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«Studiato in tutto il mondo, tu sei stato quasi dimenticato in Italia. Forse oggi anche la sinistra italiana non ama più il pensiero, forse anch'essa è salita sul carro della cultura intesa come esibizione e spettacolo»  - [GIULIANO GRAMSCI - lettera al padre Antonio Gramsci]

 

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IL CASO MORO

16 marzo: alle ore 9,15 un commando di brigatisti rossi (composto secondo le risultanze dei processi, da nove persone più una vedetta) tendono un agguato in via Mario Fani ad Aldo Moro, Presidente del Consiglio nazionale della DC, mentre va a Montecitorio per il dibattito sulla fiducia al 4° governo Andreotti, il primo governo con il sostegno del Pci. In pochi secondi i brigatisti uccidono i due carabinieri che accompagnano Moro e i tre poliziotti dell'auto di scorta. L'on. Moro viene caricato a forza su una fiat 132 blu. Poco dopo, le Brigate Rosse rivendicano l'azione con una telefonata all'Ansa...

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Post N° 95

Post n°95 pubblicato il 05 Giugno 2008 da sinistracologno

L’ARCOBALENO È SVANITO

LA SINISTRA GOVERNISTA DEI COMPROMESSI E DELLE POLTRONE HA FALLITO ANCORA UNA VOLTA. RIPARTIAMO DALLE LOTTE, PER LA DIFESA DEGLI INTERESSI POPOLARI

Ogni governo nel capitalismo non può che essere un governo che amministra gli affari dei potenti. La Storia ci ha mostrato che ogni variante politica del capitalismo –dai regimi reazionari a quelli "progressisti", dai governi di Destra o Centro-Destra a quelli di Sinistra o Centro-Sinistra– dà vita inevitabilmente a politiche volte a salvaguardare i profitti delle classi dominanti, imponendo ai lavoratori il costo delle crisi economiche ricorrenti. O si sta dalla parte dei lavoratori, o dalla parte del padronato: non esiste una sintesi tra interessi contrapposti.

ORA BASTA, OCCORRE CAMBIARE ROTTA E NOI SAPPIAMO DA CHE PARTE STARE!

La sinistra che vogliamo costruire non contratta le briciole che cadono dal tavolo dei potenti.   La sinistra che vogliamo è quella che si batte per aumentare i salari dei lavoratori, per il futuro dei nostri giovani, per i diritti delle donne e di tutti gli oppressi, per la tutela dell’ambiente e della salute.

La sinistra che vogliamo è quella coerente, che inevitabilmente,

lotta per il superamento di questa folle società.

C O S T R U I AM O L A I N S I E M E !

PER LA COSTRUZIONE DEL FORUM DEI COMUNISTI

Per INFO: forumcomunista@gmail.com

ASSEMBLEA PUBBLICA AUTOCONVOCATA - AUDITORIUM DI VIA PETRARCA N. 9 COLOGNO MONZESE - MERCOLEDI’ 11 GIUGNO 2008 – ORE 21

 
 
 

