Creato da sinistracologno il 18/02/2007
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«Studiato in tutto il mondo, tu sei stato quasi dimenticato in Italia. Forse oggi anche la sinistra italiana non ama più il pensiero, forse anch'essa è salita sul carro della cultura intesa come esibizione e spettacolo»  - [GIULIANO GRAMSCI - lettera al padre Antonio Gramsci]

 

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IL CASO MORO

16 marzo: alle ore 9,15 un commando di brigatisti rossi (composto secondo le risultanze dei processi, da nove persone più una vedetta) tendono un agguato in via Mario Fani ad Aldo Moro, Presidente del Consiglio nazionale della DC, mentre va a Montecitorio per il dibattito sulla fiducia al 4° governo Andreotti, il primo governo con il sostegno del Pci. In pochi secondi i brigatisti uccidono i due carabinieri che accompagnano Moro e i tre poliziotti dell'auto di scorta. L'on. Moro viene caricato a forza su una fiat 132 blu. Poco dopo, le Brigate Rosse rivendicano l'azione con una telefonata all'Ansa...

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Post N° 75

Post n°75 pubblicato il 12 Marzo 2008 da sinistracologno
 

www.agcom.it

Sorpasso atomico

di Paola Pilati

I favorevoli superano i contrari. Il caro bollette e la guerra del gas hanno fatto cambiare idea agli italiani sul nucleare. Lo rivela un sondaggio esclusivo

 
er la maggioranza degli italiani l'energia atomica non è più un tabù. A diciott'anni dallo storico 'no' affidato alle urne dei referendum con cui i cittadini diedero un nuovo corso alla politica energetica del Paese, affossarono un'intera industria legata al nucleare, sbaragliarono lobby fortissime e sancirono il peso del partito 'verde' sulla scena politica, dopo che quasi una generazione è passata, il nucleare ritorna in scena. Evocato dalle dichiarazioni preelettorali di governo e opposizione, trova per la prima volta dopo tanti anni un clima sociale propizio. Lo dimostra il sondaggio commissionato da 'L'espresso' alla Swg e riportato in queste pagine, da cui emerge un deciso sorpasso. Se fino a un anno fa la resistenza al nucleare coinvolgeva ancora la maggioranza degli italiani, oggi all'energia prodotta dall'atomo è favorevole il 47 per cento degli intervistati (erano il 40 solo 12 mesi fa), mentre i contrari sono piombati dal 51 al 44 per cento. Anche la paura dilagata sotto la nube di Chernobyl si è dissolta: mentre nel sito della centrale sovietica tuttora si lavora alle conseguenze del fall out, la maggioranza degli intervistati (il 60 per cento circa) dichiara che la presenza di un impianto nucleare non è più pericolosa come un tempo. O che almeno lo è quanto altri insediamenti produttivi, né più né meno.

Il partito dell'atomo, questo è certo, deve ringraziare lo zar Putin. "I russi hanno commesso il più grande errore strategico degli ultimi cinquant'anni, scardinando negli europei la certezza che il loro gas sia affidabile al 100 per cento", ha dichiarato in piena crisi del tubo Franco Bernabè, oggi banchiere d'affari per Rothschild, ieri amministratore delegato del gruppo Eni. Lo spettro di un taglio delle forniture di Gazprom ha fatto capire ai Paesi europei infreddoliti che il gigante russo ha ormai un ruolo centrale sul benessere dei cittadini, sulla solidità delle loro economie e sulla tenuta delle loro classi politiche. Un'idea che comincia a impressionare più di quella di un eventuale fungo atomico. Non solo. Mentre da noi il piano nucleare è stato cancellato, tutt'intorno è un fiorire di nuove iniziative. La Francia, che è il Paese al mondo che più dipende dal nucleare, ha dato il via alla realizzazione di una centrale di ultima generazione a Framanville a cui ha invitato a partecipare anche l'Italia, la Romania costruisce a rotta di collo, la Slovenia già produce energia dall'atomo che è targata Enel, la Finlandia promuove un nuovo impianto, e Tony Blair avvisa senza troppe timidezze i suoi elettori che la Gran Bretagna senza spendere di nuovo sull'atomo non andrà lontano. Per non parlare del resto del mondo (in totale sono 443 le centrali attive, e 24 quelle in costruzione): l'8 dicembre scorso è entrata in produzione quella di Higashidori, in Giappone, il paese più decisamente lanciato su questa strada, e il 28 dicembre è iniziata la costruzione di Chasnupp 2 in Pakistan. A dimostrazione che Oriente e Paesi in via di sviluppo contano fermamente su questa energia per la loro crescita

