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La febbre

Post n°119 pubblicato il 10 Ottobre 2007 da shockportatile
 

La febbre mi inchioda a questo letto dove, nel mio stesso sudore, navigano a temperatura di quaranta gradi, volti del passato e del presente, buste paga, conti da fare, progetti di apertura di esercizi commerciali di varia natura.
Ho smesso di fumare da quattro giorni per nessuna illuminazione sui danni del fumo, ma perchè mi è impossibile alzarmi se non per vomitare un dieci centilitri di acqua, fare pipì e ripiombare nelle lenzuola umide a guardare planare volti e ricordi in un andamento ubriaco.
Non ho chiamato la dottoressa, la chiamerò domani quando starò meglio e se non starò meglio la chiamerò dopodomani.
Sul muro celeste c'è mio padre che canta, poi gli diventano gli occhi di brace rabbiosa e mi dice che non arriverò da nessuna parte nella vita. "Svegliati, svegliati" ripete mentre piano piano svanisce e lascia il posto al mio primo fidanzato.
Siamo stati insieme quattro anni, dai quattordici ai diciotto. Coetanei. Lo schiaffo, di lui ricordo il primo schiaffo che mi diede, e l'unico anche, non era neanche forte, era simbolico. E fu il simbolo che mi dovevo dare una calmata. Me la diedi? Non ricordo e non credo. Svanisce.
Sudo in mezzo al petto e sulla cute. I capelli sono un groviglio di radici di arbusti che fino a una settimana fa sembravano vivere in un giardino all'italiana, ora sono ... schifosi, ecco.
Ed ecco anche uno dei pezzi clou della mia collezione di uomini. Occhi verdi e su un divano a due metri da me la frase che nessuna donna separata con prole vorrebbe sentire : " Vedi io credo che a me spetti un'altra possibilità migliore di te!".
Svanisce e mentre lo fa rido. Ci provo almeno.

I clacson, la sirena della fabbrica di componenti elettronici, lo sgasare dei motorini.
Appare un vecchio con la barba bianca e una divisa da portiere di notte. Mi abbasso sotto le lenzuola per non vedere. Si avvicina, tenta di baciarmi, gli pesto un piede e do una spinta. Svanisce, troppo lentamente.

Allungo la mano sul comodino, tento di prendere il termomentro. Mi scivola, lo riafferro. Me lo metto sotto l'ascella destra. La maglia è da strizzare, io tremo.
Bip, dopo un minuto, quaranta e cinque.

Aiuto.
Non c'è nessuno in casa. Le inferriate dipinte di rosso.
Una me bianca e smunta nello specchio del bagno.
Due tachipirine nell'incavo della mano. Ingoio.
Preparo una puntura di plasil. Do le spalle allo specchio. Disinfetto, infilo, inietto, sfilo, massaggio.
Ho freddo.
Torno a letto.
Adesso tocca a lui, suona la chitarra e sorride: Voglio un figlio da te.
Adesso tocca a lui, guida come un pazzo, mi abbraccia in mezzo a un campo.
Adesso tocca a lui ... no lui no.
Adesso dormo un po'.
La febbre mi consuma, mi spezza, mi invecchia, mi fa vedere indietro e, purtroppo, anche avanti.




 
 
 
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