Creato da gabriele_amore il 16/07/2009

SI SMURA!!

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Decrescita Felice

Post n°56 pubblicato il 17 Ottobre 2009 da gabriele_amore

Il problema della classe politica (non solo quella italiana) è che è vecchia. Vecchia, perché ragiona secondo schemi che non solo sono stati elaborati 200 anni fa ma che anche si sono rivelati fallimentari.

Sia la destra che la sinistra individuano l'origine del benessere (e della felicità) nella produzione di ricchezza; la differenza tra le due parti consiste solo nel modo (nei criteri) in cui questa ricchezza deve essere ripartita. In ogni caso, condizione necessaria perché si possa avere benessere è che la produzione di beni e di ricchezza sia adeguata alla domanda (sempre crescente) della popolazione. In una parola, benessere e crescita devono coincidere. Come conseguenza, la de-crescita è individuata come un male da evitare, prevenire, combattere. La crisi americana dei mutui è stata determinata dalla politica delle banche di concedere prestiti anche a chi era nell' evidente impossibilità di pagare (erano i cosiddetti clienti “sub-prime” cioè di seconda scelta). Questo per alimentare la richiesta immobiliare e permettere alla sua industria di crescere e quindi di continuare a esistere. Il fallimento di questo modo di ragionare è sotto gli occhi di tutti e si concretizza in quella che è stata definita la peggior crisi dell' era industriale, peggiore persino di quella del 1929.

Esiste però una visione molto diversa delle cose ed è quanto Maurizio Pallante racconta da almeno tre anni (io però l'ho scoperto solo oggi, meglio tardi che mai!) in un libro e in seminari tenuti in giro per l' Italia dal titolo: “Decrescita Felice”. In cosa consiste, come è possibile associare il termine decrescita, che nella testa dei più richiama l'idea di privazione, alla felicità? Si tratta forse dottrina della rinuncia, di una sorta di Francescanesimo versione terzo millennio? Niente affatto. Il ragionamento si fonda su un punto semplice ma cruciale. Crescita e decrescita sono termini che fanno esclusivamente riferimento al PIL (prodotto interno lordo). Questo valore a sua volta misura semplicemente la quantità di merci, di denaro scambiato, o anche la quantità di energia spesa (o sprecata) da una comunità nel corso di un anno. Non quanto “bene” (inteso come servizi e benessere) viene ricavato da quel denaro o da quell'energia. Per cui si può arrivare al paradosso che paragonando due comunità, una in cui tutte le abitazioni sono costruite in accordo con le nuove tecnologie edilizie per il risparmio dell'energia e una secondo quelle vecchie, avremo che la prima ha un PIL più basso (minor consumo di energia per riscaldare le case significa anche minori spese per l'acquisto e il trasporto di quell'energia) e la seconda un PIL più alto. Il fatto che i cittadini della prima comunità saranno riscaldati allo stesso modo (o anche meglio) di quelli della seconda, che il minore consumo di combustibili renderà la qualità dell'aria nella loro comunità migliore, che i soldi risparmiati in bolletta darà loro la possibilità di usarli per altri beni, o anche permetterà loro di lavorare meno e avere più tempo libero, non è conteggiato da nessun indice economico. É chiaro quindi che il concetto di PIL va superato. Ed è allo stesso modo chiaro che decrescita non coincide in nessun modo con privazione, anzi tutto il contrario.

Decrescita nel senso inteso da Pallante (e non solo lui) significa uso migliore, più intelligente delle risorse disponibili al fine di rispondere ai bisogni reali dell'uomo, non a quelli sempre crescenti indotti dall'industria. Ma il problema è che una società il cui sistema economico è fondato sulla produzione industriale per uscire dalla crisi e “rilanciare” la sua economia, deve in qualche modo usare la forza della propria industria. Come si fa a non cadere nella trappola di sostenere la crescita dell'industria ad ogni costo, scambiando questo per la soluzione della crisi? Lo si fa con una politica che sappia guardare al di là del proprio naso. E l' esempio del contrario è quello che viene spacciato come soluzione da quella banda di incompetenti attualmente al governo (purtroppo la situazione non sarebbe migliore se ci fossero quegli altri). Il ragionamento di questi contabili da quattro soldi è: siccome l'industria trainante è quella dell'automobile e quella edile, bisogna incrementare la domanda e il consumo in queste due aree per salvare l'economia del paese. Ecco allora gli incentivi per la rottamazione e i condoni edilizi (leggi sull'aumento del 20% della cubatura e così via).