Da noi il governo Berlusconi, scottato dal blackout di un paio d'anni fa, si è già pronunciato: sia il premier che il suo ministro delle Attività produttive, Claudio Scajola, si sono iscritti al partito del ritorno al nucleare. Perfettamente in linea con i sentimenti del proprio elettorato. Secondo il sondaggio 'L'espresso'-Swg, il 60 per cento degli elettori di centro-destra sono favorevoli a riconsiderare la scelta nucleare. Più timida l'opposizione: nel centro-sinistra la quota dei favorevoli scende al 46 per cento (il 47 sono ancora contrari), ed è ulteriormente ridotta al 36 tra quelli che si definiscono elettori di sinistra e basta, ma si capisce che il pregiudizio ideologico 'anti' sta a poco a poco franando. Romano Prodi comunque ha scelto di rinviare il tema: "Nuove centrali nucleari non prima di 25 anni", ha detto recentemente. Mentre a favore si è schierato l'ex ministro dell'Industria della Margherita, Enrico Letta. Ma il vento che scorre nell'opinione pubblica potrebbe cambiare le posizioni.

Soprattutto se la quotazione del barile dovesse continuare a salire. Non a caso dal fronte Opec sono venute rassicurazioni sulla durata delle forniture di petrolio: ce n'è abbastanza per tutti e per tanti anni, hanno detto gli sceicchi. Sì, ma a che prezzo? Già ora, il caro bolletta ha pesato sulle abitudini degli italiani: la metà degli intervistati del sondaggio 'L'espresso'-Swg ha ridotto i consumi spegnendo la luce, abbassando il riscaldamento, usando meno l'auto. Per scongiurare gli aumenti che dovevano scattare dal 2006 è intervenuta l'Authority dell'energia. Ma le tariffe non possono essere addomesticate per sempre.

D'altra parte, nonostante i comportamenti virtuosi, i consumi sono destinati ad aumentare. Se ciascuno di noi abitanti delle economie mature consumava nel 2002 8,3 kilowattora l'anno, nel 2025 avrà bisogno di 10,6 kilowattora (dati dell'International Energy Outlook 2005). Chi li produrrà? Altro fattore cruciale, l'esigenza di ridurre le emissioni nocive all'atmosfera, stabilite dal protocollo di Kyoto, rispetto al quale l'Italia è fuori con l'accuso, a causa della nostra dipendenza dagli idrocarburi per tenere accese le centrali termoelettriche (pesano il 70 per cento, stima il Rie di Bologna, contro una media europea del 15).

Ma quanto è praticabile, oggi, l'opzione nucleare in casa nostra? Dal punto di vista giuridico, ostacoli non ce ne sono. I referendum non bandivano esplicitamente il nucleare (uno aboliva i poteri sostitutivi del ministero dell'Industria se le amministrazioni locali non si decidevano sul sito; un altro cancellava le compensazioni economiche; il terzo impediva all'Enel di partecipare a progetti nucleari all'estero ed è già stato ribaltato). E la moratoria di cinque anni decisa dal Parlamento è scaduta da tempo. Insomma, volendo, il progetto di una centrale nucleare potrebbe prendere il via. Gli studi che vent'anni fa avevano individuato i siti sono ancora buoni: Garigliano (centrale dismessa), Latina (dismessa), Caorso (in stand by), potrebbero essere tutte papabili, visto che le altre due, Montalto e Trino, sono state già riconvertite. Ricominciando da 'green field', cioè da zero, ci vorrebbero cinque anni. Il costo, naturalmente, sarebbe alto, tale da impensierire un privato: il 50 per cento in più di una centrale a ciclo combinato (in compenso vive il doppio del tempo, 40-60 anni), e quindi affrontabile solo con il portafoglio dello Stato alla mano.

