Storie e non storie.

Figli del mare


Descriverti quello che si prova a stare davanti al mare in un’alba di primavera non è cosa facile, l’aria ricca di profumi che entra nelle narici fino ad invadere le radici dell’anima, la luce candida che inizia a schiarire un cielo che fino a qualche minuto prima non si riusciva a distinguere da quell’immensa distesa di acqua sale e vita che ci sta davanti, lo sciabordio dell’acqua che tracima e schiuma avvolgendo i piedi che sembrano mettere radici come  a conferma che siamo parte di quell’immenso spettacolo e non solamente degli estranei osservatori. Se  guardi verso l’orizzonte, lasciandoti cullare e liberando la mente da ogni pensiero, puoi anche sentire il canto delle sirene e le grida del re di Itaca che implora invano il suo equipaggio, I versi mostruosi di Scilla e Cariddi che inghiottono e vomitano quel mare che ormai senti parte di te. Puoi sentire l’eco del tamburi che scandiscono la frequenza delle remate permettendo alle navi puniche di fare rotta verso la nostra isola e più in là, puoi scorgere l’ombra di tre piccole imbarcazioni che, al seguito di un folle italiano, sfidano l’ignoto impavide e contro corrente. Quando ti sembrerà che il mondo ti stia crollando addosso o che tutto e tutti ti siano contro, corri fino ad arrivare al mare, togli i tuoi calzari e fermati ad ascoltarlo, ti dirà lui cosa fare, ogni risposta ti sarà sussurrata dalle onde.  Se ti fermi davanti al mare sentirai la libertà scorrerti dentro, sentirai la mia voce e ancora più in alto sentirai il respiro di Dio. Siamo tutti fatti di acqua e sale  figlio mio! Siamo tutti figli del mare.