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«Studiato in tutto il mondo, tu sei stato quasi dimenticato in Italia. Forse oggi anche la sinistra italiana non ama più il pensiero, forse anch'essa è salita sul carro della cultura intesa come esibizione e spettacolo» - [GIULIANO GRAMSCI - lettera al padre Antonio Gramsci]
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IL CASO MORO
16 marzo: alle ore 9,15 un commando di brigatisti rossi (composto secondo le risultanze dei processi, da nove persone più una vedetta) tendono un agguato in via Mario Fani ad Aldo Moro, Presidente del Consiglio nazionale della DC, mentre va a Montecitorio per il dibattito sulla fiducia al 4° governo Andreotti, il primo governo con il sostegno del Pci. In pochi secondi i brigatisti uccidono i due carabinieri che accompagnano Moro e i tre poliziotti dell'auto di scorta. L'on. Moro viene caricato a forza su una fiat 132 blu. Poco dopo, le Brigate Rosse rivendicano l'azione con una telefonata all'Ansa...
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"Credo ancora profondamente nel lavoro che faccio, so che è necessario che lo faccia, so che è necessario che lo facciano tanti altri assieme a me. E so anche che tutti noi abbiamo il dovere morale di continuarlo a fare senza lasciarci condizionare dalla certezza che tutto questo può costarci caro."
[Paolo Borsellino, Ultima intervista, 1992]
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Post N° 97
Post n°97 pubblicato il 05 Luglio 2008 da sinistracologno
Gianni Pagliarini Alla base del dramma-infortuni, vera e propria emergenza nazionale, c'è innanzitutto un problema politico e culturale di gravissima sottovalutazione del fenomeno, che nasconde a sua volta la pretesa di occultare la realtà messa in atto da una parte del sistema delle imprese Quante volte ancora dovremo dire 'basta' per fermare la strage di vite umane? Oggi se lo sono chiesto i sindacati pugliesi, nel corso dello sciopero indetto dai lavoratori dell'Ilva contro gli ennesimi omicidi bianchi perpetrati nello stabilimento tarantino. Ma la domanda risuona come un tormentone da anni, sotto i capannoni e in cima ai cantieri. Perché non è affatto vero che le destre snobbino il lavoro e i lavoratori: se ne occupano anzi moltissimo, al punto che i primi provvedimenti strombazzati dai ministri sui mass media ci hanno illustrato le reprimende ai cosiddetti 'fannulloni' del pubblico impiego, i tagli alla scuola pubblica e, appunto, un senso di manifesta insofferenza nei confronti degli aspetti "punitivi" verso le aziende inadempienti sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro. A questo proposito l'Ilva è pericolosamente recidiva: toccò a me, in qualità di presidente della Commissione Lavoro di Montecitorio nella quindicesima legislatura, organizzare un sopralluogo nello stabilimento siderurgico tarantino, in quanto caso esemplare di insicurezza. Mi fu sufficiente ricordare i dati degli infortuni registrati in quella fabbrica (duemila all'anno, che raddoppiano considerando l'indotto) per essere platealmente attaccato a mezzo stampa dal proprietario, Emilio Riva. Ho voluto ricordarlo perché alla base del dramma-infortuni, vera e propria emergenza nazionale, c'è innanzitutto un problema culturale di gravissima sottovalutazione del fenomeno, che nasconde a sua volta la pretesa di occultare la realtà messa in atto da una parte del sistema delle imprese. Accennavo prima al nuovo impianto legislativo che dovrebbe porre un freno agli infortuni sul lavoro, visto che per la prima volta una legge tiene assieme in modo organico le esigenze di prevenzione e repressione, formazione e informazione. Lo scorso Parlamento riuscì a votarla al fotofinish. All'attuale maggioranza chiediamo di manifestare un briciolo di serietà e di senso dello Stato: abbia il coraggio di iniziare ad applicarla, abbia il coraggio di sfidare Confindustria anche sul terreno sanzionatorio. Sappiamo che non lo farà. Diciamo fin d'ora che non accetteremo le lacrime di coccodrillo. *Segreteria nazionale Pdci |