Un'ipotesi realistica? Di certo, l'industria nazionale, ridotta ai minimi termini dopo il grande digiuno post-referendario, si sta muovendo. Finmeccanica ha rivitalizzato la divisione nucleare di Ansaldo facendone una società indipendente: Ansaldo Nucleare, che lavora alacremente all'estero. Gli ingegneri nucleari di mezza età tenuti in naftalina per anni stanno scaldando i muscoli. I nuovi reattori, dicono, sono ben diversi dal passato (per esempio, hanno un sistema di spegnimento automatico in caso di emergenza), e si stanno studiando una serie di 'firewall' per evitare gli attacchi informatici dei terroristi.

Ma soprattutto, ammaestrati dagli errori del passato, i 'nuclearisti' si muovono oggi con una strategia completamente diversa dal passato. La parola d'ordine è 'decommissioning', vale a dire smaltimento dei rifiuti. L'obiettivo, in sostanza, è comunicare all'opinione pubblica che, prima ancora di saper fare le centrali, il sistema è in grado di gestire il dopo, quando resteranno solo le scorie (vitali per un secolo) da nascondere in un posto sicuro. "Era questo uno dei condizionamenti psicologici più forti vent'anni fa", rievocano in Ansaldo. Anche ora lo è: il caso Scanzano Ionico, che si è ribellato all'idea di diventare cimitero di scorie radioattive, ha fatto scuola. Così, si è imboccata la via dell'estero. E qui torna in scena zar Putin. L'Italia partecipa al programma deciso in sede G8 per smantellare i sottomarini nucleari russi. Nello stesso sito, in mezzo alle steppe si farà un po' di posto in più per 'sistemare' anche le scorie di casa nostra. E così l'atomo sembrerà ancora più innocente.
 
230 metri cubi di scorie
di Sara Melis
 
C'è chi parla di una nuova Scanzano, chi grida allo scandalo e chi si prepara alla protesta. Il governo ovviamente minimizza e spiega: è una scelta per la sicurezza nazionale. Al centro della polemica i 230 metri cubi di scorie liquide e radioattive stoccate a Saluggia (Vercelli) in depositi vecchissimi e troppo vicini alla Dora Baltea e al Po. È dal 1977 che quelle scorie non dovrebbero stare lì, e oggi il commissario delegato per la sicurezza dei materiali nucleari, il generale Carlo Jean, ha decretato che siano costruiti in loco due depositi nuovi. Il decreto del generale, che affida la progettazione degli impianti alla società pubblica Sogin, di cui lui stesso è presidente, entrerà in vigore il primo febbraio. Il Comune di Saluggia ha pochi giorni per dire no. Un dissenso che però non avrà valore, si spiega nel testo pubblicato il 29 dicembre sulla 'Gazzetta Ufficiale', perché la decisione del commissario Jean equivale a un 'permesso di costruire', quindi in deroga alle leggi nazionali, comunali, regionali. "Da più di un anno abbiamo chiesto a Saluggia tutti i permessi", dicono alla Sogin, "e ora non possiamo più aspettare". Le scorie liquide sono stipate sotto un terrapieno dentro bidoni metallici arrugginiti, ma le due nuove costruzioni, che costeranno 80 milioni di euro reperiti dalle bollette Enel, e saranno realizzate da Ansaldo nucleare, sono l'ennesima soluzione tampone: "Se è pericolo conservare le scorie vicino alla Dora Baltea", sostiene Legambiente, "perché costruire un altro deposito che tra un po' comincerà a deteriorarsi? L'unica è portarle via".
 
da L'Espresso
 
 
 
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