FONDALI

Biancaneve è Fantasy


FANTASY, un aggettivo impegnativo. Un marchio che potremmo dare a metà del cinema hollywoodiano contemporaneo. E della tv. E della letteratura (ma in questo caso non solo americana). Io lo appiccicherei anche ai Batman dark di Christopher Nolan, per dire. Non bastano castelli medievali a stabilire il genere, è proprio una filosofia dello spazio-tempo parallelo.Torno dalla visione di Biancaneve e il cacciatore. Indubbiamente un movie fantasy-horror (con poco splatter), un blockbuster probabile prequel di un futuro serial... Aspetta ci metto dentro anche spending review e fiscal compact, che suona bene.Ne ho già parlato nel post #70 ma ci torno su volentieri, perché se c'è una delle poche certezze nella mia vita, questa è legata al mito di Biancaneve. La rivalità ancestrale madre/figlia, il tabu della bellezza sfiorita, la forza della giovinezza e dell'innocenza, l'inganno, la morte, la ressurezione, il potere dell'amicizia disinteressata, la cementificazione dell'amicizia attraverso la solidarietà, la diversità, la sua forza, la mela tentatrice, la scoperta del sesso come fonte di rinascita, e naturalmente il bacio del vero amore. Mi ha fatto piacere ritrovare alcuni di questi elementi nel film. Un film che nel complesso mi è piaciuto e dal quale taglierei immediatamente alcune scene per me davvero inostenibili.La prima: Biancaneve che recita il padrenostro! Ho capito che stiamo rimestando vecchi miti leggendari, come quelli su Giovanna d'arco (la cui iconografia veste la nostra principessa nella parte finale del film), ma forse si poteva spiattellarlo un po' meno goffamente.La seconda: se proprio proprio ne vogliamo disegnare un'eroina "predestinata" alla salvazione del Regno dai poteri oscuri, o la infarciamo di elementi cristiani (vedi l'episodio della mela che passa assolutamente in modo anonimo, fosse stata una pesca cambiava poco) e allora il paternoster ci può pure stare, o scegliamo la versione new-age con tanto di fate e unicorni alla Legend di Ridley Scott con Tom Cruise. Optando più per questa seconda scelta, rimane in sospeso la "necessità" al racconto di questa trovata. Forse il sequel ce lo spiegherà meglio.Il fratello della regina è un'ombra persecutoria della principessa e del suo salvatore - il cacciatore - che non solo ha dell'incredibile (in una favola ci può stare) ma soprattutto del goffo nerd un po' sfigato. Tagliare assolutamente la battuta in cui è lì lì per ottenere l'affido dell'indifesa Biancaneve e una rivelazione infelice gli fa volgere contro il cacciatore per tutto il resto del film.Quarta nota negativa: si rifà a una nota positiva che riguarda l'impianto fondante dell'operazione creativa-commerciale del film (e dei suoi probabili sequel). La simulazione di un universo alternativo (fantasy, appunto) di Tolkiana memoria. I riferimenti al Signore degli Anelli versione Peter Jackson sono più che evidenti. Purtroppo la fonte letteraria è troppo esigua per permettere di ricostruire una mappa del Regno. Tuttavia quest'operazione secondo me andava fatta. L'epicità di un racconto del genere in cui si scontrano due eserciti e nel quale il passato e le motivazioni della Regina Ravenna hanno un peso nella trama, non può prescindere da un lavoro in fase di sceneggiatura dove s'incasella ogni elemento spazio/temporale. Se la cosa è stata pensata, beh, non si percepisce.Diverso e ben più articolato il lavoro fatto sui libri di George RR Martin nelle serie tv Game of Thrones-Il trono di spade.Premetto che sono un fan della prima ora di questa serie. Pur non avendo gradito a suo tempo il primo libro, lasciandolo a metà (fatto raro per me, ma davvero i troppi nomi mi davano alla testa), le prime due serie le ho proprio molto apprezzate (soprattutto la prima!).Tutto quel potenziale che pure secondo me ha ispirato Rupert Sanders, il regista di Biancaneve e il cacciatore, non è stato sfruttato al meglio. La complessità dei giochi di potere fra i clan e i regni dei romanzi di Martin è troppo per un film di due ore, ok, tuttavia alcuni elementi come le foreste inaccessibili e le terre innevate potevano già che c'erano trovare un senso più compiuto se l'ispirazione diventava ancor più capillare.Rimane il fatto che Biancaneve e il cacciatore, proprio grazie al suo regista (e a un'interprete eccezionale vagamente shakespeariana come Charlize Theron) è un film di grande impatto visivo. Sanders, ex director di spot è qui al suo primo lungometraggio. Non si direbbe vista la maestria con cui crea immagini, o forse sì proprio in quanto legato alla sintesi pubblicitaria. Alcune forse un po' troppo leccate, altre magari un po' leziose in ricordo di vecchie pubblicità (Biancaneve su un inutile cavallo bianco fa molto Badedas), ma nel complesso tutto molto ricercato e d'impatto (bellissima come un quadro caravaggesco la morte della regina fra le candele).Non mancano riferimenti al capostipite inimitabile disneyano del 37, a partire dal look di Biancaneve e della Regina in versione black, e poi lo skyline del castello, gli incubi nella foresta oscura, gli animaletti nell'arcadia magica delle fate, il ballo di Biancavene con un solo nano (l'ottavo, quello destinato al "momento lacrima"), la battuta di una sorta di Brontolo nei sotterrai del castello "Andiamo a lavorare... ma chi fischia si prende un pungo nel muso".La battuta migliore rimane quella del duca al risveglio di Biancaneve. La novella Jeanne d'arc di bianco vestita, risorta come lazzaro grazie al mitico bacio (no spoiler ;) incita la popolazioe ad insorgere contro la tirannia, il duca, piuttosto pavido e sconfortato da anni di inutile opposizione (a me ricorda qualcuno, non so voi...) le dice: "principessa, le consiglio di riposare un po'".Ultima nota: lo specchio. Entità enigmatica, poco presente nonostante la sua continua evocazione da parte della regina, lascia Biancaneve incantata nello specchiarsi. La continuazione mi ci gioco la reputazione, partirà da lì. Come nel ciclo tolkiano (di cui ci aspettiamo uno spettacolare Lo Hobbit) anche qui è un oggetto con anima tentarice a tessere il filo rosso di una trama che spero risolva i dubbi e quel senso d'incompiutezza che mi ha lasciato la bocca un poco amara.