Creato da docsamurai il 23/04/2009

SUBARAU

per una nuova etica del Kendo

 

INTERLOCUTORI CERCANSI!

Questo blog è di tutti. Qualcuno scrive, ma consapevole che i Vangeli sono già stati redatti. Qui ogni affermazione è discutibile. Cerchiamo sinceramente interlocutori sereni e critici per un confronto utile a tutti. Leggeteci e, soprattutto, dateci del Vostro. Il Kendo ne ha bisogno.

 

IL DECALOGO DELL'ARBITRO DI KENDO

1. Seguire corsi tecnici tenuti da attuali competenti per futuri competenti

2. NON arbitrare in tornei importanti senza un'adeguata esperienza

3. Farsi la confessione e la comunione prima di ogni gara. Se non credenti o se appartenenti a religioni che non prevedano nè l'una nè l'altra, farsela lo stesso. Aiuta.

4. Dotarsi di adeguati apparati ottici dopo essersi sottoposti a visita oculistica specialistica.

5. Ascoltare i consigli dei Maestri che conoscono veramente il kendo: poco importa il numero dei dan, molto importa la capacità tecnica e di spirito.

6. Spogliarsi da ogni sudditanza e acquisire personalità di giudizio

7. Rifiutare il nepotismo

8. Rigettare l'esterofilia

9. Mettersi in discussione

10. E, soprattutto, rispettare i kendoka

 

 

 

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Gioie e Dolori del Kendo: il torneo Mu Mun Kwan 2009

Post n°2 pubblicato il 24 Aprile 2009 da docsamurai

Mancavo da Lodi dal 1986. In 23 anni la cittadina è cresciuta, e quel che ricordavo come un piccolo paese avvolto nella bruma invernale si è rivelato un luogo brioso, ricco, con una vitalità piacevole e accogliente. Pianure verdi cullano l’abitato e dalla sua periferia al centro è un crescere di strutture organizzate, di persone cortesi, di strade pulite che si stringono attorno a un centro storico bellissimo, con massicci portici pieni di luci, movimento e umana simpatia.

Mi ha fatto dunque un gran piacere tornarvi in occasione dell’XI edizione del Mu Mun Kwan.

L’MMK è considerato uno dei momenti più significativi del kendo italiano, e anche quest’anno non ha deluso. Forse un po’ meno frequentato rispetto ad altre edizioni, ha mantenuto i suoi elevati standard, raccogliendo ancora una volta rappresentative di alto contenuto tecnico e umano.

La parte migliore del torneo è certo l’organizzazione.

Cesare Kim è un simpatico folletto che dai suoi indecifrabili occhi a mandorla esprime calore e ironia, sempre indaffarato da un capo all’altro del palazzetto per porre rimedio alle esigenze dell’ultimo istante: una traduzione per gli ospiti stranieri, la sistemazione di un angolo scollato dello shiaijo, l’elaborazione al computer degli accoppiamenti delle squadre, e tutto quel che viene.

Il M° Kim è il guru di questa come di molte altre manifestazioni, campionati italiani compresi. Papà di Cesare, porta scritta sul volto e nei modi la compassatezza di chi abbia conosciuto molto della vita, sia nella sua componente interiore che in quella combattiva e disciplinata del kendo.

Potrei accennare ad altre persone ottimamente dedite ogni anno alla realizzazione dell’MMK, ma soprassiedo perché non è questo il nocciolo della questione. Dire bene del torneo è superfluo, giacché i contenuti espressi, sia in termini di stage (tenuto dal M° K.C. Ko, Hanshi 8° Dan di kendo e direttore tecnico della nazionale coreana, e fin troppo “up”, considerato il tasso tecnico dei partecipanti,) che di gara, parlano da soli.

Conta piuttosto soffermarsi sul contraltare della manifestazione – la cui responsabilità non è imputabile alla stessa – e che si ripropone nella maggior parte dei tornei nazionali organizzati e/o riconosciuti dalla Confederazione Italiana Kendo: l'arbitraggio.

