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Post n°78 pubblicato il 24 Marzo 2013 da autonomist
Sono trascorsi già quarantacinque anni, lo scorso mese di ottobre, da che Ernesto Guevara morì, in quel modo che tutti sappiamo. Nel frattempo il mondo è andato avanti e il terzo mondo (quello del "Che") è sempre più povero, come povero sta ora diventando anche questo mondo. E lui, che sembrava dimenticato, torna ad ammonire. Nel corso di quasi mezzo secolo, la figura di Guevara si è liberata dal mito, grazie al distacco storico e anche attraverso il lavoro di tanti che, forse senza neanche saperlo, hanno "preso" da lui. Oggi, pertanto, risulta più facile separare le sue intuizioni dal suo destino: le sue intuizioni generali, dal metodo seguito per tradurle in termini di lotta civile. Il "Che" dei poster è quasi del tutto scomparso col suo mito. Il "Che" reale continua invece a vivere al calore dell'utopia che rappresentava. In questo, il vero valore del "Che" consiste nell'andare controcorrente nelle acque più tempestose. La summa del suo pensiero è il principio che il vero rivoluzionario è l'uomo capace di fare dentro di sé la rivoluzione; e solo dopo aver fatto questo, egli pensava che si potesse cominciare a lavorare per cambiare le cose. Sul terreno della lotta armata è oggi chiaro a tutti che nessuno può farcela. Ma si può farcela sul terreno della solidarietà pura, dell'impegno, della coerenza, che la ragione di stato non capirà mai e non potrà mai controllare. Ciò che indignava il "Che" nel 1965 è oggi più forte di prima: si tratta solamente di cambiare il modo di reagire a quell'indignazione, non di evitare di indignarsi. Della rivoluzione, Guevara è stato forse - più che altro - un poeta. Non uno che non sapesse farla, ma piuttosto uno che finì col dimostrare che la rivoluzione non esiste come fatto anche se bisogna saperla immaginare, nella forma concreta di un futuro magari lontano, ma raggiungibile. Cominciando da noi stessi. |
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