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A Trieste si parla della strage di Vergarolla

Post n°18 pubblicato il 26 Marzo 2015 da senzaconfini2015
 

A Trieste si parla di Vergarolla

di Carmen Palazzolo

Sabato, 21 marzo 2015, alla libreria Minerva di Trieste si è parlato, su proposta e cura del Circolo di Cultura Istro-Veneta “Histria”, di Vergarolla. L’argomento è stato trattato dallo storico Fulvio Salimbeni, docente di Storia contemporanea all’Università di Udine per l’inquadramento storico generale e, per la storia specifica dell’evento, dallo storico Paolo Radivo, discendente di polesi nonché direttore del periodico del Libero Comune di Pola in Esilio, da Livio Dorigo, esule da Pola e Presidente del Circolo Istria come testimone.

Ha coordinato l’incontro il politologo Biagio Mannino, che ha guidato con fermezza l’analisi del fatto attraverso domande mirate ai tre succitati conoscitori.

Dopo aver salutato il numeroso pubblico presente, Mannino apre l’incontro con una sintetica presentazione dell'evento.

È il 18 agosto 1946, un’afosa domenica estiva e le famiglie, specie mamme con bambini, vanno al mare sulla spiaggia di Vergarolla. L’ attrazione quel giorno è aumentata dal fatto che alla società nautica “Pietas Julia”, la cui sede si affaccia sulla stessa spiaggia, si disputa la coppa Scarioni, manifestazione molto pubblicizzata in città e presentata dal periodico ”L’Arena di Pola” come una manifestazione d’italianità. Tutto è tranquillo quando, alle 14.15, uno scoppio di terribile violenza sconvolge il posto provocando la morte di un centinaio circa di persone, per la gran parte bambini, e numerosi feriti. Era scoppiato, come si accertò immediatamente, il materiale esplosivo accatastato sulla spiaggia: 15/20 bombe antisommergibile di produzione tedesca, 3 testate di siluro, 4 cariche di tritolo e 5 fumogeni.

70 anni dopo, sull’evento non è stata ancora fatta una chiarezza completa ma si comincia finalmente a parlarne anche con qualche testimone del fatto. È lo scopo di quest’incontro, che vuol essere non di contrapposizione ma di confronto per conoscere e far conoscere perché, per diventare europei, i vari Stati dell’Unione devono fare i conti con la propria storia.

La prima domanda di Mannino è rivolta al prof. Salimbeni e riguarda l’inquadramento storico generale dell’evento.

“In Italia - precisa Salimbeni - si erano appena svolte elezioni importantissime, sia per la scelta della questione istituzionale, cioè se il Paese doveva rimanere una monarchia o diventare una repubblica, sia perché furono le prime elezioni a suffragio universale e non per censo e in cui votarono anche le donne. Come sappiamo, vinse la repubblica. Il clima che si viveva in quel periodo in Italia era di una certa serenità al contrario di quel che accadeva al confine orientale, dove Trieste e Pola erano amministrate dal Governo Militare Alleato, la prima da quello americano e la seconda da quello inglese, mentre tutto il resto del territorio appartenente all’Italia dopo il 1918/20: penisola istriana, isole del Quarnero, Fiume, Zara e parte della Dalmazia era amministrato dalla Jugoslavia. Particolarmente incerta fra il passaggio all’Italia e quello alla Jugoslavia era la città di Pola. Sul territorio gravava pure il peso della minoranza slava, che andava risolto perché non costituisse un pretesto per nuovi conflitti. Buona parte del XX secolo fu infatti funestata dalle conseguenze degli esodi forzati di intere popolazione, causati dalla concezione di uno Stato come nazione, cioè dalla nazionalità omogena.

La parola viene poi data a Dorigo, al tempo della strage di Vergarolla studente del liceo classico di Pola, che al momento dello scoppio stava avviandosi coi familiari, in barca, verso la spiaggia per assistere alle gare sportive, organizzate dalla Pietas Julia, di cui la famiglia era socia essendo la madre del Dorigo una canottiera della società. “Si vide prima – racconta Dorigo – un grande lampo cui seguì un boato e un’onda d’urto con caduta di sassolini. Lasciata la barca – prosegue Dorigo – io ritornai a casa e, presa la bicicletta, mi diressi verso  il luogo dell’incidente. Lungo la strada incontrai i mezzi di soccorsi, che si erano subito attivati. Direttamente o indirettamente tutta la città fu colpita dall’evento e visse per giorni in un’atmosfera di sofferenza e attonito stupore. Si può dire che, con quello scoppio, Pola ha perso l’anima mentre in Italia non si sapeva niente e non se ne sa niente tuttora come non si conosce il disastro minerario di Arsia. Non ne sanno nulla neppure gli attuali residenti croati. Tutti hanno voluto dimenticare le loro responsabilità.  Il giorno dopo l’evento il direttore del quotidiano L’Arena di Pola, Guido Miglia, poneva la domanda: ‘Di chi è la colpa?’ e rispondeva: ‘La colpa è della guerra’. Come esule e presidente del Circolo Istria mi sono impegnato – continua Dorigo - a ricordare e far conoscere questo fatto. Il primo importante passo su questa strada del ricordo della strage di Vergarolla è stata la collocazione, nel 50° anniversario dell’evento, di un cippo nello spazio a lato del duomo di Pola e il secondo una ricerca storica su di essa e la pubblicazione dei suoi risultati affidate al ricercatore Gaetano Dato. Studio che è stato effettuato, scritto, pubblicato (Vergarolla 18 agosto 1946. Gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e guerra fredda, LEG edizioni 2014) e presentato per la prima volta a Roma nell’aula “Aldo Moro” del palazzo Montecitorio. In quell’occasione i rappresentanti del Governo Giulia Guagnini ed Ettore Rosato hanno promesso di attivarsi per proporre una ricerca sull’evento”. 

