Creato da promomedia1 il 07/08/2005
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« Messaggio #5LA CUCINA DI STRADA DI PALERMO »

SULLA VIA DEL MARE  I S O LA  di  M O Z I A (oggi denominata San Pantaleo)

Post n°6 pubblicato il 08 Agosto 2005 da promomedia1

di Giovanna Cusenza  

Noi, amanti della natura e della pace,  possiamo visitare Mozia tutto l’anno lasciando l’auto nel parcheggio antistante l’imbarcadero per raggiungere con apposite barche l’isola. Per arrivarci, fino al 1971, c’era un modo più suggestivo della traghettata in barca : si veniva trasportati da  un carretto trainato da un cavallo per una strada semi sommersa che unisce l’isola alla terra ferma costruita dai Fenici quasi tre millenni fa, strada, a quei tempi emergente dal mare, spesso percorsa da grandi carri che trasportavano le pregiate uve di Mozia sulla costa. Attraversando questo breve tratto di mare, si approda all’isola in dieci minuti.  

San Pantaleo è al centro della più grande laguna della Sicilia, lo “Stagnone” (più di 2000 ettari), formata insieme all’Isola Longa, a quella di S. Maria e della Schola, laguna che custodisce i resti dell’antica città di Mozia, nome forse collegabile con una parola orientale che vuol dire “acqua stagnante” o forse da una parola fenicia che significherebbe “filanda” data la presenza sull’isola di stabilimenti per la lavorazione della lana. 

Ci accoglie un silenzio al quale non siamo abituati ed un insieme di fragranze e di colori: la vegetazione, di tipo mediterraneo, è molto lussureggiante: la piccola ed antica isola di Mozia, di circa 45 ettari, di forma piatta e coperta da alberi di olivo e vite è di una bellezza intatta, perfetta, dove non sappiamo su cosa fermare lo sguardo, sulle meraviglie del verde, sui voli degli uccelli o il turchese di mare e cielo.  

La nascita di un centro abitato a Mozia viene valutata alla metà dell’VIII secolo a.C. e di essa si trova testimonianza già nei testi del geografo Cluverio, risalenti alla seconda metà del ‘600, quando la città fu riconosciuta come colonia fenicia e i romanzieri scrissero bellissime pagine che narrano di approdi da parte di esploratori entusiasti.  

Circondata da bassi fondali, che le garantivano sia una buona difesa dagli attacchi nemici e allo stesso tempo un sicuro attracco per le navi, era un approdo perfetto, protetto dal mare aperto e dalle intemperie del Mediterraneo, epicentro dei traffici commerciali. Sono numerose le fonti letterarie che ricordano Mozia come approdo della laguna circostante e si è a conoscenza che nel 409 a.C. il cartaginese Annibale vi ormeggiò con la sua flotta.  

La presenza dei Greci in Sicilia ed i loro scambi commerciali con i Fenici non evitarono le guerre di prevaricazione che distrussero Mozia nel 387 a.C. per opera di Dionisio di Siracusa. I moziesi superstiti si trasferirono sulla terraferma antistante e fondarono la città di Lilibeo, l’odierna Marsala. Così, per secoli, la piccola isola cadde nell’oblio ed il tempo e la solitudine si fermarono sui suoi resti, rendendola immortale.  

Nel Medievo fu abitata per qualche tempo da una comunità di monaci Gesuiti, ma è alla fine dell’800 che l’isola fu acquistata da Giuseppe Whitaker, erede di una importante famiglia di industriali inglesi che si trasferì in Sicilia per ragioni commerciali, e, a partire dal 1906, iniziò gli scavi archeologici nell’ormai sua proprietà. Alla sua morte, la sua opera fu continuata dalle figlie fino alla creazione, nel 1971, di un istituto che si rendesse garante della conservazione dei lavori fino ad allora eseguiti: la fondazione Whitaker. 

Appena sbarcati dal traghetto, un sentiero fiancheggiato da agavi ci conduce alla bella abitazione ottocentesca dei Whitaker che adesso ospita il Museo Archeologico dove sono conservati i reperti più significativi degli scavi: oggetti in vetro e ceramica, monete, gioielli, pezzi architettonici e sculture, tra i quali  si distingue, per la finezza della lavorazione, la statua in marmo nota come “il giovinetto di Mozia”, ritrovamento avvenuto nel 1979.  

Mozia, insieme all’intero Stagnone, è stata dichiarata, sin dal 1984, Riserva Naturale dalla Regione Sicilia, quindi, proprio perché soggetta a triplice vincolo archeologico, ambientale e paesaggistico è rimasta sostanzialmente la stessa di un secolo fa, anche se ciò che la differenzia è la progressione degli scavi, portati avanti da staff di archeologi di scuola italiana e straniera che hanno riportato alla luce alcuni resti dell’antico abitato. Dal museo imbocchiamo un largo sentiero che porta alla “Casa dei Mosaici”, così chiamata per le due grandi pavimentazioni di ciottoli bianchi e neri che rappresentano figure mitologiche e scene di caccia; costeggiando per due chilometrici circa, troviamo il “cothon”, che è un primordiale bacino di carenaggio per piccole imbarcazioni. Alle spalle del museo è situata la “Casa delle Anfore”, denominata così per il gran numero di anfore che vi furono rinvenute. Una delle zone sacre emerse dagli scavi è la “necropoli”: una serie di pietre tombali e di urne; e l’altra è il “tophet”, che è un santuario a cielo aperto dove venivano deposti i vasi contenenti i resti dei sacrifici umani, dato che era una pratica diffusa l’immolazione dei primogeniti maschi.  

Nell’isola è stato rinvenuto anche un vasto complesso di costruzioni di varie epoche, chiamato “Cappiddazzu” (in dialetto significa “grande capello”), dove, tra le rovine, si riconoscono i resti di un edificio a tre navate che aveva probabilmente una funzione religiosa. Mozia possiede dal IV secolo a.C. una monumentale cinta muraria di 2500 metri. Delle quattro porte, di cui all’origine erano dotate le mura, oggi se ne possono ammirare soltanto due, una a nord e l’altra a sud.  

Ormai il nostro giro sulle rovine di questa città si è concluso, sono bastate solamente un paio d’ore per visitarla, adesso si torna. E ci accorgiamo che anche i fondali della laguna sono interessanti: il fondo è ricoperto da orate e spigole, sogliole, triglie, ci sono anemoni e murex, dai quali anticamente si estraeva la porpora usata per tingere i tessuti; il paesaggio intorno è abbagliante: bianchi mucchi di sale, alcuni coperti di tegole  ci si stagliano davanti; nei canali, celate dalle siepi di giunchi, ondeggiano alcune barche; più lontano si delineano le sagome dei mulini a vento, il tutto è immerso in una pace quasi irreale.

www.ilveliero-web.com

 
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Commenti al Post:
promomedia1
promomedia1 il 08/08/05 alle 21:56 via WEB
Un museo a cielo aperto in in'isola ricca di fascino e di storia. Sergio
(Rispondi)
 
minsterr999
minsterr999 il 25/03/09 alle 08:00 via WEB
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