Creato da sinistracologno il 18/02/2007
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«Studiato in tutto il mondo, tu sei stato quasi dimenticato in Italia. Forse oggi anche la sinistra italiana non ama più il pensiero, forse anch'essa è salita sul carro della cultura intesa come esibizione e spettacolo»  - [GIULIANO GRAMSCI - lettera al padre Antonio Gramsci]

 

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IL CASO MORO

16 marzo: alle ore 9,15 un commando di brigatisti rossi (composto secondo le risultanze dei processi, da nove persone più una vedetta) tendono un agguato in via Mario Fani ad Aldo Moro, Presidente del Consiglio nazionale della DC, mentre va a Montecitorio per il dibattito sulla fiducia al 4° governo Andreotti, il primo governo con il sostegno del Pci. In pochi secondi i brigatisti uccidono i due carabinieri che accompagnano Moro e i tre poliziotti dell'auto di scorta. L'on. Moro viene caricato a forza su una fiat 132 blu. Poco dopo, le Brigate Rosse rivendicano l'azione con una telefonata all'Ansa...

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MORTI SUL LAVORO

 

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Post N° 79

Post n°79 pubblicato il 25 Aprile 2008 da sinistracologno

25 APRILE 2008

RESISTENZA e LIBERAZIONE

OGGI COME ALLORA,

SCARPE ROTTE, EPPUR BISOGNA ANDAR…

Qual è il destino della più grande eredità che ci ha lasciato chi è morto per la nostra libertà

dal Nazifascismo?

Ovvero, che fine farà la Costituzione Repubblicana?

Siamo una Repubblica fondata sul lavoro, una Repubblica nella quale i lavoratori, secondo

la nostra Costituzione, partecipano attivamente alla gestione economica delle imprese…

Tutto questo il popolo italiano deve imparare a ricordare,

anche se sembra che tutto è perduto,

anche se ci sembra che è troppo tardi.

Quando chi siede oggi in questo parlamento voterà, nello spirito marcio delle "grandi

intese", le modifiche alla nostra Costituzione, instaurando un presidenzialismo forte che ci

riporterà ai tempi delle prime riforme antecedenti al Fascismo…

RICORDATEVI…

CHE 100.000 PARTIGIANI, RAGAZZI E RAGAZZE COME NOI E COME VOI, SONO MORTI PER

EVITARE QUESTO. SONO MORTI PER LA NOSTRA COSTITUZIONE.

I TEMPI SONO CAMBIATI? CAMBIANO SE MORIRETE DENTRO DI VOI, NELL’APATIA,

NELL’INDIFFERENZA, NEL CONFORMISMO.

NON MORITE, RIMANETE VIVI.

PER L’ANTIFASCISMO,

PER LA COSTITUZIONE,

VIVA IL 25 APRILE!


Associazione Studentesca

Démos – Università Comunista

demosweb@virgilio.it

www.demosweb.135.it

 
 
 

COMINCIAMO DA NOI

Post n°78 pubblicato il 20 Aprile 2008 da sinistracologno

Dopo il crollo della Sinistra Arcobaleno, ci rivolgiamo ai militanti e ai dirigenti del Pdci e del Prc e a tutte le comuniste/i ovunque collocati in Italia

Siamo comuniste e comunisti del nostro tempo. Abbiamo scelto di stare nei movimenti e nel conflitto sociale. Abbiamo storie e sensibilità diverse: sappiamo che non è il tempo delle certezze. Abbiamo il senso, anche critico, della nostra storia, che non rinneghiamo; ma il nostro sguardo è rivolto al presente e al futuro. Non abbiamo nostalgia del passato, semmai di un futuro migliore.

