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« L'INDIGNAZIONE CHE VIEN...DAL DIARIO DI UNA DONNA »

UNA FAVOLA

Post n°141 pubblicato il 04 Gennaio 2007 da sincereparole
 
Tag: Favole

Il buio. L’invisibilità. In quella dimensione si sentiva protetta. E poteva essere se stessa; ci sono persone che nascosti nell’ombra si illudono di poter ingannare gli altri (o se stessi…), di poter indossare una maschera che alla luce del giorno li farebbe sentire ipocriti e bugiardi. Lei aveva la consapevolezza che proprio nella realtà ognuno è chiamato a impersonare di volta in volta il personaggio che quel giorno e in quella condizione il regista-destino ci obbliga a impersonificare…e allora il buio la liberava; in quella sala cinematografica si rifugiava quando il peso delle maschere si faceva pesante, quando i ruoli della vita si facevano opprimenti, quando non aveva voglia di recitare….chiudeva il copione che la vedeva protagonista e diventata spettatrice della vita che scorreva sullo schermo.Nella penombra del piccolo cinema era di volta in volta spettatrice emozionata o annoiata, perché non sempre la scelta delle pellicole rispecchiava i suoi gusti, allora capitava che i fotogrammi scorressero davanti ai suoi occhi distratti mentre l’attenzione era calamitata da altri particolari...il ragazzo che si alzava per appartarsi in corridoio a rispondere al telefono, la signora che faceva cadere senza farsi vedere la carta dei pop-corn e una sera anche lui…non sapeva che cosa l’aveva resa consapevole della sua presenza visto che le stava praticamente di spalle, tre file più indietro, ma da quella sera lo sguardo di quell’uomo l’accompagnava e la riscaldava come un balsamo che lenisce le ferite, come un soffio che accarezza la pelle bruciata. Era una presenza assidua del circolo cinematografico e la sua presenza era costante, non importava quale fosse la trama del film in programma o quali gli attori; come se fosse superfluo cosa proponesse il calendario della programmazione; come se fosse lì per cercare rifugio, una barca all’ancora in un porto tranquillo dopo una navigazione faticosa…un posto in cui cercare riparo dopo una giornata a combattere i venti contrari…una baia placida in cui ammainare le vele e lasciarsi cullare dal rollio della marea. Forse era la sensazione di essersi trovati lì per caso, ma con lo stesso intento e bisogno che le faceva sentire quella presenza amica seppur sconosciuta; era un’entità di cui non aveva paura, che la faceva sentire tranquilla…anzi in qualche modo curata, coccolata, sfiorata rispettosamente. Per questo si lasciava seguire con piacere da quello sguardo che le proteggeva le spalle, che accompagnava i suoi movimenti lenti, che le lambiva impercettibilmente il corpo e l’ abbandonava solo al termine dello spettacolo, quando le luci tornavano ad accendersi e ognuno ridiventava protagonista della propria sceneggiatura. Allora lei riprendeva la strada di casa e lui la seguiva da lontano con lo sguardo, fino al prossimo film, fino alla prossima volta che si sarebbero visti…fino alla sera in cui al suo sguardo si aggiunsero i gesti e le parole: le loro mani si strinsero e le loro voci si fusero. Sapeva che sarebbe dovuto accadere, ne avvertiva l’urgenza da parte di lui e anche lei aveva bisogno di sapere che suono aveva la sua voce e che ritmo avessero i suoi movimenti, eppure in un certo senso aveva paura che la realtà lo avrebbe allontanato da lei. Aveva paura che al di fuori del guscio protettivo in cui si rifugiavano, il gioco della vita li avrebbe visti combattenti e non alleati. Non aveva fretta di farlo entrare nella sua vita, non perché non gradisse la sua presenza, ma al contrario perché di quella presenza sentiva di iniziare a fidarsi e non voleva che ancora una volta la luce della realtà infrangesse le sue certezze; avrebbe voluto che lui entrasse nella sua vita secondo il copione che lei gli stava scrivendo, ma sapeva di non poter chiedere tanto ..non voleva chiedere tanto. Eppure….immaginava che il loro film scorresse lento e placido come un piccolo gioiello di vite tranquille, non le piacevano i film i cui protagonisti si lasciano travolgere da passioni pazze e ossessive, in cui gli amanti finiscono per ferirsi nonostante l’illusione del "grande amore". Poi arrivò la pioggia a dirigere la loro commedia e la