», lassu' o chissa' dove, in ascolto, l'orecchio di Dio, «curioso in ogni parte, vasto, tranquillo - e beato come una vela di nave stellare». Riapparira' la sorella, tornera' a riveder le stelle dopo la discesa nel sottosuolo (dov'e' «la parte oscura e invisibile di Dio»: le FORESTE e' fra l'altro un trattatello di teologia fantastica), fiera di aver conquistato «l'elisir degli elisir», bevuto il quale si diventa immortali. Ciascuno a modo suo. Come il capitano Adcock - e' una girandola di invenzioni l'alambicco di mastro Scabia - che «segnava goal di testa che erano veri e propri trattati di cavalleria».