Creato da smittino il 22/10/2006
Il lato oscuro dell'economia

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il fatto del giorno 2

17/10/2011
Contnua l'altalena delle borse.

11/10/2011
Strano: le agenzie di rating declassano i debiti, sovrani e non, e le borse salgono. Non dovrebbe essere il contrario?
Macché: si tratta dei giochini della speculazione. Tutto quello che si scrive sulla correlazione negativa o positiva fra valutazioni dei rating e andamento delle borse è acqua fresca.

10/10/2011
Ieri Kenneth Rogof (Harward) ha scritto che la c.d. tobin tax sulle transazioni finanziarie è deletaria perché oltre a a produrre un calo del gettito, cioè un calo delle transzioni di borsa, eroderebbbe il volume dei capitali, e gli stessi lavoratori finirebbero per patirne le conseuenze. Io ne dubito. Sulla prima tesi mi chiedo cosa dovrebbero farci gli investitori con i fondi che continuano a detenere dopo la tassa? Circa la seconda, dieci parole: il capitale non è determinato dalle tasse sul suo impego.

22/5/2011
Anche l'Italia è sotto osservazione delle agenzie di rating. Temo che sia il preludio di un prossimo attacco speculativo.

2/5/2011
Ieri primo maggio di negozi aperti e di santi, mentre la disoccipazione giovanile è al 29%. 

11/4/2011
Le Banche troppo grandi non possono fallire, perché il loro fallimento sarebbe di sistema. Se hanno problmi sono soccorse dagli Stati. Ma è proprio questa certezza la causa che spinge queste banche ad assumere rischi altissimi. Per cui il loro possibile fallimento è sempre in agguato.

21/3/2011
Comunque finisca, la guerra libica avrà conseguenze negative per l'Italia: se Gheddafi resterà in sella, si farà baciare anche i piedi; se cadrà dovremo vedercela con gli immigrati e, probabilmente, con il terrorismo.

16/3/2011
I giapponesi hanno i mezzi e forse ce la faranno a ricostruire. Ma in occidente non si pagherà nessun prezzo? Ne dubito.

3/3/2011
Ho l'impresione che il mondo occidentale, in nome della rel-politic, (leggi petrolio), stia abbandonando gli insorti libici al proprio destino di oppressi. Se sarà verificato, sarà un massacro.

 

 

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Il fatto del giorno 1

24/2/2011
Il giornale tedesco BILD ha scritto qualche giorno fa: Mario Draghi non deve essere il nuovo governatore della Banca Centrale Europea; quando lui era il vice presidente, della banca Goldman Sachs, questa ha coadiuvato la Grecia a costruire il pateracchio del suo debito pubblico che tutta l'Europa sta ora pagando.

15/2/2011
Un signore, che è Presidente del Consiglio dei Ministri, è stato rinviato a giudizio per gravi reati. Mi sarebbe piaciuto che le due circostanze non fossero state contemporanee.

13/2/2010
Il popolo egiziano s'è svegliato ed ha conquistato la libertà. Mi ha ricordato l'Ode a Walt Whitman di F.G.Lorca che si conclude con questi due versi: "...si sveglia ogni cen'anni/quando il popolo si sveglia".

3/2/2010
Stamattina il TG1 ha fatto dire al presidente del Consiglio: presenteremo un piano per far crescere il paese del 3% e forse anche del 4%, in 5/a. Tralasciando il futuro del verbo 'presentare', c'è qualche economista che ritiene che il piano sia credibile?

27/1/201
L'EFSF ha lanciato con successo la prima emissione di titoli propri, per reperire i fondi di soccorso all'Irlanda: per 5 mln richiesti c'è stata una domanda maggiore di circa quattro volte. Speriamo che sia così anche nel caso di prossime, probabili emissioni.

4/1/2001
Il sole 24 Ore oggi titola: "Dalle PMI (Piccole e Medie Imprese) una spinta al PIL".
Meno male, visto che quello legato alla finanza è come 'il raggio verde': quando si vede è un'illusione.

1/1/2011 
Gli interessi sui titoli italiani aumentano. Sembra una buona notizia, ma non lo è. Quando gli interessi salgono, significa che i compratori, temendo un default, pretendono di più.