Post N° 94

Post n°94 pubblicato il 31 Maggio 2008 da sinistracologno

La riunificazione dei comunisti: un processo auspicabile

di Leonardo Masella

su Liberazione del 29/05/2008

L'autocritica che Ferrero fa sul Congresso di Venezia nell'intervista a Liberazione del 16 maggio («l'errore fondamentale fu aver sbagliato l'analisi dei rapporti di forza») è apprezzabile ma insufficiente. Non si è trattato di un "errore", tutti sapevano che non vi erano i rapporti di forza. L'obiettivo vero dell'ingresso nel governo non era quello di cambiare la società ma la natura del partito, spegnendo l'antagonismo storico del Prc al capitalismo per portarlo all'avvicinamento e poi alla fusione con quelle componenti di sinistra, socialdemocratiche e ingraiane dei Ds (da Folena, a Tortorella, a Mussi, a Occhetto) con le quali il Prc aveva rotto dopo lo scioglimento del Pci. Il rifiuto di uscire dal governo anche di fronte a provvedimenti odiosi non si spiega se non con il rifiuto di rompere quel progetto, che infatti ora è perseguito ancora, costi ciò che costi, dall'area di Vendola.
Il processo di superamento del Prc non è riducibile alla sola campagna elettorale, come sostiene Ferrero. La questione del nuovo soggetto politico al cui interno superare il Prc viene da lontano. Basti solo pensare a cos'è stata la sezione italiana della Sinistra Europea. Il problema, al fondo, è l'esistenza o meno di un partito comunista, che la mozione di Ferrero infatti non cita mai una volta, neanche per sbaglio, né "restaurato" né "rifondato". Nella sua intervista Ferrero si limita ad affermare: «Per me comunismo è il movimento reale che abolisce lo stato di cose presenti». Questa affermazione di Marx è bella e condivisibile, ma un movimento che vuole abolire il capitalismo, se non vuole rimanere sulle nuvole della tendenza culturale, ha bisogno di organizzarsi in un partito, in una forte organizzazione comunista e di lotta anticapitalistica, persino sul piano mondiale, altrimenti il comunismo diventa sì "una idea religiosa" dell'aldilà.
Invece il compagno Ferrero mette sullo stesso piano la costituente di Bertinotti e Mussi e la necessità di ricostruire una forza comunista attraverso un ineludibile processo di superamento della diaspora comunista. Secondo Ferrero le due costituenti spaccherebbero la sinistra. Ma è proprio il contrario. Oggi la sinistra è più frantumata che mai. I due processi di riaggregazione unitaria, quello socialista e quello comunista, almeno avrebbero il pregio di unirne le parti più omogenee, invertendo la tendenza alla disgregazione centrifuga, per poi costruire fra di loro l'unità d'azione possibile. L'alternativa è l'ulteriore frammentazione e distruzione di quel poco che è rimasto a sinistra.
Infine una convergenza su una frase dell'intervista. Afferma Ferrero: «A questa destra populista o contrapponiamo una radicalità altrettanto forte, comunista, oppure vince la guerra tra poveri». Condivido pienamente questa tesi che è il leit motiv della mozione che sostengo: "Rifondare un partito comunista per rilanciare la sinistra". Tuttavia, per sconfiggere la guerra tra poveri che rischiano di essere preda delle ideologie radicali delle destre, è necessaria ma non sufficiente la "radicalità comunista". Assieme alla radicalità serve anche una forza consistente, una massa critica in grado di diventare punto di riferimento credibile per il malessere sociale crescente, altrimenti, se quella che Ferrero chiama la "radicalità comunista" è divisa in tre/quattro piccoli pezzi, il malessere sociale andrà ancora più a destra, contro gli immigrati, contro i lavoratori pubblici "fannulloni", contro i gay e le lesbiche, oppure, ancora peggio, a sostegno del nazionalismo e delle guerre imperialistiche di aggressione ad altri popoli del mondo. Per questo, proprio per dare coerenza a questa idea condivisibile, ci vuole un processo di ricostruzione di una forza comunista che sia contemporaneamente radicale nei contenuti e nella ideologia ma anche robusta, un polo credibile e attrattivo sia del malessere sociale che dei pezzi sparsi della sinistra anticapitalistica. I due partiti che realisticamente possono assieme costituire questa prima aggregazione unitaria consistente sono obiettivamente il Prc e il Pdci. Questa unità sarà più forte se si costruisce innanzitutto sul terreno sociale e nelle lotte di massa. Per questo mi piace l'idea di Ferrero che si debba "ripartire dal 20 ottobre", dal milione in piazza sulle questioni sociali sotto la marea di bandiere rosse con la falce e martello del Prc e del Pdci, per promuovere una nuova manifestazione d'autunno come quella. Ma non allargando in modo politicistico anche a Sd e Verdi (come propone Ferrero, ripetendo la Sinistra Arcobaleno già fallita), ma costruendo una piattaforma alternativa alla guerra e al neoliberismo, che coinvolga anche i movimenti e le forze della sinistra anticapitalista e di classe che il 20 ottobre non manifestarono con noi. L'unità della sinistra anticapitalistica ha bisogno della riunificazione delle forze comuniste, nella lotta e dal basso, in continuità con il successo del 20 ottobre, in discontinuità con il fallimento della Sinistra Arcobaleno.