Poiché a Lodi c’ero, ho osservato e ho ascoltato. E adesso scrivo, per analizzare pubblicamente la generale scontetezza dei kendoka.

Mi son detto che per partecipare a un serio torneo di kendo sono necessari sacrifici. Il kendo è una passione, certo, ma è anche un’attività fisicamente stressante, tecnicamente difficile, mentalmente impegnativa. Il kendoka – uomo di sentimenti, valori e passioni - mette tutto di sè per prepararsi adeguatamente a un, che so?, MMK. Ogni atleta sostiene delle spese per potersi confrontare sul parquet. Molti vengono davvero da lontano, o non hanno alle spalle alcuna forma di contribuzione.

Da questo punto di vista, del resto, la Federazione latita.

Sin qui, ad ogni modo, tutto ok: ogni kendoka segue per scelta la voce della propria passione.

Che ogni cosa venga però poi vanificata da certa approssimazione fa storcere il naso. E anche preoccupare. Mi spiego.

Prima dell’inizio delle gare, il M° Kim, dall’alto della sua delicata autorevolezza, ha offerto ai kendoka alcune indicazioni affinché gli ippon potessero essere riconosciuti come tali. Tale chiarificazione è stata oggettivamente utile perché espressa pubblicamente e a chiara voce.

Sullo shiaijo, però, ogni coordinata è saltata.

Coloro i quali avrebbero dovuto rappresentare la salvaguardia della precisione e correttezza di un combattimento – gli arbitri – evidentemente erano per la maggior parte distratti mentre il M° Kim provava ad illuminare tutti – indistintamente – con le sue considerazioni di tecnica e di spirito.

Così, al momento delle gare ecco prender vita paradossi stupefacenti: chiari ippon negati un istante prima al kendoka A, identicamente eseguiti due secondi dopo dall’avversario kendoka B venivano riconosciuti all’unanimità arbitrale come colpo vincente.

Ancora, da un lato ripetute titubanza nell’accordare un colpo agli atleti italiani – nessuno escluso – e dall’altro lato costante atteggiamento di entusiasta benevolenza esterofila verso gli atleti stranieri: più o meno un ippon per colpo

Ho dinanzi agli occhi I kote inflitti dai coreani - atleti veramente eccezionali dai quali ognuno di noi può solo imparare - ai loro avversari: volavano sfiorando - più che colpendo - il guanto dell’avversario, con tecnica bellissima e implacabile, e giustamente veniva loro riconosciuto il colpo. Ma se un atleta italiano avesse fatto qualcosa di simile, nessun arbitro della nostra federazione gli avrebbe riconosciuto l’ippon: perché, come recita la filastrocca, “se non senti il kote, il colpo non c’è…

Potrei dire altro, ma non importa.

Conta piuttosto riflettere su una questione: quali parametri deve seguire un kendoka? E quali un arbitro? E c’è la possibilità di un punto di incontro tra i parametri degli uni e degli altri?

Insomma, il kendoka da chi si deve guardare? Dall’avversario o dall’arbitro?

Sul fronte tecnico e arbitrale la federazione è dunque chiamata a chiarire d’autorità alcune questioni, se ne è in grado e se la “politica estera dello sport” non la mette, come temo, sotto scacco.

Noi siamo qui per darle alcuni suggerimenti e aiutarla.

Chiudo rilevando che quanto sopra detto non và però assolutizzato: a fronte di arbitri incompetenti, o con manie di protagonismo, o poveri di spirito di imparzialità, primeggiano anche personalità umilmente magnifiche: voglio ricordare ad esempio il M° Zago, il M° Pomero o il M° Lancini – insieme a pochi altri – ai quali và il plauso e la gratitudine dei fianchi, dei polmoni e dei cuori dei kendoka, i quali sanno che - con tali maestri all’arbitraggio - non saranno costretti a spomparsi inutilmente alla ricerca dell’ippon che nessuno, al di fuori di loro, pare essere più in grado di riconoscere.

Con cordialità.

 

Sentzo Tomori



 

 
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