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Superstite superstiziosa

Post n°77 pubblicato il 09 Maggio 2007 da shockportatile
 



Dopo la  felicità del viaggio di nozze, una settimana nella cocente campagna di Mazzarino, Reana entrò nella casa coniugale  portata in dote dal marito fedifrago per  vocazione. Casa che tra l’altro vantava :  un sollecito di sfratto ogni anno, la completa assenza di intonaco sui muri e ragni, lucertole, file di formiche rosse che entravano dai vetri rotti delle finestre del piano terra.
Le macchie di una solitudine ignorata iniziarono a imperlare i suoi giorni di neosposa diciottenne e già gravida.

Rimase incinta la prima notte di nozze, quando con non troppa delicatezza il marito le fece capire esattamente cosa voleva da lei ogni giorno, e ciò non era l’amore dal profumo di fiori lilla o azzurri di cui la madre le aveva parlato.
 Suo marito aveva ventuno anni, baffi neri da conquistatore moro, lei si sentiva una spagna di sapori, umori, sogni e di occhiaie scure, perenni che ogni giorno si estendevano nascondendo le efelidi sulle guance.
La prima figlia nacque il 9 Maggio del 1978, mentre l’Italia sconvolta guardava nel bagagliaio di una  renault rossa parcheggiata in via Caetani, a Roma e mentre un uomo coraggioso veniva fatto esplodere nella poco lontana sicilia.
Lei , Reana, completamente lacerata e ricucita, piangeva per lo strazio del parto e malediva la florida neonata che si era portata via la bellezza e l’integrità del suo corpo giovane.
Ebbe tre aborti nei due anni successivi. Poi un’altra femmina, nessun lavoro, nessuna felicità che non fosse indossare i suoi vecchi vestiti di ragazza e piroettare rimirandosi nello specchio a parete della camera da letto mentre, nella cucina sempre più sporca, le sue figlie giocavano con forbici e coltelli.
Le sue figlie crebbero mentre la sua solitudine partorì il mostro di una torbida turba psichica accecante di fantasia e misticismo.
Rubò seimila lire, nel silenzio di un’altra notte di usurpazione carnale, dal portafoglio del marito, addormentato e gonfio di vizi e bestemmie.
Comprò un mazzo di arcani maggiori e cominciò a crearsi stati di auto-suggestione in cui parlava con spiriti buoni, angeli e demoni. Allenò la sua faccia a cambiare espressioni, la sua voce a farsi cupa, bambina, graffiante, stridente, lieve come un vento di paradiso.
Le sue figlie avevano voti pessimi a scuola e lei, ogni giorno, le faceva sedere una alla volta al tavolo traballante della loro mensa , di fronte un piatto pieno di acqua con un crocifisso nel fondo che  riceveva gocce di olio e preghiere scaccia malocchio.
Le sue figlie adolescenti iniziarono a chiederle di uscire, vedere amici, ma lei, persuasa della grande impresa a cui era chiamata, fece in modo che essi si ritrovassero a casa sua, dandogli un tetto, un parcheggio per i motorini truccati, una figura adulta a cui  chiedere,domandare, farsi consolare.
E palesò la sua schizofrenia, figlia di una solitudine angosciosa e affamata. Fu creduta, come non credere ad un adulto se non si sa niente della vita. Le rimasero intorno per anni. Poi lo sfratto si fece concreto e confinò la famiglia in un appartamento di tre stanze non lontano da una stazione ferroviaria dismessa, e la abbandonarono tutti alle sue carte, al suo smembrare cuscini alla ricerca di piume o oggetti maledetti. Perfino le sue figlie se ne andarono via, lontane da lei.
Poi un giorno arrivò una lettera dal Mali, dove suo marito andava spesso per lavoro, indirizzata al consorte. Dentro una foto di una donna di colore con due figlioletti mulatti. Sul dietro della foto una scritta “Ciao Papà”.
E si risvegliò. La realtà le arrivò in faccia come un tornado su una fattoria. Rovesciò tutto e lei non rovesciò neanche una lacrima.
Mentre la gazania nella polvere del giardino apriva i suoi fiori al sole di un altro maggio, Reana, unica superstite del suoi io, si avviò verso la stazione pensando che dei riti voodoo non sapeva proprio niente. 


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