Per quanto riguarda il primo “rimedio”, Pallante rileva che il mercato dell'automobile si avvia a una contrazione a livello mondiale. L'automobile è morta, dicono addirittura altri (Grillo tra questi). D'altra parte industrie come la Wolks-Wagen stanno convertendo la loro produzione a quella dei co-generatori. Si tratta di macchine basate sul motore di un automobile capaci di produrre calore dai gas di scarico (buono per riscaldare una casa) e elettricità (dal movimento di un volano, anziché energia per lo spostamento), buona per alimentare 10 case. Quello dei co-generatori è un mercato vergine, quindi in espansione. Una riconversione dell'industria automobilistica in questo senso sarebbe facile (non richiede l'acquisizione di know-how radicalmente diversi da quelli già posseduti) e permetterebbe un rilancio del settore vero perché alimentato da una domanda vera. Da un bisogno reale e non indotto dal consumismo. Una politica degna di questo nome, incentiverebbe tali iniziative con aiuti che allora davvero avrebbero senso.

Per quanto riguarda il secondo “rimedio”, sempre Pallante fa notare come nelle città italiane un settimo degli appartamenti siano vuoti. Non solo. Ma quelli occupati e costruiti da 60 anni a questa parte, usano in media 20 litri di gas per metro quadro per il riscaldamento all'anno. In Germania, in Trentino ed in alcuni comuni sparsi per l'Italia, sono state approvate leggi e delibere secondo le quali non si possono costruire case che sprechino più di 7 litri di gas per metro quadro all'anno. E le tecnologie oggi disponibili, permettono la costruzione di abitazioni che consumano 5, 4 anche 2 litri. Con lo stesso rendimento in termini di riscaldamento. E con evidenti vantaggi per chi quelle case le abita.

E allora, perché invece di permettere che si continui a costruire in modo inefficiente, dannoso a spese del territorio e di chi lo abita (vedi effetti del terremoto all'Aquila e dell'alluvione a Messina), non si comincia a chiedere che le industrie edili si riconvertano al mercato dei materiali ecologici sicuri e ad alta efficienza energetica? Perché non si incentivano opere di ristrutturazione che rendano le case più sicure e più ecologicamente efficienti anziché permettere gli aumenti di cubatura? Sarebbe la scelta politica logica e probabilmente vincente (anche per l'industria edile) in un paese normale. Ma certo è difficile che tali scelte vengano fatte da chi governa se poi questi stessi commissionano la costruzione di opere assurde (leggi: ponte di Messina) a imprese indagate e condannate tipo Impregilo. Magari certe indicazioni, certe richieste potrebbero venire da una opposizione degna di questo nome, attenta ai bisogni di chi vive nel 2009 e non infognata in polemiche inutili che no interessano a nessuno. Chi lo sa...

Ma lasciando perdere considerazioni inerenti alla situazione contingente, il discorso che mi sembra cruciale è che tutto lo scenario proposto da Pallante, per quanto attraente si basa comunque sulla fiducia nel sistema industriale. In altre parole la spinta alla riconversione del sistema industriale verso i nuovi settori legati all'ecologia viene dal beneficio che le industrie ne trarrebbero in termini di competitività. Cioè esisterebbe la possibilità di un'industria che cresce producendo qualcosa di oggettivamente “buono”. Quanto è giustificata questa fiducia? In più, la crescita in tali settori (compreso anche quello del riutilizzo dei rifiuti) è oggi possibile data la verginità di questi mercati e dall'esistenza di una domanda che supera di gran lunga l'offerta. Ma che succede nel momento in cui il mercato si satura? Si creeranno nuovi bisogni e nuove domande? Si arriverà al paradosso di un'industria che produce beni ecologici ma che per farlo in modo competitivo distrugge risorse e svilisce il lavoro e la dignità umana di chi vive in un terzo o quarto mondo ancora da individuare (se continua cosi l'Italia potrebbe presto farne parte)? Il punto è che non si può lasciare l'industria alle sue leggi perché evidentemente non mirano al benessere delle persone. E allora deve essere compito della politica (quella di governo o magari in forma di proposta almeno quella dell'opposizione) individuare i modi per “usare” la forza dell'industria, usarne cioè la capacità di innovare e di individuare le risposte ai bisogni della comunità. Questa è Politica. Non le cazzate di Berlusconi e di chi gli va appresso.

 

Si Smura

 

Gabriele Amore

 

 

 
 
 
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Questo Blog aderisce alla campagna "Berlusconi Vattene". Attenzione: non si tratta di fomentare odio nei confronti della persona del Sig. Berlusconi. Sono semplicemente convinto che il Sig. Berlusconi non persegua gli interessi collettivi e che debba rimettere il mandato di presidente del consiglio (per ragioni che potete leggere qui o ascoltare qua)  In più penso che molti dei comportamenti adottati dal Sig Berlusconi mettano in ridicolo l'Italia agli occhi della comunità internazionale. Per questo mi unisco all'invito:

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Ieri ho aperto un conto e a breve porterò tutti i miei soldini li. Se lo facessimo tutti, forse riusciremmo a costringere le altre banche ad adottare la stessa prassi di BE (lo farebbero solo per non perdere clienti, ma lo farebbero).

E forse potremmo dare un bel colpo allo scudo fiscale.

In ogni caso, ecco alcuni spunti su cosa significherà Scudo Fiscale

 

 

 

 

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E coi regali, le letterine e il panettone torna la classica ricetta della stagione dei doni:

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