 
 
 

Post N° 93

Post n°93 pubblicato il 27 Maggio 2008 da sinistracologno

Dei falsi rivoluzionari da smascherare

di Alessio Arena

Visto che, in occasione del 40° del '68 le ricostruzioni e gli "approfondimenti", tutti faziosi, si sprecano, vi giro un piccolo contributo. Si tratta di ampi estratti, da me tradotti, di un aricolo di Georges Marchais, allore vice-segretario, poi segretario del Partito Comunista Francese dal 1972 al 1994, sui movimenti dell'estrema sinistra di quegli anni.

Innanzitutto mi pare utile restituire voce al solo attore di quel periodo, il PCF appunto, alle cui posizioni oggi non viene garantito alcuno spazio, nonostante esso rappresentasse elettoralmente un quarto dei francesi. In secondo luogo mi pare che fondamentalmente la posizione che lo scritto sostiene si sia rivelata esatta alla prova dei fatti.
Basti pensare alle evoluzioni successive dei vari protagonisti dell'estremismo dell'epoca: in Francia,ad esempio,  André Glücksmann è finito a sostenere la candidatura di Sarkozy all'Eliseo (all'epoca incolpava il PCF di aver rifiutato la lotta armata negli anni '40 e si dichiarava ammiratore della Rivoluzione Culturale cinese, da contrapporre al "revisionismo" del Partito), mentre Cohn Bendit, oggi leader verde, ha sostenuto i bombardamenti della NATO in Serbia, le privatizzazioni e la Costituzione Europea (all'indirizzo
http://www.youtube.com/watch?v=R48apOrHcxA&eurl=http://pcf-paris14.over-blog.org/ potete ascoltarlo in un recente dibattito mentre mette in chiaro che la sua battaglia nel '68 era contro il PCF, identificato col totalitarismo, e che "Marchais fa schifo" - affermazione condita con un'accusa di antisemitismo motivata dalla menzione che di lui si fa nell'articolo in allegato, in cui le sue origini ebraiche non vengono neanche lontanamente menzionate); in Italia è sufficiente pensare alle posizioni assunte da Brandirali (leader maoista passato all'UDC), Liguori (da Lotta Continua al PDL), Lerner (da Lotta Continua alla destra PD), Sofri (da Lotta Continua alla destra PD) ecc... Ovviamente si tratta di posizoni assolutamente legittime, ma che la dicono lunga sui loro sostenitori.

Dei falsi rivoluzionari da smascherare

 

di Georges Marchais

su l’Humanité, 3 maggio 1968

 

 

Come sempre accade quando progredisce l’unione delle forze operaie e democratiche, i gruppuscoli di estrema sinistra si agitano dappertutto. Essi sono particolarmente attivi tra gli studenti; all’Università di Nanterre, ad esempio, si trovano: i “maoisti”; la “Gioventù Comunista Rivoluzionaria” che raggruppa una parte dei trotzkisti; il “Comitato di Collegamento degli Studenti Rivoluzionari”, anch’esso a maggioranza trotzkista; gli anarchici; diversi altri gruppi più o meno folkloristici.

 

Malgrado le loro contraddizioni, questi gruppuscoli – qualche centinaio di studenti – si sono uniti in quello che chiamano il “Movimento 22 Marzo: Nanterre”, diretto dall’anarchico tedesco Cohn-Bendit.

 

Non contenti dell’agitazione che conducono nell’ambiente studentesco – agitazione che va contro gli interessi delle masse studentesche e favorisce le provocazioni fasciste – ecco che questi pseudo-rivoluzionari si arrogano la pretesa di impartire lezioni al movimento operaio. Li si trova sempre più spesso ai cancelli delle fabbriche o nei centri dei lavoratori immigrati a distribuire volantini o altro materiale di propaganda.

 

Questi falsi rivoluzionari devono essere energicamente smascherati perché, oggettivamente, essi servono gli interessi del potere gollista e dei grandi monopoli capitalistici.

Uno dei maître à penser dell’estrema sinistra è il filosofo tedesco Herbert Marcuse, che vive negli Stati Uniti. Le sue tesi possono essere riassunte come segue: i partiti comunisti “hanno fallito”, la borghesia ha “integrato la classe operaia che non è più rivoluzionaria”, la gioventù, soprattutto nelle università, “è una forza nuova, piena di possibilità rivoluzionarie” e si deve organizzare “per la lotta violenta”.

