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“Mettiamoci una donna”. Toppe rosa

Post n°44 pubblicato il 22 Novembre 2006 da eltosco

Roma. Il rimedio per tutte le stagioni non si chiama più aspirina. Oggi c’è una frase magica che risolve tutti i problemi di Palazzo, santificata ieri dal presidente della Repubblica in persona e qualche giorno fa da Franco Marini.

Quando il partito scricchiola, quando la carica non si sa a chi darla perché se la litigano tutti, quando il nuovo soggetto politico fa prove di decollo senza staccarsi da terra, quando non si ha idea di che cosa dire ma si vuole dire una cosa di sicura presa sull’opinione pubblica, basta uscirsene con un: “Mettiamoci una donna”. Frase che pare lusinghiera per le donne solo all’occhio di chi donna non è o delle donne che pensano il potere sia una gentile concessione.

E’chiaro infatti che la donna, in questi casi, viene presa in considerazione come scappatoia di lusso, anche se non è più brava degli uomini in lizza – cosa che, tra l’altro, squalifica le donne davvero più brave. (“Votata perché donna? Un’ingiuria”, ha detto il filosofo André Glucksmann all’indomani della vittoria di Ségolène Royal alle primarie socialiste francesi). Epperò molte donne sono contente. Pensano sia meglio occupare un posto “octroyé” che non salire per niente. E se sale chi non ha i meriti pazienza, basta che sia donna, perché le donne sennò trovano il soffitto di cristallo e allora, intanto, va bene tutto.

Epperò, anche se non è bello da dire, non sempre si resta al penultimo piano perché c’è il soffitto di cristallo, ma magari perché a volte è più comodo aspettare che le cose arrivino, atteggiamento che non è da donna né da uomo, ma da pigro. La donna che indulge in tale pigrizia, però, è più giustificata socialmente, proprio per via della sua storia di ingiustizia e schiavitù, cosa che oggi le permette di dire – vero o non vero che sia, e una volta accertata l’assenza di leggi discriminatorie, come in gran parte dell’occidente – che lei non fa carriera “perché è donna”. Allo stesso tempo, l’uomo che ha voluto indicare una donna a capo di qualcosa ha risolto il problema a monte – partito in crisi, carica inassegnabile – e ha fatto pure bella figura.

Risultato: la frase magica è comoda per tutti. Quindi funziona. Si guardi che cos’ha detto il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, nel mezzo di un forum sulla Finanziaria sul Corriere della Sera in cui LCdM oscillava fumosamente tra critica e sostegno al governo. Alla fine questo ha detto, Montezemolo: che è “oltremodo positivo e sì, anche possibile” avere una donna a capo di Confindustria nel 2008 – tanto c’è Hillary Clinton, oltreoceano, a fare da apripista. “Oltremodo positivo”, che poi è come dire altamente improbabile, per le Anne Maria Artoni e le Emme Marcegaglia, arrivare davvero alla guida degli industriali italiani, a meno che non se lo mettano in testa loro di andarsela a conquistare, quella carica, a colpi di politica, quella vera, che è unisex.

Epperò l’attenzione del lettore veniva subito trascinata sul toto donna-capo, sulle quote rosa e su quel magnanimo di Montezemolo che elargisce possibilità teoriche (facendo dimenticare il quesito sotteso al forum stesso: che farà Montezemolo, passata la Finanziaria?). E che cosa ha detto il ministro prodiano Giulio Santagata di fronte agli ostacoli che soffocano l’eterno nascituro Partito democratico? “Mi auguro una leader donna”, ha detto, già che ci pensano la Francia e il blog del ministro Linda Lanzillotta, inneggiante alla Ségolène vittoriosa, a dare (scarsa) plausibilità a quella che appare soltanto una boutade: una donna a capo del Partito democratico. Maddai.

Qualcuno lo vuole veramente, nei Ds e nella Margherita? La donna giusta, poi, sarebbe Anna Finocchiaro, diessina, capogruppo dell’Ulivo al Senato, candidata sempreverde per cariche illustri, donna di autorevolezza indubbia e altrettanto indubbia impossibilità di spuntarla (non per demerito, ma perché nessuno ha davvero intenzione di candidarla). E chi c’è, ora, alla testa di Radicali Italiani (in una Rosa nel pugno in crisi)? Il “tridente” di Rita Bernardini, Maria Antonietta Coscioni ed Elisabetta Zamparutti.

Le donne sono contente per le tre radicali al comando, certo, ma ciò non toglie il dubbio che la decisione “innovativa” sia stata presa anche per buttarsi oltre l’ostacolo – la guerra intestina con lo Sdi – per lustrare le vetrate – ma che moderni i radicali, sì è detto infatti – e per dilazionare l’esplosione di magagne non esaurite con la “pubblica lite” Pannella- Capezzone. Addirittura cinque donne “testimonial”, poi, si è scelto Alfonso Pecoraio Scanio, leader dei Verdi, per ammantare di parità tra i sessi il rilancio di un partito stipato tra le sinistre antagoniste. Ne consegue che la “carica rosa” tutto è tranne che una vittoria rosa. Il potere, perché sia vero potere, bisogna andarselo a prendere.

 

Marianna Rizzino su Il Foglio

 
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