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Istanbul, chi ucciderà Benedetto XVI
In continua tensione tra le aperture allo stile di vita occidentale e il rispetto delle tradizioni islamiche, la Turchia sembra appassionarsi facilmente ai libri di fantapolitica. Ha raggiunto infatti quota 300 mila copie vendute – è uscito nel 2005 ma ha avuto una notevole impennata di acquisti negli ultimi giorni – un altro romanzo del genere, Metal Firtina (Tempesta Metallica), scritto da due giovani autori, Burak Tuna e Orkun Ucar, che racconta la storia di un conflitto militare tra Turchia e Stati Uniti. Il libro, venduto non solo in libreria ma persino porta a porta dai venditori ambulanti, ha stracciato ogni record di vendite, in un Paese in cui viene considerato best-seller qualunque volume abbia superato le 30mila copie vendute.
“Ventitré maggio 2007. La Cnn annuncia: conflitto tra militari americani e turchi a Kirkuk, nel nord dell'Iraq. Tredici militari statunitensi sono rimasti uccisi e 30 feriti. Uccisi anche 35 militari turchi”. Inizia così Metal Firtina, che nell’arco di poche pagine racconta come da questo piccolo conflitto a fuoco si passi velocemente alla guerra vera e propria. Lo scontro tra le due pattuglie scatena infatti l’intervento militare turco in Iraq, che provoca a sua volta una massiccia controffensiva americana che ha il suo culmine nel bombardamento di Ankara, in cui non viene risparmiato neppure il sacro mausoleo di Ataturk, il padre della patria. Come rappresaglia i turchi programmano allora il bombardamento della Casa Bianca quando - per la salvezza dell’intero mondo - le armi vengono messe a tacere grazie ad un intervento pacificatore della Russia e dell’Europa, che obbligano i belligeranti alla pace.
“Abbiamo svelato un segreto di cui nessuno vuole parlare”, hanno dichiarato più volte gli autori, convinti che la trama da loro inventata sia molto più vicina alla realtà di quanto si possa immaginare. “Il partito al governo Akp (il partito di radici islamiche del premier Tayyip Erdogan) è cosciente del pericolo e la presidenza dell'Akp di Istanbul ci ha invitato a fornire ulteriori particolari. Anche tra i militari turchi alcuni condividono le nostre idee”. Una dichiarazione che ha quasi provocato uno scontro diplomatico con gli Stati Uniti, tanto che, all’indomani dell’uscita, Condoleezza Rice avrebbe ricordato al premier Erdogan ed agli altri dirigenti turchi, nel corso di una sua visita ad Ankara, che Washington li ritiene responsabili dell’insufficiente contrasto all’ondata di antiamericanismo che attraversa la Turchia.
Di Iraq e conflitto con gli Stati Uniti parla anche un film che negli ultimi mesi è diventato un vero e proprio cult tra i giovani turchi, in patria e anche all’estero, soprattutto in Germania: “Nella valle dei lupi”. Costato dieci milioni di dollari, la pellicola più cara mai realizzata in Turchia, racconta la storia di un “Rambo” in versione turca che viene inviato in Iraq, con tanto di licenza di uccidere, per vendicare l’onore della patria calpestato dagli Stati Uniti. La storia parte da un fatto realmente accaduto: il 4 luglio 2003 – nel pieno della guerra in Iraq- una pattuglia di militari turchi entra nel nord del Paese per accertare se le attività in Kurdistan possano compromettere la sicurezza della Turchia meridionale. A Suleymaniye però la pattuglia di Ankara viene intercettata dai militari americani che arrestano i turchi, li incappucciano e li portano via. Neanche a dirlo quelle immagini, pubblicate su tutta la stampa internazionale, sollevarono in Turchia un forte risentimento per l’orgoglio nazionale ferito.
Da qui parte il film, definito “straordinario” dal presidente del parlamento turco Bulent Arinc (mentre il premier Erdogan ha preso parte alla serata di gala della prima), zeppo di cliché anti-Usa e con sottili (ma neanche troppo) riferimenti antisemiti. Nella pellicola gli americani in Iraq sono descritti come assetati di sangue e di petrolio, e vengono riproposte le scene tristemente reali dei maltrattamenti di Abu Ghraib, mescolate però con elementi nati dalla fantasia degli autori, come il personaggio del medico americano (ed ebreo) che raccomanda ai militari di non uccidere subito le vittime, ma di portargliele vive per poterne prelevare organi vitali e spedirli all’estero, dove per estero si intende Israele o Inghilterra.
Il più spietato sembra però essere un colonnello americano, Sam Marshall (interpretato proprio da uno statunitense, Billy Zane), che è ovviamente un folle - cristiano fervente - che si rivolge ad un crocifisso d’argento come farebbe un crociato, giurando di portare a termine la sua “missione”: “riprendersi la terra di Babilonia”. Alla fine del film, con una metafora che lascia poco spazio all’immaginazione, questo neo-crociato viene ucciso da un agente segreto turco con un pugnale a mezza luna. Lo stesso con cui, nell’iconografia islamica, Selahattin Eyyubi fermò l'ultima crociata dell’Europa cristiana.
Simone Toscano per il TGCOM
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