Il risultato della Sinistra Arcobaleno è disastroso: non solo essa ottiene un quarto della somma dei voti dei tre partiti nel 2006 (10,2%) - quando ancora non vi era l’apporto di Sinistra Democratica - ma raccoglie assai meno della metàdei voti ottenuti due anni fa dai due partiti comunisti (PRC e PdCI), che superarono insieme l’8%. E poco più di un terzo del miglior risultato dell’8,6% di Rifondazione, quando essa era ancora unita. Tre milioni sono i voti perduti rispetto al 2006. E per la prima volta nell’Italia del dopoguerra viene azzerata ogni rappresentanza parlamentare: nessun comunista entra in Parlamento. Il dato elettorale ha radici assai più profonde del mero richiamo al “voto utile”:risaltano la delusione estesa e profonda del popolo della sinistra e dei movimenti per la politica del governo Prodi e l’emergere in settori dell’Arcobaleno di una prospettiva di liquidazione dell’autonomia politica, teorica e organizzativa dei comunisti in una nuova formazione non comunista, non anticapitalista, orientata verso posizioni e culture neo-riformiste. Una formazione che non avrebbe alcuna valenza alternativa e sarebbe subalterna al progetto moderato del Partito Democratico e ad una logica di alternanza di sistema.

E’ giunto il tempo delle scelte: questa è la nostra


Non condividiamo l’idea del soggetto unico della sinistra di cui alcuni chiedono ostinatamente una “accelerazione”, nonostante il fallimento politico-elettorale. Proponiamo invece una prospettiva di unità e autonomia delle forze comuniste in Italia, in un processo di aggregazione che, a partire dalle forze maggiori (PRC e PdCI), vada oltre coinvolgendo altre soggettività politiche e sociali, senza settarismi o logiche auto-referenziali. Rivolgiamo un appello ai militanti e ai dirigenti di Rifondazione, del PdCI, di altre associazioni o reti, e alle centinaia di migliaia di comuniste/i senza tessera che in questi anni hanno contribuito nei movimenti e nelle lotte a porre le basi di una società alternativa al capitalismo, perché non si liquidino le espressioni organizzate dei comunisti ed anzi si avvii un processo aperto e innovativo, volto alla costruzione di una “casa comune dei comunisti”. Ci rivolgiamo: -alle lavoratrici, ai lavoratori e agli intellettuali delle vecchie e nuove professioni, ai precari, al sindacalismo di classe e di base, ai ceti sociali che oggi “non ce la fanno più” e per i quali la “crisi della quarta settimana” non è solo un titolo di giornale: che insieme rappresentano la base strutturale e di classe imprescindibile di ogni lotta contro il capitalismo; -ai movimenti giovanili, femministi, ambientalisti, per i diritti civili e di lotta contro ogni discriminazione sessuale, nella consapevolezza che nel nostro tempo la lotta per il socialismo e il comunismo può ritrovare la sua carica originaria di liberazione integrale solo se è capace di assumere dentro il proprio orizzonte anche le problematiche poste dal movimento femminista; -ai movimenti contro la guerra, internazionalisti, che lottano contro la presenza di armi nucleari e basi militari straniere nel nostro Paese, che sono a fianco dei paesi e dei popoli (come quello palestinese) che cercano di scuotersi di dosso la tutela militare, politica ed economica dell’imperialismo; -al mondo dei migranti, che rappresentano l’irruzione nelle società più ricche delle terribili ingiustizie che l’imperialismo continua a produrre su scala planetaria, perchè solo dall’incontro multietnico e multiculturale può nascere - nella lotta comune - una cultura ed una solidarietà cosmopolita, non integralista, anti-razzista, aperta alla “diversità”, che faccia progredire l’umanità intera verso traguardi di superiore convivenza e di pace. Auspichiamo un processo che fin dall’inizio si caratterizzi per la capacità di promuovere una riflessione problematica, anche autocritica. Indagando anche sulle ragioni per le quali un’esperienza ricca e promettente come quella originaria della “rifondazione comunista” non sia stata capace di costruire quel partito comunista di cui il movimento operaio e la sinistra avevano ed hanno bisogno; e come mai quel processo sia stato contrassegnato da tante divisioni, separazioni, defezioni che hanno deluso e allontanato dalla militanza decine di migliaia di compagne/i. Chiediamo una riflessione sulle ragioni che hanno reso fragile e inadeguato il radicamento sociale e di classe dei partiti che provengono da quella esperienza, ed anche gli errori che ci hanno portati in un governo che ha deluso le aspettative del popolo di sinistra: il che è pure all’origine della ripresa delle destre. Ci vorrà tempo, pazienza e rispetto reciproco per questa riflessione. Ma se la eludessimo, troppo precarie si rivelerebbero le fondamenta della ricostruzione. Il nostro non è un impegno che contraddice l’esigenza giusta e sentita di una più vasta unità d’azione di tutte le forze della sinistra che non rinunciano al cambiamento. Né esclude la ricerca di convergenze utili per arginare l’avanzata delle forze più apertamente reazionarie. Ma tale sforzo unitario a sinistra avrà tanto più successo, quanto più incisivo sarà il processo di ricostruzione di un partito comunista forte e unitario, all’altezza dei tempi. Che - tanto più oggi - sappia vivere e radicarsi nella società prima ancora che nelle istituzioni, perché solo il radicamento sociale può garantire solidità e prospettive di crescita e porre le basi di un partito che abbia una sua autonoma organizzazione e un suo autonomo ruolo politico con influenza di massa, nonostante l’attuale esclusione dal Parlmento e anche nella eventualità di nuove leggi elettorali peggiorative. La manifestazione del 20 ottobre 2007, nella quale un milione di persone sono sfilate con entusiasmo sotto una marea di bandiere rosse coi simboli comunisti, dimostra – più di ogni altro discorso – che esiste nell’Italia di oggi lo spazio sociale e politico per una forza comunista autonoma, combattiva, unita ed unitaria, che sappia essere il perno di una più vasta mobilitazione popolare a sinistra, che sappia parlare - tra gli altri - ai 200.000 della manifestazione contro la base di Vicenza, ai delegati sindacali che si sono battuti per il NO all’accordo di governo su Welfare e pensioni, ai 10 milioni di lavoratrici e lavoratori che hanno sostenuto il referendum sull’art.18.

