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Darfur, il flop degli aiuti del governo Berlusconi

Post n°4 pubblicato il 02 Novembre 2006 da spiancianonna

L´ospedale non è un ospedale. A dirlo sono i medici mandati ad aprirlo in tutta fretta. E anche la gente del Darfur che aveva preso per buona la promessa degli italiani: «Non è un ospedale, al massimo è un ambulatorio». È questo Avamposto 55, la mano tesa dall´Italia al dolore di questo angolo d´Africa da tre anni divorato da una guerra che ha già creato 2 milioni di rifugiati. La telecamera di «C´era una volta» - «Aiuti, chi aiuta chi?», di Silvestro Montanaro, in programma stasera su Rai 3, intorno alle 23 - si infila nella sala operatoria: quattro pareti nude, nessuna attrezzatura, una fessura alta quattro dita sotto alla porta, barriera insufficiente non solo ai batteri ma anche a topi e serpenti. «Non dovete fare il paragone con gli ospedali occidentali, questa è Africa», si affanna a ripetere un´incaricata che fa da guida. Come se gli africani non morissero di setticemia come qualsiasi altro essere umano.

Avamposto 55. Una bimba morente, ranicchiata accanto ad un avvoltoio in attesa del suo pasto: Bonolis a Sanremo 2005 aveva sintetizzato così l´orrore del Darfur, invitando pubblico e artisti a sostenere una speranza, affidata alle mani di Barbara Contini. Mani esperte: governatrice di Nassiriya nell´Iraq «liberato» dalla coalizione, sponsorizzata dal governo Berlusconi, donna di polso. A lei il compito di portare la solidarietà dell´Italia canora - inariditasi a metà della cifra promessa - e non, trasformandola in qualcosa di utile in un paese di sterminate baraccopoli di rifugiati privi di tutto. Del suo frenetico affannarsi tra decine di progetti, riusciti e no, resta una scuola bianca e azzurra dove ci piove dentro e non si è mai svolta nessuna lezione, perché non ci sono soldi per i maestri. I due guardiani che tengono d´occhio la struttura non sono pagati, si danno il cambio per andare ad elemosinare durante il giorno. C´è anche un parco giochi circondato da filo spinato tinto di verde, nessun bambino ci ha messo piede mesi dopo che è stato ultimato.

Fretta di finire, di avere foto da mostrare, di far vedere quel che si era fatto. Non si accontenterà di foto la missione di verifica spedita dalla cooperazione italiana nelle scorse settimane, come spiegano oggi al Ministero degli esteri, per cercare di fare chiarezza sui soldi spesi, su come siano stati impiegati e anche sul ruolo che ha avuto Contini, spedita in Darfur su mandato del governo di centro-destra e lì rappresentante anche dell´agenzia internazionale Img: una doppia veste i cui contorni andranno ora esaminati.

Barbara Contini è sulle spine. I suoi avvocati hanno diffidato la Rai dal mandare in onda il programma, dove lei appare intervistata a casa sua, in due diverse occasioni. «Tutti mandavano milioni di euro. Noi non ne avevamo, per questo hanno mandato me», spiega nell´intervista: era lei il valore aggiunto, il re Mida capace di trasformare in oro quel che toccava, tessendo contatti con i contendenti per imbastire un piano di pace. Che se non è andato in porto, sostiene, è per la piccineria della diplomazia italiana: una storia di invidie personali e di veleni al Ministero degli Esteri. La versione che racconta a «C´era una volta» l´ex sottosegretario Mantica è un po´ diversa: in breve, senza soldi da spendere, il governo Berlusconi avrebbe spedito la Contini «che nell´immaginario collettivo era un´eroina», per fare un gesto, dare un segnale. La diplomazia dell´immagine, sembra di capire. Quanto al piano di pace, per Mantica l´Italia non avrebbe comunque avuto nessuna voce in capitolo di fronte alle superpotenze che si affrontano intorno alla tragedia del Darfur. Perché visto da vicino, questo conflitto silenzioso, assume un´aria tutta diversa rispetto agli odi tribali o allo scontro di civiltà.

Il Darfur non è solo bimbe stremate e avvoltoi pronti a spolparle. Gli avvoltoi, sia chiaro ci sono, ma volteggiano sopra le risorse di petrolio, oro, argento e uranio che imbottiscono questa regione del Sudan. La Cina si è già assicurata una grossa fetta delle risorse energetiche del paese, che le garantisce l´8% del suo fabbisogno, ma non è la sola a puntare all´Africa per soddisfare la sua sete di petrolio. In ballo ci sono anche gli Stati Uniti e potenze minori dell´Occidente a secco. Più che uno scontro di civiltà, è una lotta tra titani per spartirsi gli ultimi giacimenti, spazzando via qualunque cosa. Così la Cina sostiene il governo e le milizie janjaweed che flagellano il Darfur, gli Stati Uniti appoggiano i ribelli. Lo scontro è arrivato anche in Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dove Washington non è riuscita a strappare la definizione di genocidio che implicherebbe l´obbligo per l´Onu di intervenire ed ha ventilato la possibilità di un´azione unilaterale. L´emergenza umanitaria giustificherebbe l´urgenza dell´invio di militari per soccorrere, aiutare, così come doveva accadere nell´Iraq vessato da Saddam e dove invece la prima preoccupazione fu proteggere i pozzi di petrolio. Stavolta sarebbe il genocidio la parola chiave, come a Baghdad furono le armi di distruzione di massa.

www.lunita.it

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