A Paolo Radivo viene infine chiesto di fare il punto delle attuali conoscenze sull’argomento.

Radivo, con la cura e la precisione che gli sono proprie, racconta come tuttora ci siano molte incertezze intorno a questo evento a cominciare dal numero dei feriti e dei morti; questi ultimi in particolare furono sicuramente più numerosi dei 65 accertati sia perché i corpi di molte vittime furono irriconoscibili sia perché in quel periodo a Pola c’erano oltre ai residenti numerosi profughi dall’interno dell’Istria occupata dalla Jugoslavia o sfollati a causa dei recenti bombardamenti, che non erano registrati da nessuna parte. Fra le considerazioni da fare c’è che tutti i feriti e i morti accertati erano italiani salvo 4 militari inglesi; ai funerali partecipò tutta Pola, filoslavi compresi; una certa incuria da parte del Governo militare alleato certamente ci fu perché quel materiale esplosivo, anche se dichiarato innocuo perché le bombe furono disinnescate, non fu in alcun modo isolato. A questo proposito sorsero subito delle polemiche per cui il materiale bellico ancora rimasto fu prima possibile smaltito anziché consegnarlo alla Jugoslavia. Alle famiglie delle vittime e dei feriti fu erogato tramite l’E.C.A. (Ente Comunale di Assistenza) un “sussidio straordinario” per i funerali, le cure mediche, i vestiti e gli effetti personali perduti durante il disastro come se si fosse trattato di una calamità naturale, che non implicasse minimamente la responsabilità del Governo Militare Alleato, che ribadì subito fortemente la propria estraneità ai fatti.

Quel che apparve subito evidente è che non si trattò di un incidente ma di strage intenzionale, di  cui tuttora non si conoscono con certezza i responsabili e i mandanti. Dei testimoni asserirono di aver udito prima dello scoppio uno o più spari, altri dissero  di aver visto aggirarsi nei pressi della spiaggia nei giorni precedenti la strage un uomo intorno ai 40 anni, alto, magro, con gli occhi azzurri; altri dissero di aver visto in quel periodo nella zona una barchetta con a bordo una persona; qualcuno affermò addirittura di aver visto una miccia. Secondo il SIM (Servizio Segreto Militare Italiano) operante in quel periodo, uno dei responsabili dell'accaduto fu il fiumano Giuseppe Kovacich, agente dell’OZNA con esperienza in esplosivi maturata durante il servizio prestato nella Regia Marina Italiana.  Lino Vivoda, esule da Pola, già Sindaco del Libero Comune di Pola in Esilio e scrittore, che nell’eccidio perse il fratello Sergio di 8 anni, subito dopo l’esodo cominciò a raccogliere indizi e testimonianze sia dirette che pubblicate su “L’Arena di Pola” edita in esilio. Nel suo volume “In Istria prima dell’esodo” sostiene  che uno degli attentatore fu un certo Ivan/Nini Brljafa, morto suicida dopo aver lasciato in un biglietto la confessione del suo operato per conto dell’OZNA. Ma nessuna di queste testimonianze è secondo gli storici certa

Anche per quanto riguarda i mandanti le ipotesi sono diverse ma la più probabile sembra quella della responsabilità jugoslava. La stessa incertezza – afferma Radivo – regna nel campo delle motivazioni del gesto ma la più attendibile sembra quella dell’eliminazione dell’opposizione al governo jugoslavo e gli italiani – quel giorno sulla spiaggia c’erano solo gli italiani – erano degli oppositori. A sostegno di quest’ipotesi stanno i numerosi eccidi perpetrati in quel periodo dalle truppe partigiane non solo contro gli italiani ma anche contro gli stessi dissidenti jugoslavi: cetnici, domobranci, belogardisti.

“Trattare argomenti così vicini a noi porta a contrapposizioni - dice Mannino a Salimbeni -. Qual è l’atteggiamento degli storici in queste situazioni? E qual è il modo giusto per spiegarle ai giovani?”

“Certo – risponde Salimbeni – la storiografia è strumentalizzabile ma lo storico serio resiste ai condizionamenti e si attiene ai documenti, alle fonti certe. Quanto ai giovani, essi non conoscono la storia, come sono costretto a  constatare quotidianamente durante la mia attività di docente universitario, anche se esistono delle eccellenze. La colpa è anche dei governanti che hanno drasticamente ridotto il tempo dedicato alla storia nelle scuole e degli insegnanti che trascurano particolarmente la storia contemporanea. Invece per formare i cittadini europei è necessario insegnarla in modo nuovo, diverso, non più centrato sulle date e sulle battaglie ma secondo un’ottica etnico-culturale.

“Episodi come quello di Vergarolla – chiede ancora Mannino a Salimbeni – avrebbero potuto scatenare una nuova guerra?” 

“Oltre alla strage di Vergarolla – risponde Salimbeni – sull’atmosfera che si creò a Pola dopo di essa influì il regime comunista instaurato negli Stati occupati dall’URSS, che fece temere che la stessa cosa accadesse pure lì… e le ipotesi sulle responsabilità, i mandanti, gli esecutori furono diverse. Si pensò pure alla responsabilità dell’Italia come è stato detto anche in questa sede. 

 

 

 

 

 
 
 
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