sceneggiatura che lei stava scrivendo cambiò finale. Il temporale era scoppiato all’improvviso, mentre per strada camminavano senza fretta e apparentemente senza una meta, snocciolando una conversazione inutile sul film appena terminato; in verità a lui mancava il coraggio di chiederle l’unica cosa che in fondo gli interessava: "Vuoi salire da me a bere qualcosa?" …le prime gocce enormi erano arrivate a dare una mano al destino e a obbligarli a guardarsi negli occhi per decidere che…si, lei sarebbe salita da lui. Era bastato uno sguardo, guardare in quegli occhi scuri, color del cioccolato fuso e lei prese il coraggio di allungare la mano verso quella di lui per farsi guidare al riparo. Corsero un po’ sotto la pioggia calda poi arrivarono bagnati e ansimanti in quella piccola casa vicino al mare dove lui aprì una bottiglia di vino leggero. Lei aveva i lunghi capelli che gocciolavano piccole perle luccicanti sul volto e guance rotonde su cui quelle gocce fredde rotolavano via veloci, lui la guardò mentre le allungava il bicchiere e desiderò raccogliere ognuna di quelle lacrime dolci con le labbra. La mattina arrivò dolce e lenta, la luce cresceva lieve di intensità attraverso le tende spesse che oscuravo le grandi finestre della camera. Lei aprì gli occhi piano, gli girava le spalle, ma avvertì come sempre lo sguardo di lui che le sfiorava la pelle accaldata. Si voltò e con lo sguardo lo incatenò a se…"Non farmi male…" sussurrò in un soffio; lui pensò di aver solo immaginato quella richiesta strana "Pensa a me come a un animale ferito da un cacciatore inesperto: sa di aver bisogno di aiuto, ma è impaurito e colpisce per difendersi…io sono così". Lui non rispose per timore di sbagliare parole, ma con le mani calde e un po’ ruvide le prese il volto e con le labbra le sfiorò le palpebre: sapevano di buono, c’era sulla pelle della ragazza il profumo di campagna ed ebbe voglia di tornare bambino a rotolarsi nel fieno fresco…l’abbracciò piano. Il petto di lei era morbido e caldo contro la sua pelle e desiderò tenerla lì per sempre, carne contro carne a unirsi in un battito solo, a musicare la vita con una melodia che avrebbero cantato solo loro. Ma sapeva che lei non glielo avrebbe concesso; sentiva che non era il momento, non ancora. Quella partita lei non l’avrebbe giocata. L’aveva capito la sera prima quando si erano rifugiati nell’appartamento e lei aveva raccontato la sua storia… "Ho perso. Ho giocato le mie carte nell’unico modo in cui sapevo farlo; non ho barato e non ho chiesto carta, sapevo di rischiare tutto per tutto e l’ho fatto consciamente, non è colpa mia né sua; ma ho bisogno di tempo – non so ancora quanto – per ritrovare la voglia di giocare per il semplice gusto di farlo, per il divertimento di raccogliere una sfida." Era un fiume di parole che lui non volle fermare… "All’inizio non volevo accettare la partita, sono una giocatrice inesperta e sentivo che la sfida era fuori della mia portata, ma poi mi sono chiesta se avrei sopportato il peso del rimpianto o se forse avrei preferito il rimorso e ho finito per lasciarmi tentare. Avevo chiesto solo una cosa, un gioco onesto: senza carte truccate e senza bluff. Uno dei miei errori è stato quello. Quando si accetta di giocare senza regole non si deve aver fiducia in niente e nessuno e alla fine l’unica cosa in cui ho potuto credere è stato il sapore amaro della sconfitta. A poco è servito sapere che neppure l’altro si sentisse vincitore…io sapevo di aver perso e la cosa più difficile da accettare è stata quella di non capire dove ho commesso l’errore, cosicchè alla prossima partita sarò comunque impreparata." Le si adagiò con il volto sul petto e lui la cullò al ritmo del suo cuore fino a quando il respiro si fece lieve e regolare, continuò a sfiorarle i capelli castani che profumavano di vaniglia e menta; sentì che nel sonno si abbandonava a lui, fidandosi e lasciandosi avvicinare. Era una giovane cerbiatta impaurita sorpresa sul limitare di un bosco…l’istinto la chiamava al riparo, ma la curiosità la bloccava allo scoperto…Adesso era nelle sue mani, adesso toccava a lui decidere se mirare e colpire per fare suo l’animale o lasciare che essa imparasse a non vederlo come una minaccia e che col tempo si avvicinasse senza pericolo a lui.
 

 
 
 
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