Auspichiamo che questo appello – anche attraverso incontri e momenti di discussione aperta - raccolga un’ampia adesione in ogni città, territorio, luogo di lavoro e di studio, ovunque vi siano un uomo, una donna, un ragazzo e una ragazza che non considerano il capitalismo l’orizzonte ultimo della civiltà umana.

www.comunistiuniti.it

 
 
 

Disagio in viale Spagna, nella periferia di Cologno Monzese

Post n°76 pubblicato il 21 Marzo 2008 da sinistracologno
 
Foto di sinistracologno

I cittadini del condominio di viale Spagna 136 protestano. Adamo Mastrangelo - Segretario cittadino dei Comunisti Italiani - e Luca Guerra - Consigliere provinciale PdCI - hanno incontrato i cittadini e assieme propongono di intervenire nella riqualificazione della zona. Clicca sull'immagine accanto per leggere l'articolo pubblicato su ilGiorno del 21/03/08.

 
 
 

Post N° 75

Post n°75 pubblicato il 12 Marzo 2008 da sinistracologno
 

www.agcom.it

Sorpasso atomico

di Paola Pilati

I favorevoli superano i contrari. Il caro bollette e la guerra del gas hanno fatto cambiare idea agli italiani sul nucleare. Lo rivela un sondaggio esclusivo

 
er la maggioranza degli italiani l'energia atomica non è più un tabù. A diciott'anni dallo storico 'no' affidato alle urne dei referendum con cui i cittadini diedero un nuovo corso alla politica energetica del Paese, affossarono un'intera industria legata al nucleare, sbaragliarono lobby fortissime e sancirono il peso del partito 'verde' sulla scena politica, dopo che quasi una generazione è passata, il nucleare ritorna in scena. Evocato dalle dichiarazioni preelettorali di governo e opposizione, trova per la prima volta dopo tanti anni un clima sociale propizio. Lo dimostra il sondaggio commissionato da 'L'espresso' alla Swg e riportato in queste pagine, da cui emerge un deciso sorpasso. Se fino a un anno fa la resistenza al nucleare coinvolgeva ancora la maggioranza degli italiani, oggi all'energia prodotta dall'atomo è favorevole il 47 per cento degli intervistati (erano il 40 solo 12 mesi fa), mentre i contrari sono piombati dal 51 al 44 per cento. Anche la paura dilagata sotto la nube di Chernobyl si è dissolta: mentre nel sito della centrale sovietica tuttora si lavora alle conseguenze del fall out, la maggioranza degli intervistati (il 60 per cento circa) dichiara che la presenza di un impianto nucleare non è più pericolosa come un tempo. O che almeno lo è quanto altri insediamenti produttivi, né più né meno.