Ben inteso, i seguaci di Marcuse, da noi, devono tener conto della forza, dell’influenza del Partito Comunista Francese e della combattività della classe operaia. Ma pur attenti alle forme, essi indirizzano i loro colpi contro il nostro Partito – e la CGT – e cercano di mettere in discussione il ruolo fondamentale della classe operaia nella lotta per il progresso, la democrazia, il socialismo.

 

Le tesi e l’attività di questi “rivoluzionari” potrebbero suscitare il riso. Per di più si tratta, in generale, di figli di grandi borghesi – che disprezzano gli studenti di origine operaia – che archivieranno rapidamente la loro fiamma rivoluzionaria per andare a dirigere la fabbrica di papà e sfruttarne i lavoratori nelle migliori tradizioni del capitalismo.

 

Tuttavia non va sottovalutata la loro azione negativa che tenta di gettare turbamento, dubbio e scetticismo tra i lavoratori e soprattutto tra i giovani. Ancor più dal momento che le loro attività s’iscrivono nel contesto della campagna anticomunista del potere gollista e delle forze reazionarie. In più dei giornali, delle riviste, dei settimanali – tra cui alcuni che si dichiarano di sinistra – accordano loro importanza e diffondono su intere colonne le loro elucubrazioni. Infine e soprattutto, perché l’avventurismo estremista porta il più grande pregiudizio al movimento rivoluzionario.

 

Sviluppando l’anticomunismo, i gruppuscoli estremisti servono gli interessi della borghesia e del grande capitale.

 

Il Partito Comunista Francese è il miglior difensore degli interessi immediati dei lavoratori manuali e intellettuali. Esso rappresenta una forza essenziale nella battaglia per eliminare il potere dei monopoli e sostituirgli un regime democratico nuovo, che permetta di avanzare sulla via del progresso sociale, dell’indipendenza nazionale e della pace. Esso è il migliore artefice dell’unione delle forze operaie e democratiche e dell’intesa tra tutti i partiti di sinistra, condizione decisiva per raggiungere degli obiettivi. Senza il Partito Comunista non è possibile un governo davvero di sinistra né una vera politica di progresso. […]

Per raggiungere i suoi obiettivi il nostro Partito Comunista fonda la sua azione innanzitutto sulla classe operaia, che è la forza sociale decisiva della nostra epoca. La grande missione storica della classe operaia è di liquidare il capitalismo ed edificare il socialismo, sola società veramente umana. E’ perché la classe operaia non possiede ancora nessun mezzo di produzione che essa è la classe più sfruttata, e quindi la sola classe veramente rivoluzionaria sino alla fine. E ancora, è perché le condizioni stesse di sviluppo della produzione fa sì che la classe operaia sia la meglio organizzata, la più disciplinata e la più cosciente.

 

Gli pseudo-rivoluzionari di Nanterre e di altrove possono pure sforzarsi, ma non potranno cambiare nulla di questa realtà storica. […] Noi dobbiamo anche ricordare loro queste parole indirizzate da Anatole France agli intellettuali: “Per combattere e vincere i nostri avversari ricordatevi, cittadini, che dovete marciare con gli artefici dell’emancipazione dei lavoratori manuali, con tutti i difensori della giustizia sociale e che non avete nemici a sinistra. Ricordatevi che senza i proletari non siete che un pugno di dissidenti borghesi e che uniti, mescolati al proletariato, siete la moltitudine al servizio della giustizia.” […]

 
 
 

Post N° 92

Post n°92 pubblicato il 25 Maggio 2008 da sinistracologno

RAZZISTA E FASCISTA. RICORDATE CHI ERA ALMIRANTE

di Vincenzo Vasile (su www.unita.it)

 

E così, ci toccherà in un domani darci appuntamento in via Giorgio Almirante? L’intenzione di intitolargli una strada l’ha annunciata, forse per sondare il terreno, il neosindaco di Roma, Alemanno. E vuoi vedere che tra un po’ qualcuno non salterà su a dire che in fondo, dopo tanti anni, sono superati e ormai morti i vecchi schemi ideologici. E dunque...


In tempi così pieni di smemoratezza non sarà male, perciò, sfogliare qualche pagina della biografia di un leader neofascista che conquistò - in verità solo sul finire della sua vita, conclusasi nel 1988 - un'immeritata fama di "equilibrio" e di capacità dialogante, dopo avere impersonato non solo durante il ventennio fascista, ma anche nel dopoguerra, la più squallida vena razzista e le pulsioni più inquietanti della destra italiana.


