Empire Of slack

Una sera. II e ultima parte.


 
Fu solo quando dovette scendere alla sua fermata che tuttici accorgemmo che non era più in grado di deambulare da sola. La teppaglia di ragazzini alle sue spalle aveva, contutta probabilità, tagliato una gomma delle sue ruote e, malgrado si facesse forza con le braccia, non riusciva a staccarsidal terreno del bus. Fu allora che il mio amico, il vecchio ingegnere, mi stupì con la sua pronta reazione: scattò in avanti traversò metà convoglio e impugnò saldamente lemanopole della carrozzella aspettando che l'armamentarioper permettere il trasbordo venisse messo in funzione. Io,per non sapere cosa fare, mi accodai alla sua figura alta e dinoccolata e mi posi a fianco della ragazza, che ci fissavacon un sorriso misto a timidezza. Quando fummo prontiinfilammo la passerella anche se l'ingegnere faceva non poca fatica a mantenersi nel giusto equilibrio con uno pneumatico fuori uso. Comunque approdammo sul marciapiede e subito entrambi chiedemmo alla giovanedove fosse diretta, che l'avremmo accompagnata. Ci disseil nome della via (che era dietro l'angolo) e si presentò come Haleema porgendoci educatamente la mano e ringraziandoci per i nostri sforzi. Ci avviammo laboriosamente in mezzo alla gente, che non la finiva di osservarci, e,sbandando paurosamente, giungemmo all'imbocco delpalazzone degradato dove risiedeva la giovane. Suonammoal campanello che Lei ci indicava, e ben presto ci fu aperto.Stipati dentro un vetusto ascensore arrivammo al quinto piano e sentimmo spalancarsi una porta sul corridoio buio nelmomento esatto in cui Noi sortivamo da quel vecchio arnese.Sulla soglia stava una donna insieme a un bambino piccolo.Zahira (questo era il nome della madre di Haleema) ci fececenno di avanzare e ben presto fummo nella casa, piccolastretta e piena di profumi di cibo. Fummo introdotti ai tre fratelli della ragazza (Akram, Lutfi e Qays), al padre Thaquib,nonché alla nonna, vedova di guerra, Adeela. Restammo per un po' sulle nostre. Il nostro dovere di cittadini lo avevamo fatto ma l'Ingegnere sembrava volere di più. Si capiva che quell'ambiente antico e familiare lo rimandava indietro negli anni e Gli faceva venire un groppo alla gola. Io continuavo a sorridere, stupidamente, come facevano del resto i nostri interlocutori palestinesi. Alla fine l'Ingegneremostrò ai ragazzini alcune giochi di ombre cinesi contro la parete e fummo obbligati a fermarci a mangiare. Le luci si fecero più splendenti, una melodia araba uscì dal piccolo stereo sopra una mensola e attendemmo le portate sedutia tavola con la famiglia di Haleema. Fuori il crepuscolo non faceva più a pugni con le luci fastidiose dell'elettricità.Le aveva decisamente soppiantate e ora dominava quasiincontrastato lungo la viuzza stretta dove riposava il grossoe sgraziato palazzone. L'Ingegnere alzava le mani mentre conversava con Thaquib, mentre Io iniziavo un dialogo con molte pause e imbarazzi insieme alla giovane. Mi parlava della sua università e mi raccontava dei suoi ottimi risultati mostrandomi orgogliosa un libretto marrone. Io l'ascoltavoe replicavo a battiti di parola mentre i suoi occhi mi facevanoannegare nella storia sempre ripetuta, e quanto mai attuale,degli uomini e donne giuste e delle loro sublimi sconfitte.Fuori la notte di sabato stava già diventando la mattina didomenica. E i bambini erano già a letto.(Fine)