Il partito dell'atomo, questo è certo, deve ringraziare lo zar Putin. "I russi hanno commesso il più grande errore strategico degli ultimi cinquant'anni, scardinando negli europei la certezza che il loro gas sia affidabile al 100 per cento", ha dichiarato in piena crisi del tubo Franco Bernabè, oggi banchiere d'affari per Rothschild, ieri amministratore delegato del gruppo Eni. Lo spettro di un taglio delle forniture di Gazprom ha fatto capire ai Paesi europei infreddoliti che il gigante russo ha ormai un ruolo centrale sul benessere dei cittadini, sulla solidità delle loro economie e sulla tenuta delle loro classi politiche. Un'idea che comincia a impressionare più di quella di un eventuale fungo atomico. Non solo. Mentre da noi il piano nucleare è stato cancellato, tutt'intorno è un fiorire di nuove iniziative. La Francia, che è il Paese al mondo che più dipende dal nucleare, ha dato il via alla realizzazione di una centrale di ultima generazione a Framanville a cui ha invitato a partecipare anche l'Italia, la Romania costruisce a rotta di collo, la Slovenia già produce energia dall'atomo che è targata Enel, la Finlandia promuove un nuovo impianto, e Tony Blair avvisa senza troppe timidezze i suoi elettori che la Gran Bretagna senza spendere di nuovo sull'atomo non andrà lontano. Per non parlare del resto del mondo (in totale sono 443 le centrali attive, e 24 quelle in costruzione): l'8 dicembre scorso è entrata in produzione quella di Higashidori, in Giappone, il paese più decisamente lanciato su questa strada, e il 28 dicembre è iniziata la costruzione di Chasnupp 2 in Pakistan. A dimostrazione che Oriente e Paesi in via di sviluppo contano fermamente su questa energia per la loro crescita

Da noi il governo Berlusconi, scottato dal blackout di un paio d'anni fa, si è già pronunciato: sia il premier che il suo ministro delle Attività produttive, Claudio Scajola, si sono iscritti al partito del ritorno al nucleare. Perfettamente in linea con i sentimenti del proprio elettorato. Secondo il sondaggio 'L'espresso'-Swg, il 60 per cento degli elettori di centro-destra sono favorevoli a riconsiderare la scelta nucleare. Più timida l'opposizione: nel centro-sinistra la quota dei favorevoli scende al 46 per cento (il 47 sono ancora contrari), ed è ulteriormente ridotta al 36 tra quelli che si definiscono elettori di sinistra e basta, ma si capisce che il pregiudizio ideologico 'anti' sta a poco a poco franando. Romano Prodi comunque ha scelto di rinviare il tema: "Nuove centrali nucleari non prima di 25 anni", ha detto recentemente. Mentre a favore si è schierato l'ex ministro dell'Industria della Margherita, Enrico Letta. Ma il vento che scorre nell'opinione pubblica potrebbe cambiare le posizioni.

Soprattutto se la quotazione del barile dovesse continuare a salire. Non a caso dal fronte Opec sono venute rassicurazioni sulla durata delle forniture di petrolio: ce n'è abbastanza per tutti e per tanti anni, hanno detto gli sceicchi. Sì, ma a che prezzo? Già ora, il caro bolletta ha pesato sulle abitudini degli italiani: la metà degli intervistati del sondaggio 'L'espresso'-Swg ha ridotto i consumi spegnendo la luce, abbassando il riscaldamento, usando meno l'auto. Per scongiurare gli aumenti che dovevano scattare dal 2006 è intervenuta l'Authority dell'energia. Ma le tariffe non possono essere addomesticate per sempre.

