Storie e non storie.

Il mio racconto di Natale


 La luce degli abbellimenti natalizi si riflette sulle mattonelle dei marciapiedi di corso VittorioEmanuele rendendo la notte simile al giorno, la gente si affolla nei fluorescenti e superaddobatinegozi, il traffico é chiuso, il che permette ai pedoni di poter invadere la parte di strada riservata allacircolazione dei veicoli a motore. Un gruppo di ragazzini, probabilmènte non ancora undicenni, sirincorrono urlando e insultandosi a vicenda, nessuno li nota, ormai la gente è così abituata a un certo linguaggio che sembra quasi soddisfatta nel sentirlo, anche se proviene dalla bocca di un bambino.  Il castagnàro è intento a buttare sale sul fuoco e due goffi babbonatale si contendono il monopoliodelle fotografie, insomma tutto sommato si prospetta davvero una bella vigilia di Natale. La donna esce di casa e si incammina per il lungo viale in direzione nord, per lei ormai il Nataleè un giorno come gli altri, nessuno le farà trovare un dono sotto l’albero, del resto l’albero lei non lofa più da almeno vent'anni. Nessuno si ricorderà di fargli gli auguri, la sua ormai goffa e gobbafigura si avvia lenta, come ogni sera da un infinito numero di mesi a questa parte, alla ricerca di unnuovo bottino. Ormai sono lontani i tempi in cui era temuta e rispettata, in cui i suoi alunni avevano paura eammirazione allo stesso tempo, in cui i colleghi di lavoro la tenèvano in alta considerazione eperfino i prèsidi che negli anni si erano succeduti con la frequenza delle stagioni non osavano maicontraddire quello che lei sentenziava, di quando era la più anziana per servizio ed anche il simbolodi quella scuola. La scuola era sempre stata il suo unico e immenso amore, adorava percorrere l’aula da uno spigoloall’altro decantando, a voce alta e senza l’ausilio di alcun libro, i sonetti del Foscolo o le odi delManzoni, il suo recitare quei bellissimi componimenti affascinava gli studenti al punto da indurli achiudere gli occhi e ad immaginare di esserne i protagonisti. Poi c’era la più grande dellepassioni, l’opera che più di tutte aveva svisceratamente idolatrato, la sua, come lei amava definirla, Divina Commedia. Voi non ci crederete ma conosceva tutti i canti a memoria, quella era stata dasempre la sua compagna, era un sentimento vero e forte, ecco perchè non si era mai sposata, volevacondividere la sua vita solamente con le sue passioni, la scuola e i sacchetti della spazzatura. Maniaca?  Si! Il passo della donna è lento ma costante, il percorso sempre lo stesso da trent’anni, ormai conosceogni singola mattonella di quel tragitto, ogni singola porta o portone e la strada conosce lei, la sentearrivare, alleggerisce il suo passo e l’accompagna in quella eterna ricerca, una ricerca lenta emeticolosa, è consapevole che chi la vede per strada la considera una pazza, ma non le importa, quella è la sua missione la città la sua Camelot e lei altri non è che Parsifal alla ricerca del Graal.Ecco il primo obbiettivo, il suo cuore si riempie di gioia nel vedere tutti quei sacchetti multicolori, sono proprio tanti proprio come piace a lei. “Adesso mettiamoci all’opera!” dice a se stessa e dirigendosi verso i cassonetti della spazzatura tirafuori dei piccoli pezzi di spago dalla tasca. “Guardate la perpetua!” strilla un ragazzo di circa quindici anni con la testa rivolta verso un gruppodi compagni e l’indice in direzione della donna e così facendo le si avvicina silenziosamente e appena giunto alle spalle di lei la spinge facendola ruzzolare per terra e scappando continua agridare: ”Ritorna nella tua grotta strega!”. Che spavento si è presa, il suo battito cardiaco èacceleratissimo, le sue mani si appoggiano al marciapiede cercando di fare leva durante l’invanotentativo di alzarsi. “Posso darle una mano?” La mia voce calma sembra colpirla inaspettatamente, mi guarda con  occhi lucidi e timorosi, è ancora scossa per l’accaduto, si vede chiaramente che non si fida di me:                      ” La prego! Lasci che l’aiuti!” Aggiungo ” non è stata una bella caduta, prenda la mia mano!”. Raggiungiamo Silvietta (la mia Punto blu) con passi lenti, la donna, ancora un po claudicante per lacaduta, è aggrappata al mio braccio, è proprio un bel quadro, io lei e i tre sacchetti pieni dicartastraccia che, alle 21:00 circa di una bellissima vigilia di Natale, lenti e quasi abbracciati cidirigiamo verso la fine del viale. “Dove l’accompagno?” “Io abito in via Colajanni, ma non è necessario che arrivi fin là, sto meglio, posso anche arrivarci da sola." “La prego, per me è un onore e un piacere e poi io abito da quelle parti!” le dico mentendo. Via Colajanni è una delle strade che amo di più, non solo perchè ci sono cresciuto, è proprio unaquestione di pelle, la sento mia. La donna abita al terzo piano di un altissimo palazzo al centro di quella via, è imbarazzata e nel salutarmi mi chiede timidamente di salire su da lei a bere un goccino di lemoncello fatto in casa, non so che fare, l’idea di salire a casa sua non mi alletta molto e poi Alessia mi sta aspettando, ma quegli occhi, dovreste vederli vederli, sono bassi e impacciati, ma soprattutto rassegnati a quello che secondo lei sicuramente sarà un rifiuto. L’appartamento è piccolo e abbastanza pulito, certo c’è odore di chiuso, ma tutto sommato è meglio di quello che avevo immaginato, pochi mobili in stile ottocento siciliano e una grande, anziimmensa, libreria. Quella vista mi illumina la mente e il cuore, io amo i libri, vorrei toccarli eprenderli uno ad uno, vorrei respirare l’odore delle pagine ingiallite, vorrei............ Mi siedo accetto il lemoncello e iniziamo a scambiare quattro chiacchiere, naturalmente micomplimento per i libri e da lì ,come una novella Sherazade, prende lo spunto per iniziare araccontarmi qualche piccola parte del suo prossimo ormai remoto passato. Dovreste sentirla, la suavoce è calda e avvolgente, il suo italiano è perfetto, non un’inflessione o un accènto sbagliato, unadizione degna del migliore dei Gassman, mi parla di poeti maledetti, di principesse incatenate, passadalla filosofia all’arte senza nessun problema, è fantastico ascoltarla, sono felice di essere salito èun’esperienza bellissima. “Ora devo proprio andare!” esclamo con voce dispiaciuta, ”A quest’ora mi avranno dato perdisperso, ma perchè non viene a casa con me? La prego mi farebbe molto piacere, potrebbe passare la vigilia con noi,dai!”                                                                     -------O------- Forse è questo che avrei dovuto fare quella sera, ma non ho avuto il coraggio, non l’ho avuto quellasera e non l’ho avuto tutte le volte che l’ho vista per strada di notte tendere il dito in cerca di unpassaggio per lei e per tutti i suoi sacchetti. Oggi in questa notte di Natale passata ospite di un Dio che non è il mio ti chiedo perdono Dolcesignora, perdono per tutte le volte che ho fatto finta di non vederti, per tutte le vote che ho riso dite, per tutte le volte che a scuola ti ho chiamata con nomignoli non adeguati al tuo essere masoprattutto per tutti i Natali che hai passato da sola a lèggere il sommo poeta. Perdonami se puoi!