20/1/2011 
Pagano le proprietà o le utilità, i risparmi o le spese?

7/1/2011 
Il banchiere è uno che vi presta l'omrello quando c'é il sole e lo rivuole indietro appena incomincia a piovere (Mark Twain).

 

 

 

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« Quando si dice austerità.Il credito che manca. »

Maledette tasse.

Post n°108 pubblicato il 20 Febbraio 2013 da smittino

1. La teoria, dalla cultura classica alla cultura dei lumi, ha spiegato lo Stato in vari modi, sicché nel tempo esso ha assunto connotazioni diverse.
Come categoria storico-scientifica, è stato - ed è -  oggetto di studio di molte discipline (filosofia, politica, diritto), e via via che ciascuna di esse ha aggiunto/aggiunge conoscenze marginali, altre sono nate, e nascono, per essere complementari e/o sostitutive delle prime (sociologia, organizzazione, economia). Si deduce che lo Stato è una realtà consolidata, è vivente ed è duratura.
Per il diritto lo Stato è l’organizzazione di un popolo, sopra un territorio, sul quale esercita una potestà d’imperio originaria. Ove risulti verificata l’esistenza di questi tre elementi - popolo, organizzazione e territorio - c’è Stato.
Allo Stato il diritto riconosce personalità giuridica, cioè, capacità di gestione delle attività necessarie per il raggiungimento dei fini che persegue.
Essendo lo Stato un organizzazione pubblica, pubblica è la personalità, e pubblici sono i fini.
Le attività dello Stato consistono in una serie di atti che, insieme, ne rappresentano la gestione. 
Nell’aspetto formale, la gestione dello Stato è nota come amministrazione (pubblica); materialmente è attività economica (pubblica), dal e si risolve in due distinte tipologie di atti: reperimento di mezzi economicamente apprezzabili e impiego di tali mezzi per il raggiungimento dei fini.
Queste assunzioni lasciano comprendere, ed è ‘senso comune’, che:
- lo Stato è persona giuridica che vive in una comunità, e interagisce con essa;
- fra le altre, in forza della sua potestà d’imperio, è la persona giuridica preinente;
- persegue fini propri, distinti da quelli dei cittadini subordinati;
- è soggetto economico, nel senso che pone in essere di atti mirati al procacciamento di risorse, da impiegare per raggiungere fini legittimi.

2. Nelle scienze sociali si è sempre discusso quali debbano essere i limiti - se limiti ci possono essere - dell’attività economica dallo Stato. Nella scienza economica, in particolare, si parla di limiti all’intervento dello Stato in economia.
La discussione ha dato luogo alle due note visioni dello ‘stato agnostico’ e dello ‘stato interventista’.
Lo Stato agnostico (a-gnostico, cioè, che non sa)è quasi estraneo all’economia. Al massimo si interessa della difesa esterna, della sicurezza interna e, magari, di pochi servizi di prima necessità, nel campo dell’educazione, della sanità, della mobilità, e in ogni caso non in forma imprenditoriale. Lo Stato agnostico è meglio noto come ‘Stato liberista’.
Lo Stato interventista è soggetto economico, al pari degli altri, e contempla due forme d’intervento: quello più soft, di tipo socialdemocratico, e quello hard di tipo socialista.
Le rapide considerazioni accennate, implicano il dilemma: stato agnostico, o stato interventista?
La scelta spetta al popolo.