D'altra parte, nonostante i comportamenti virtuosi, i consumi sono destinati ad aumentare. Se ciascuno di noi abitanti delle economie mature consumava nel 2002 8,3 kilowattora l'anno, nel 2025 avrà bisogno di 10,6 kilowattora (dati dell'International Energy Outlook 2005). Chi li produrrà? Altro fattore cruciale, l'esigenza di ridurre le emissioni nocive all'atmosfera, stabilite dal protocollo di Kyoto, rispetto al quale l'Italia è fuori con l'accuso, a causa della nostra dipendenza dagli idrocarburi per tenere accese le centrali termoelettriche (pesano il 70 per cento, stima il Rie di Bologna, contro una media europea del 15).

Ma quanto è praticabile, oggi, l'opzione nucleare in casa nostra? Dal punto di vista giuridico, ostacoli non ce ne sono. I referendum non bandivano esplicitamente il nucleare (uno aboliva i poteri sostitutivi del ministero dell'Industria se le amministrazioni locali non si decidevano sul sito; un altro cancellava le compensazioni economiche; il terzo impediva all'Enel di partecipare a progetti nucleari all'estero ed è già stato ribaltato). E la moratoria di cinque anni decisa dal Parlamento è scaduta da tempo. Insomma, volendo, il progetto di una centrale nucleare potrebbe prendere il via. Gli studi che vent'anni fa avevano individuato i siti sono ancora buoni: Garigliano (centrale dismessa), Latina (dismessa), Caorso (in stand by), potrebbero essere tutte papabili, visto che le altre due, Montalto e Trino, sono state già riconvertite. Ricominciando da 'green field', cioè da zero, ci vorrebbero cinque anni. Il costo, naturalmente, sarebbe alto, tale da impensierire un privato: il 50 per cento in più di una centrale a ciclo combinato (in compenso vive il doppio del tempo, 40-60 anni), e quindi affrontabile solo con il portafoglio dello Stato alla mano.

Un'ipotesi realistica? Di certo, l'industria nazionale, ridotta ai minimi termini dopo il grande digiuno post-referendario, si sta muovendo. Finmeccanica ha rivitalizzato la divisione nucleare di Ansaldo facendone una società indipendente: Ansaldo Nucleare, che lavora alacremente all'estero. Gli ingegneri nucleari di mezza età tenuti in naftalina per anni stanno scaldando i muscoli. I nuovi reattori, dicono, sono ben diversi dal passato (per esempio, hanno un sistema di spegnimento automatico in caso di emergenza), e si stanno studiando una serie di 'firewall' per evitare gli attacchi informatici dei terroristi.

Ma soprattutto, ammaestrati dagli errori del passato, i 'nuclearisti' si muovono oggi con una strategia completamente diversa dal passato. La parola d'ordine è 'decommissioning', vale a dire smaltimento dei rifiuti. L'obiettivo, in sostanza, è comunicare all'opinione pubblica che, prima ancora di saper fare le centrali, il sistema è in grado di gestire il dopo, quando resteranno solo le scorie (vitali per un secolo) da nascondere in un posto sicuro. "Era questo uno dei condizionamenti psicologici più forti vent'anni fa", rievocano in Ansaldo. Anche ora lo è: il caso Scanzano Ionico, che si è ribellato all'idea di diventare cimitero di scorie radioattive, ha fatto scuola. Così, si è imboccata la via dell'estero. E qui torna in scena zar Putin. L'Italia partecipa al programma deciso in sede G8 per smantellare i sottomarini nucleari russi. Nello stesso sito, in mezzo alle steppe si farà un po' di posto in più per 'sistemare' anche le scorie di casa nostra. E così l'atomo sembrerà ancora più innocente.
 
