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Post N° 27

Post n°27 pubblicato il 10 Febbraio 2007 da sgsal

La politica e l'omosessualità dopo la legge
sulle unioni civili, da Togliatti a Berlusconi

Quella "malattia" innominabile
scomunicata da laici e cattolici

di FILIPPO CECCARELLI

E PERÒ: se ne sono fatti di passi avanti. Ancora alla metà degli Anni Novanta, ha raccontato l'allora ministro dell'Interno Maroni, le autorità di Pubblica sicurezza gli sottoponevano fascicoli riservati su personaggi sospetti con l'annotazione poliziesca della loro (presunta) omosessualità.

Era un pregiudizio antico, nei palazzi del potere, una "malattia" per lo più innominabile, come pure designata per allusioni che volevano essere eleganti, "tendenze socratiche e saffiche" secondo il direttore degli Affari Riservati Federico Umberto D'Amato, o cariche di disprezzo: "invertiti", "capovolti", o peggio.

Per decenni quella formidabile polizia dei costumi che erano i servizi segreti accumulò pile e pile di dossier sugli orientamenti sessuali "irregolari". Classica fonte di ricatti. In alcune occasioni arrivò addirittura, il Sifar, a utilizzare conclamate ed esuberanti persone omosessuali come l'attore Giò Stajano (oggi Maria Gioacchina), per incastrare dei potenti: nel caso specifico un generale di Stato Maggiore, in un albergo di Verona, durante un'esercitazione Nato.

Con questo crudele retroterra e mesto retrobottega, si accoglie il testo del governo sui "Dico", i pacs all'italiana. E sia detto per una volta senza sarcasmo. Con qualche innocente ribalderia si potrebbe dedicare la legge Bindi - che mesi orsono s'è trovata pure lei a dover fronteggiare con dignità quel pregiudizio dopo l'attacco di un deputato di An - ai tanti che non ne comprenderanno il senso. A Umberto Bossi, per esempio, che chiamò "Albertina" il sindaco di Milano Gabriele Albertini, ricevendone in cambio una pepatissima lezioncina. Al vicepresidente del Senato Fisichella, oggi margherito, che praticamente licenziò un collaboratore perché un'estate l'aveva visto in foto al Gay Village; e qui l'onore va al ministro Stefania Prestigiacomo che lo riassunse in 24 ore. E infine al ministro Tremaglia che magari in nome della maschia gioventù ebbe il cuore di mettere nero su bianco quella parola, quell'offesa: "culattoni".

Berlusconi è "giocoso" ed evoluto, e ci è sempre stato più attento. Fa le battutine, lui, o racconta barzellette. Ma se di colpo si allarga il tavolo della storia, per generazioni di italiani l'omosessualità è stata un incubo, un giogo, una gabbia di ferro, un baratro di misteri, paure, vergogne, sofferenze. Se non risolve tutto - e come potrebbe? - la legge Bindi-Pollastrini non solo purifica e in qualche modo riscatta tante vicende drammatiche. Ma aiuta a rileggerle, a capirle meglio.

E comunque. Le culture politiche del Novecento, quelle maggioritarie, erano tutte contro l'omosessualità. La radiazione di Pasolini dal Pci (1949, un caso delicato) si accompagna a una vera e propria bolla di scomunica dottrinaria sulle "deleterie influenze di certi correnti ideologiche e filosofiche dei vari Gide", che Togliatti in persona bollava come "pederasta". Per i cattolici era anche peggio: "peccato impuro contro natura", della specie che "grida vendetta al cospetto di Dio". In pratica, la scorciatoia per l'inferno. Ce n'erano anche lì di gay, figurarsi. Ma se ne stavano acquattati, trepidi, infelici, non di rado pieni di nevrosi, di tic. Essendo ancora saldi i confini tra pubblico e privato, al massimo se ne rideva. Del deputato monarchico che s'innamorava dei pugili (con scene pazzesche, poi). Del ministro e presidente immortalato con nome e cognome (riconoscibilissimi, mutuati com'erano dal mondo dei volatili) nei racconti di "pornopolitica" di Mino Pecorelli.

E a parte il Sifar (poi Sid, poi Sismi) c'era poi tutto un turbinio di gloriose leggende e sordide dicerie sugli autisti e i guardaspalle dei potenti mandarini dorotei, invero un po' misogeni, dal Veneto bianco all'Irpinia felix, passando ovviamente per la capitale.
Per ingannare il tempo, del resto, e farsi allegria gli andreottiani s'erano inventati un giochetto. O una specie di rito. Dopo pranzo, ancora a tavola, Franco Evangelisti pronunciava il nome di un nemico e Salvo Lima completava al volo il concetto: "Ricchia!". Cioè ricchione. Sono appena 15 anni fa.
Ma c'era poco da ridere. Nell'arco della Prima Repubblica, a pensarci bene, l'omosessualità o per meglio dire il sospetto di omosessualità ha finito per toccare le persone e le cose più sacre. La Religione: con le rivelazioni su Paolo VI di Peyrefitte. La Patria e la Dinastia: con quel plico di documenti compromettenti per il futuro Umberto II che il Duce si tenne stretto fino alla fine. Quindi pure la Resistenza, attraverso uno dei suoi uomini simbolo, Pietro Secchia, ebbe in sorte la sua parte di oscuri dubbi a sfondo gay; a parte le rabbiose e personalizzatissime strumentalizzazioni anti-Pci.

Su come tutto questo sia lentamente e precipitosamente cambiato è questione più complessa. Ma certo la legge sulle unioni civili, oltre ad alleviare colpe e dolori, per la prima volta certifica con la potenza della Norma qualcosa che assomiglia alla legittimità.

La riprova pare di coglierla in un certo, nuovo vittimismo sull'abbondanza di legami omosessuali rappresentati nella fiction televisiva della Rai; o nell'evocazione di una potente "lobby gay", severamente esercitatasi a livello europeo contro la concezione del peccato del professor Buttiglione, bocciato all'Ue.

Forse è un passaggio storico; forse si tratta solo di un adeguamento. Da decenni lo spazio gay si è dilatato nella società, tumultuosamente, sul piano dei modelli, degli spettacoli, dei comportamenti, dei consumi. Qualcosa che s'è visto, ma solo un po', nei vari coming-out, nel successo del Gay Pride, o nella meritoria attività di quella agenzia di comunicazione parlamentare di cui è titolare Franco Grillini. Come minimo, la travolgente vittoria di Nichi Vendola in Puglia e il vistoso ingresso di Vladimir Luxuria a Montecitorio depotenziano agguati e ingiurie. Ma come massimo, per una volta, la legge sui pacs all'italiana allarga l'orizzonte del possibile.

(10 febbraio 2007)

Fonte: Repubblica.it

 
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