3. Un popolo che pensa di far meglio da sé, piuttosto che con l’ausilio dello Stato, è per lo Stato agnostico. L’esempio storico più significativo di questa tipologia è il popolo americano, che ha sempre ritenuto, e tutt’oggi sostiene, che l’intrusione dello Stato nell’economia non solo non favorisce lo sviluppo, ma rappresenta, e sopra tutto, uno strumento di distruzione della loro personalità umana. Persino presidenti  con idee progressiste,  non hanno esitato ad invitare gli americani a chiedersi quanto erano disposti a fare per l’America, piuttosto che chiedere quanto l’America avrebbe fatto per loro.
Al contrario, un popolo che ritiene che solo con lo Stato si può avere sviluppo, individuale e della società, propende per lo Stato interventista. E qui gli esempi da fare sarebbero tanti, secondo che l’intervento statale sia prevalente (socialismo), o dirigista (come  nei paesi scandinavi).
In concreto, la differenza fra Stato agnostico e Stato interventista è notevole. Ridotta in pillole, può essere riassunta come segue.
Ponendosi pochi fini, lo Stato agnostico svolge poche funzioni, e necessità di risorse ridotte. Al contrario del secondo che, ponendosi fini, praticamente illimitati, tutti quelli che ritiene debbano e/o possano essere d’interesse comune, ha bisogno di risorse più consistenti, e crescenti a misura del progresso civile e sociale.
In entrambi i casi, sono in evidenza le risorse, che sono reperite presso i cittadini, sotto forma di tributi (imposte, tasse e contributi),  e che, nel loro insieme, costituiscono il c.d. prelievo fiscale, o, volgarmente detto, le  ‘tasse’.

4. Poiché sono connaturate a qualunque Stato, (agnostico e interventista che sia), perché sono tanto avversate dai contribuenti italiani?
La domanda è volutamente ingenua, e la risposta più ovvia dovrebbe essere: le tasse sono troppe o, come si dice, la ‘pressione fiscale' è troppo alta.
Ma perché diamo una risposta al condizionale? Semplice: perché si tratterebbe di una risposta non corretta.
Vediamo perché.
Intanto, da quanto fin qui è stato considerato, dovrebbe essere evidente che l’entità del prelievo fiscale è strettamente correlata alla posizione assunta dallo Stato nel continuum che va dallo Stato agnostico allo stato interventista: maggiori sono i fini e le funzioni dello Stato, e maggiori saranno le risorse occorrenti. Detto in altri termini, lo Stato agnostico ha bisogno di minori risorse rispetto allo  Stato interventista, ma svolge meno funzioni, cioè, eroga meno servizi; il contrario per lo Stato interventista.  La conclusione è che le tasse non si possono giudicare dalla loro entità assoluta, ma da questa, in relazione ai servizi che lo Stato eroga. Al più si può discutere della legittimazione di uno Stato a essere interventista, piuttosto che agnostico. Ma questo è tema altro, è va risolto in altra sede (quella politica), prima del giudizio sulla tassazione.
Ma c’è di più.
Si può anche convenire che privilegiando lo Stato agnostico, i cittadini pagherebbero meno tasse, ma bisognerebbe tenere in conto almeno due conseguenze su cui varrebbe la pena riflettere.
La prima è che in clima di Stato agnostico i cittadini dovrebbero provvedere a proprie spese ad una serie di bisogni diversi dalla difesa esterna e della sicurezza interna e, magari, delle comunicazioni. I cittadini, cioè, dovrebbero pagarsi da soli: salute, istruzione, viabilità, trasporti, nel senso che dovrebbero costruirsi ospedali, scuole, strade, treni ,ecc.
L’altra conseguenza, probabilmente di maggiore interesse, è di stretto calcolo economico. E qui, per essere comprensibili, affidiamoci ad un esempio.  Tizio deve operarsi d’appendicite. Le spese mediche ammontano a 20.000 €, e deve provvedere da sé. Durante un anno 10.000 persone devono operarsi d’appendicite e, insieme, spenderanno 200.000.000 di €. Siamo sicuri che, concentrando tutte le operazioni di appendicite in un’unica struttura si spenderebbe una cifra uguale, o addirittura superiore, a 200.000.000? Io penso proprio di no. Con ciò sostenendo che la spesa per servizi, in forma pubblica consente ‘economie di scala’, cioè risparmi, che la forma privata non consente.

5. Conclusione.
Prima di dare addosso alle tasse, cerchiamo di stabilire:
- se possono considerarsi legittime,
- in base  quali parametri se ne può decidere la misura,
- quanto spenderemmo noi, per servizi essenziali, in assenza del pubblico,
- che livello di civiltà sarebbe quello in cui le persone dovessero vivere non sapendo come curarsi, o come migliorarsi culturalmente.
Le questioni elencate necessitano di analisi approfondite, e scelte circostanziate.
In un prossimo intervento ritorneremo sulle analisi. Quanto alle scelte da fare successivamente, cerdiamo la mano alla politica.

 
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