C'è chi segnala, in questo curriculum un particolare non di dettaglio: Almirante veniva da una famiglia di uomini di spettacolo; il padre era stato direttore di scena e regista di Eleonora Duse, gli zii erano noti attori: tra loro quell'Ernesto Almirante che negli anni 50 fece la parte del vecchio bersagliere rincoglionito che saltava fuori in mutandoni suonando la carica con la trombetta in diverse sequenze un vecchio film di Totò e Gino Cervi ("Il coraggio"). E forse da quella vena familiare veniva al più giovane nipote una certa vocazione trasformista, retorica, ambigua e populista che gli consentì di traghettare il fascismo sovversivo, anticapitalista e antiborghese di Salò nelle istituzioni parlamentari e repubblicane. E che lo portò, dopo diversi travagli interni all'Msi, fino all'obiettivo di espandersi fino al massimo storico (il 9 per cento di media nazionale nel 1972, con punte a due cifre in Sicilia), parlando alla pancia di un elettorato per la prima volta dal 1948 in libera uscita dall'interclassismo della Dc, con lo slogan della difesa della terra, della casa e della proprietà.


Sotto al doppiopetto e dietro alla retorica rigonfia che affascinò tanta piccola borghesia dei primi anni Settanta erano celati i vecchi e lugubri "labari" del fascismo più nero e militante. Destinato all'insegnamento nelle scuole medie, Almirante aveva pontificato sin dall'indomani delle leggi antiebraiche sulla rivista "La difesa della razza" di Telesio Interlandi (altro personaggio come lui di origini siciliane, interprete delle più fosche spinte del regime) che "l'Italia non ha ancora avuto la sua scuola". E che essa avrebbe dovuto da allora in poi forgiare gli italiani secondo la seguente, delirante, dottrina: "Il razzismo è il più vasto e coraggioso riconoscimento di sé che l'Italia abbia mai tentato. Chi teme, ancor oggi, che si tratti di un'imitazione straniera (e i giovani non mancano nelle file di questi timorosi) non si accorge di ragionare per assurdo: perché è veramente assurdo sospettare che un movimento inteso a dare agli italiani una coscienza di razza posa condurre a un asservimento alle ideologie straniere". Tutto nasce invece da quell'"insuperabile e spesso drammatico contrasto tra romanità - vera romanità e non quella annacquata della pseudo-cultura internazionalista - e giudaismo. Il che dimostra ancora una volta che in fatto di razzismo e di antigiudaismo gli italiani non hanno avuto, né avranno bisogno di andare a scuola da chicchessia".


Negli anni della "maturità", più che rinnegare, l'interessato avrebbe minimizzato la sua attività di "segretario di redazione" e uomo-macchina della rivista di Interlandi, e la sua personale opera di decretazione delle rinnovate norme razziali della Repubblica di Salò. Leggi che furono condensate nella circolare esplicativa da lui stesso firmata, non appena il giovane tenente della Guardia Nazionale repubblicana passò dall'ufficio per 007 delle "intercettazioni" cui era stato originariamente destinato, a quello di capo di gabinetto del Minculpop repubblichino (succeduto nell'incarico a Gilberto Bernabei, poi divenuto segretario particolare di Andreotti a palazzo Chigi). Con il compito di propagandare alla radio la bontà delle nuove norme che consentivano di condurre a termine la persecuzione antiebraica con arresti, deportazioni ed espropri: bisognava, sui mezzi di informazione della triste repubblichetta mussoliniana, "rilevare che le nuove leggi"costituivano non la cancellazione ma l'aggiornamento delle norme del 1938 "in base alle esperienze acquisite, e alle nuove necessità determinate dalla situazione in cui la guerra, il tradimento e la ricostruzione hanno messo e mettono il paese".

Lui, Almirante, intanto, faceva la spola - anche per "missioni segrete" - tra il "duro" ministro Mezzasoma e Mussolini. Nelle disposizioni razziali a sua firma si tessevano elogi dell' accanimento contro i "meticci" e i matrimoni misti, e si aggiungevano accurate precisazioni sul tasso di "arianesimo" da garantire per rendere efficace la selezione dei perseguitati. Più tardi, Almirante avrebbe falsamente sostenuto di avere lasciato in un cassetto del ministero le norme "antigiudaiche" (richieste, a suo dire, dai tedeschi), in uno scritto sprezzantemente intitolato "autobiografia di un fucilatore".


