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Dall'albero al Bosco. Selviturismo.L'ultima evoluzione del turismo naturalistico; vera ed unica proposta di turismo eco-compatibile

 

 

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PASSEGGIARE nel Bosco:una ginnastica per l'anima o per la follia?

Post n°44 pubblicato il 29 Maggio 2010 da grifo58

 

 

"UN mattino, preso dal desiderio di fare una passeggiata, mi misi il cappello in testa, lasciai il mio scrittoio e stanza degli spiriti, e discesi in fretta le scale, diretto in strada. Per quanto mi riesca di ricordare, appena fui sulla strada soleggiata mi sentii in una disposizione d'animo avventurosa e romantica, che mi rese felice" . Inizia cosi' uno dei testi piu' famosi di Robert Walser: La passeggiata (Adelphi, 1976). Da Eichendorff a Mahler, dal viandante di Goethe al girovagare malinconico di Rilke, il vagabondaggio e' stato un'immagine ricorrente della letteratura e non solo di questa. Anche la filosofia se n'e' interessata, cercando di cogliere lo spirito segreto che anima colui che si mette per via abbandonandosi gioiosamente alle impressioni esterne. Cosi' e' appena uscito da Sellerio un breve saggio di Karl Gottleb Schelle (filosofo e amico di Kant) sull'Arte di andare a passeggio. Il breve trattatello e' un'istruzione giocosa, con divagazioni e colti riferimenti, su come ben condursi e trarre profitto fisico e spirituale dalle passeggiate, fragile esercizio etico ed estetico. Un esercizio molto praticato nella letteratura moderna: chi non ricorda le interminabili passeggiate filosofeggianti di Naphta e Settembrini nella Montagna incantata? O le lunghe camminate di Freud, che insieme a collaboratori ed allievi fissava, passeggiando in un dolce paesaggio alpino, i lineamenti della psicoanalisi? Lo stesso Walser, come si sa, era un accanito camminatore: lo ha testimoniato, in Passeggiate con Robert Walser (Adelphi, 1981), il critico e amico Carl Seelig, curatore delle opere dello scrittore svizzero e suo compagno di scarpinate nell'Appenzell. Ma cos'e' la passeggiata? O meglio: se e' un'avventura dello spirito, una coloritura particolare dell'umore e una speciale disposizione intellettuale - come tutti i suoi teorici vogliono far credere - come si puo' descriverla? Innanzitutto la passeggiata - se si cerca nella letteratura - non e' necessariamente espressione di uno stato d'animo spensierato (ma e' veramente tale poi?) come nel caso di Walser, Goethe e Schelle. Certe "passeggiate" di Rilke evocano infatti scenari ben diversi: "Chi non ha casa adesso, non l'avra' / chi e' solo a lungo solo dovra' stare / leggere nelle veglie lunghi fogli scrivere / e incerto sulle vie tornare dove nell'aria fluttuano le foglie". La passeggiata puo' essere desolata, triste e misantropica come quella di Petrarca: "Solo e pensoso i piu' deserti campi / vo misurando a passi tardi e lenti / e gli occhi porto per fuggire intenti / ove vestigio uman l'arena stampi". Siamo, come si vede, agli antipodi di Walser, che si dispone a lieti incontri e a ironiche scoperte: "Lei non credera' assolutamente possibile che in una placida passeggiata del genere io mi imbatta in giganti, abbia l'onore di incontrare professori, visiti di passata librai e funzionari di banca, discorra con cantanti e con attrici, pranzi con signore intellettuali, vada per boschi, imposti lettere pericolose e mi azzuffi fieramente con sarti perfidi e ironici. Eppure cio' puo' avvenire, e io credo che in realta' sia avvenuto". E' durante una fatidica passeggiata che Don Abbondio incontra i Bravi e Dante smarrisce la "diritta via". Da Amsterdam, luogo del suo prescelto esilio, Cartesio cosi' scrive al suo amico Guez de Balzac: "Vado a passeggio tutti i giorni nella confusione di una gran folla, con quella liberta' e agio che Voi avreste lungo i Vostri viali, perche' io considero gli esseri umani che qui vedo come gli alberi delle Vostre FORESTE, o gli animali che vi passano. Il rumore stesso ch'essi producono disturba le mie meditazioni quanto farebbe il gorgoglio di un ruscello". Meditazioni: forte archetipo letterario, la passeggiata e' anche consuetudine di filosofi e pensatori, e s'identifica con l'immagine del saggio che si allontana dal commercio con il mondo. Non c'e' da stupirsi dunque se un filosofo meticoloso e ottimista come Schelle decide di mettere a punto un vero e proprio "prontuario" per un retto svolgimento dell'arte del passeggio. Una sorta di vademecum, di istruzioni per l'uso. Attenzione, pero': sbaglierebbe chi prendesse la passeggiata per uno strumento di lavoro dell'intellettuale: "Le passeggiate - scrive Schelle - non sono fatte per condurre a termine analisi fisiche o metafisiche, per risolvere problemi matematici, per trovare il senso della Storia, in breve non sono fatte per meditare. Un acuto e raffinato osservare gli esseri umani durante la passeggiata sarebbe di per se' contrario al suo scopo, quanto un ansioso scrutare la natura. Nell'atto di passeggiare l'attenzione dello spirito non deve essere tesa, piu' che seria dovrebbe essere come giocosa. Dovrebbe scivolare lieve sulle cose". La passeggiata insomma - come insegna Walser - e' un'arte leggerissima, la cui riuscita e' sempre in dubbio. Un'arte difficile, forse improbabile, minacciata com'e' da eventi esterni che ne possono turbare il precario equilibrio. Per questo Schelle raccomanda calorosamente ai suoi adepti di "evitare i pericoli di un disordine, con scrupolo preparare i dettagli". Particolare inquietante: Robert Walser, Karl Gottleb Schelle e Guy de Maupassant - tre teorici della passeggiata lieve e giocosa - terminano la loro vita in manicomio, vittime di una profonda malinconia. Come se contemplazione e malinconia, malgrado l'apparente gioiosita' della "passeggiata", si stringessero sotterraneamente la mano.

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