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Alla grande, di Cristiano Cavina - Il libro più bello

Post n°41 pubblicato il 15 Novembre 2006 da eltosco
 
Foto di eltosco

A distanza di tre anni da quando mi è capitato per caso tra le mani, il libro (forse) più bello che io abbia mai letto mi è tornato in mente, per pura casualità... è un libro stupendo, di un autore allora poco conosciuto, che ora si sta guadagnando spazio tra i quasi-big del settore... Un libro semplice, come la vita di Provincia... L'avevo letto, poi regalato con tutto il cuore, e ne avevo dimenticato autore ( Cristiano Cavina) e titolo ("Alla grande")... Eccolo, l'ho ritrovato...e qui di seguito ne propongo una recensione pubblicata da Letture nell'aprile 2003... Da comprare, assolutamente...

"Magico" e puro lo sguardo di Bastiano

Da «Letture» di aprile 2003

Il libro di questo mese è una sorta di scommessa su un giovane autore, Cristiano Cavina, che già si era segnalato per originalità e intensità con un breve racconto inserito nell'antologia Il quarto re magio (Marcos y
Marcos, 2002, pagg. 304, euro 8,80). L'editore aveva coraggiosamente deciso di affiancare il suo nome a quello di autori classici ben più noti, come Maupassant, Clarcke, O. Henry, Pasolini, Tondelli, Bianciardi.
Ora Cavina si cimenta con la prova più impegnativa del romanzo, mantenendo però immutati i protagonisti e l'ambientazione di quel fortunato racconto.
L'io narrante è lo stesso Bastiano Casaccia, un ragazzino turbolento ma simpatico. Il luogo dell'azione è Casola Valsenio, un paese della Romagna, e in particolare l'ambiente degradato delle case popolari. In realtà il paese è lo stesso in cui è nato, nel 1974, Cristiano Cavina e non è difficile individuare nel protagonista l'alter ego dell'autore. Questo spiega anche una caratteristica peculiare del romanzo: l'estrema immediatezza e sincerità del racconto. Sembra davvero di condividere i pensieri, le sensazioni di un ragazzino. Le persone stesse, le vicende, gli oggetti appaiono trasfigurati, ridisegnati dalla sfrenata fantasia di Bastiano. Tanto che a volte è necessario un certo impegno per adeguare la banalità della nostra comprensione del mondo all'occhio "magico" con cui il protagonista lo vede.
Un semplice bidone è per Bastiano un sommergibile con il quale potrà recuperare un tesoro in fondo al lago, in realtà un sacchetto pieno di spiccioli di cui si era sbarazzato il Mago Mammola (un tossicodipendente).
Questa almeno è la voce che corre tra i ragazzi. Bastiano  subito parte con le sue fantasticherie: una volta tornato a casa «le avrei fatte piovere sulla tavola», dice, «indicandole, con il mento, senza dire una parola, come i re. Una pioggia di monete alle case popolari! Mai vista,  roba così. Tutti si sarebbero accalcati sull'uscio di casa, per vederle, anche la vedova Morini con i suoi occhi pesti e Giovannona, che era azzoppata e sarebbe guarita apposta. Ecco cosa ci voleva. Un miracolo in perfetto stile Casaccia».
Bastiano desidera veramente un miracolo, per far tornare il sorriso sul volto silenzioso della mamma, costretta a mille lavoretti per pagare le bollette e condurre una vita dignitosa. Il padre, infatti, non c'è più e Bastiano riesce a fatica a farsi dire che mestiere faceva, per potersene vantare con i compagni. Alla fine trova esaltante anche il mestiere di disoccupato, che la mamma dopo molte insistenze rivela. Il resto della famiglia è composto dal nonno, che passa le giornate al bar, e dalla nonna, sempre seduta nella poltrona di casa. C'è anche  zio Paolo, che ogni tanto fa una capatina. Per Bastiano è un "mito", un modello, benché sia solo un piccolo truffatore.
Alla realizzazione del sommergibile manca anche il silicone per tappare i buchi. Bastiano lo va a rubare nel magazzino della palestra comunale. Solo che, dopo aver quasi compiuto questa "missione da agente segreto", si imbatte in Mone e nella banda dei suoi bulli.  Mone prende in giro lui e i suoi amici chiamandoli "mongoli"; soprattutto Bastiano non sopporta le parole feroci contro una ragazzina handicappata sua amica e spara in faccia a Mone tutto il tubo di silicone. Per Bastiano si apre  così la strada del riformatorio...
Un modo di raccontare semplice e immediato, la capacità di far balenare davanti al lettore la visione fantastica del mondo che ha un ragazzino. Oltre a queste doti già accennate, che rendono il romanzo di Cavina spesso divertente e addirittura esilarante, c'è nel fondo una forte componente morale, un senso di solidarietà e di compartecipazione con la sorte dei poveri di oggi, con gli abitanti dei quartieri popolari e delle periferie degradate della città. C'è anche una specie di triste riflessione sul destino dei ragazzi di questi quartieri, che rischiano di diventare bulli insensibili e amorali come Mone e i suoi amici.
Che cos'è invece che salva Bastiano? Certamente la purezza ingenua del suo sguardo, che sa vedere sempre il bene e il bello; la sua fantasia, la sua costante capacità inventiva, creativa, addirittura "letteraria". Ma c'è anche qualcos'altro. Verso la fine del libro egli sente finalmente una voce, da lungo attesa, che gli dice che può farcela «con tanta pazienza». La voce viene da «una specie di pozza d'olio in fondo allo stomaco». Aveva faticato a liberarsi della robaccia che le ostruiva il passaggio: il «groviglio di aggeggi che avevo rotto... i milioni di cocci di vetri rotti... le urla e i gemiti dei miliardi di patacche che avevo confezionato in anni di carriera». La voce della coscienza, forse la voce di quel Dio che Bastiano chiama familiarmente e di continuo «il mio Signore» e che sembrava non rispondere mai alle sue domande.   

Antonio Rizzolo.

 
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