230 metri cubi di scorie
di Sara Melis
 
C'è chi parla di una nuova Scanzano, chi grida allo scandalo e chi si prepara alla protesta. Il governo ovviamente minimizza e spiega: è una scelta per la sicurezza nazionale. Al centro della polemica i 230 metri cubi di scorie liquide e radioattive stoccate a Saluggia (Vercelli) in depositi vecchissimi e troppo vicini alla Dora Baltea e al Po. È dal 1977 che quelle scorie non dovrebbero stare lì, e oggi il commissario delegato per la sicurezza dei materiali nucleari, il generale Carlo Jean, ha decretato che siano costruiti in loco due depositi nuovi. Il decreto del generale, che affida la progettazione degli impianti alla società pubblica Sogin, di cui lui stesso è presidente, entrerà in vigore il primo febbraio. Il Comune di Saluggia ha pochi giorni per dire no. Un dissenso che però non avrà valore, si spiega nel testo pubblicato il 29 dicembre sulla 'Gazzetta Ufficiale', perché la decisione del commissario Jean equivale a un 'permesso di costruire', quindi in deroga alle leggi nazionali, comunali, regionali. "Da più di un anno abbiamo chiesto a Saluggia tutti i permessi", dicono alla Sogin, "e ora non possiamo più aspettare". Le scorie liquide sono stipate sotto un terrapieno dentro bidoni metallici arrugginiti, ma le due nuove costruzioni, che costeranno 80 milioni di euro reperiti dalle bollette Enel, e saranno realizzate da Ansaldo nucleare, sono l'ennesima soluzione tampone: "Se è pericolo conservare le scorie vicino alla Dora Baltea", sostiene Legambiente, "perché costruire un altro deposito che tra un po' comincerà a deteriorarsi? L'unica è portarle via".
 
da L'Espresso
 
 
 

ISRAELE ATTACCA GAZA, UN ALTRO MASSACRO

Post n°74 pubblicato il 03 Marzo 2008 da sinistracologno

L’Esercito israeliano attacca con un contingente di 2000 uomini supportato da elicotteri e mezzi corazzati i palestinesi della striscia di Gaza. Non l’attacco di un esercito invasore, ma la rappresaglia di chi ha subito un’aggressione e risponde simbolicamente con attacchi mirati: 60 terroristi morti e più di 150 feriti.
I palestinesi tutti senza distinzione, bambini e civili compresi, per i rappresentanti istituzionali d’Israele sono terroristi crudeli e senza scrupoli che vanno eliminati, carne da macello, nell’indifferenza di Stati e istituzioni internazionali e con la complicità del presidente dei presidenti, di quel Valery Bush, esportatore di bombe e democrazia.
Un Paese civile e democratico, che ha provato sulla pelle dei suoi avi umiliazioni disumane e l’onta della diaspora, non trova niente di meglio che le bombe per dare serenità e pace ai suoi cittadini.
I sette bambini innocenti…futuri terroristi; le donne…future mamme di terroristi.
Io sono indignato. Mi riesce difficile comprendere i motivi di tanto odio che portano il popolo “prediletto” a procurare tante e tali sofferenze ad un popolo fratello. Come mi riesce difficile giustificare l’assedio di Gaza, i bombardamenti alle centrali elettriche e l’innalzamento di mura. Ma ancor più difficile è giustificare l’ipocrisia di Bush e dell’ONU che non sono riusciti (o non vogliono) a risolvere il problema arabo-israeliano dirimente per risolvere il terrorismo internazionale. L’Afganistan e l’Iraq hanno dimostrato che con la guerra non si risolvono i problemi, ma si aggravano. Occorre percorrere tutte le strade possibili per portare la pace in due Paesi martoriati, sempre all’erta e mai sicuri. Volere è potere.

Le rappresaglie chiamano rappresaglie,
i morti chiedono vendetta,
i padri cercano i figli,
i figli chiamano i padri,
coprono le bombe il pianto delle madri.(G.G.)
Postato su: www.governanti.blogspot.com

 
 
 
 
 

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