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A proposito di emoticon (senza "s" al plurale, che non esiste)

Post n°940 pubblicato il 17 Marzo 2013 da otellotre

Nota per chi frequenta i social network

Una popolazione che va, prevalentemente, dai 15 ai 35/40 anni massimo (poi si diventa adulti).

È nato, circa una trentina di anni fa, forse per un’intuizione di Kevin MacKenzie o, più probabilmente, di Scott Fahlman, uno dei più diffusi e universali sistemi di simboli della storia della comunicazione scritta, quello delle emoticon. 

La parola rende subito chiaro il senso di questo sistema, infatti è composta da emotion e icon, emozione e icona e le icone, che siano vere e proprie immagini delle espressioni facciali, le cosiddette «faccine», oppure quelle stilizzate composte dai caratteri tipografici, servono appunto a esprimere lo stato d’animo di chi le utilizza in maniera sintetica e, soprattutto, veloce.

Ed è proprio questo aggettivo alla base del loro universale successo, tra adolescenti e più maturi, soprattutto se si pensa alla comunicazione che si è andata affermando in questi ultimi anni, quella degli sms, delle chat e delle email, dove la velocità è indispensabile. Ecco perchè, quindi, prevalendo le doti manuali (velocità) su quelle intellettuali, le emoticon hanno trovato una enorme diffusione, come detto, prevalentemente, tra i più giovani: questi infatti sia per motivi anagrafici, sia per il molto tempo che possono dedicare ai social network, senza dover impegnare il proprio cervello, hanno sviluppato questa simpatica ed elementare capacità (anche con la sola quinta elementare si può essere volocissimi, anzi meglio)

La loro grande affermazione, peraltro, potrebbe dirci molto sulla fragilità delle amicizie virtuali, dove è sufficiente una parola fuori posto o una sfumatura equivoca per vederle svanire.

Il fenomeno delle emoticon, verso il quale è molto diffuso un atteggiamento ingiustamente snobistico, va tuttavia compreso, avuto riguardo al fatto, come più volte menzionato, che chi utilizza le emoticon (vuoi per motivi età, vuoi per deficit culturali) non può confidare nella sua precaria capacità di esprimere le emozioni con le parole, magari anche con il rischio di non essere compreso (o, addirittura, di essere deriso) dai propri compagni di chat.

E allora .... viva le emoticon, almeno finchè non si è nonni.

 

 
 
 
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