La polemica di quel titolo era proprio rivolta all'Unità, che nel 1968 aveva pubblicato il testo di un manifesto firmato dal "capo di gabinetto" Almirante, che intimava; "Alle ore 24 del 25 Maggio scade il termine stabilito per la presentazione ai posti militari e di Polizia Italiani e Tedeschi, degli sbandati ed appartenenti a bande. (…) Tutti coloro che non si saranno presentati saranno considerati fuori legge e passati per le armi mediante fucilazione nella schiena. Vi preghiamo curare immediatamente affinché testo venga affisso in tutti i Comuni vostra Provincia". Sulla base di questo editto 83 "sbandati" furono fucilati in Maremma. E questa terribile eredità, assieme alla militanza di Almirante almeno fino al 25 aprile nelle Brigate nere impegnate nei massacri di partigiani in Valdossola con il grado di tenente, macchiò per anni e anni l'immagine pubblica del più duraturo e forte dirigente del Movimento sociale, che un Tribunale clamorosamente per di più sbugiardò riguardo all'editto contro gli "sbandati", assolvendo il nostro giornale dall'accusa di diffamazione.


L'Msi l'aveva fondato proprio lui, Giorgio Almirante, assieme a una combriccola di reduci della Rsi, nel 1946, e questa "istituzionalizzazione" delle nostalgie più o meno eversive per il regime fascista e per Salò, concordata con la Dc e il Vaticano, di solito gli viene ascritta a merito. Ma pochi sanno che pochi mesi prima lo stesso Almirante e altri futuri protagonisti della storia dell'Msi avevano creato, tanto per non legarsi le mani, anche un'organizzazione clandestina, detta Fronte armato rivoluzionario - Far - protagonista di numerosi attentati e sabotaggi, che convisse fino al 1952 in un rapporto altalenante ma quasi ininterrotto con l'Msi, e diede anche vita a un Esercito Clandestino Anticomunista, ramificato in varie parti del paese.


Bombe carta, attentati, blitz contro cortei di lavoratori: la storia dei Far negli anni seguenti avrebbe avuto la sua diretta filiazione in Ordine Nuovo e Avanguardia nazionale, le due organizzazioni clandestine, protagoniste della strategia della tensione e delle stragi. Fate attenzione a certi album di famiglia. Tra i fondatori del Far, c'era un'altra allora "giovane speranza" dell'eversione nera: Giuseppe Umberto Rauti, per gli amici "Pino". Che è il suocero del sindaco di Roma che vorrebbe oggi dedicare una strada ad Almirante; e fu per lunghi anni il fratello-coltello del defunto leader in diversi dissidi e molteplici scissioni e riappacificazioni della tumultuosa storia - forse ancora da scrivere.

 
 
 

Post N° 91

Post n°91 pubblicato il 22 Maggio 2008 da sinistracologno

23 MAGGIO, ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DELLA DDR

di Alessio Arena


Il 23 maggio ricorre l'anniversario della fondazione della Repubblica Democratica Tedesca (DDR), il primo stato socialista in terra tedesca.
Chi oggi voglia guardare ai territori che ne fecero parte dovrà constatare che, con l'avvento del capitalismo, essi sono stati abbandonati al sottosviluppo, allo sfruttamento e a nuove forme di povertà. Le loro città si sono spopolate di gran parte dei professionisti di alto livello, che sono andati a vendere le competenze acquisite nelle Università dell'est nelle aziende e negli ospedali privati dell'ovest; la loro struttura industriale è stata svenduta per quattro soldi dal governo della Repubblica federale alle grandi multinazionali dell'ovest, e poi smantellata.
Non è un caso che le differenze tra le due Germanie continuino a palesarsi: in un recente sondaggio che chiedeva d'individuare la più importante figura politica della storia moderna della Germania, la grande maggioranza dei cittadini della ex-DDR ha risposto col nome di Karl Marx.
Ricordiamo dunque la fondazione della DDR, uno Stato che aveva pure dei difetti, taluni anche gravi, ma a cui la storia renderà giustizia.

 
 
 
 
 

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