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SONO SPARSA SUL WEB!
Post n°12 pubblicato il 01 Febbraio 2007 da liberagiornalista
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Post n°11 pubblicato il 31 Gennaio 2007 da liberagiornalista
Io sono sicuro che la differenza fra il mio figliolo e il vostro non è nella quantità né nella qualità del tesoro chiuso dentro la mente e il cuore, ma in qualcosa che è sulla soglia fra il dentro e il fuori, anzi è la soglia stessa: la Parola. Ciò che manca ai miei è solo questo: il dominio sulla parola. Sulla parola altrui per afferrarne l’intima essenza e i confini precisi, sulla propria perché esprima le infinite ricchezze che la mente racchiude. |
Post n°10 pubblicato il 30 Gennaio 2007 da liberagiornalista
Avrò per caso sbagliato strada?
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Post n°6 pubblicato il 26 Gennaio 2007 da liberagiornalista
L’unico motivo che può spingere a voler sapere cosa si cela dietro queste oscure sigle è la pura curiosità di capire perché viaggiano sempre in coppia come i carabinieri. Perché non c’è lpu senza lsu. Un po’ come svelare finalmente per quale ragione non debba esserci due senza tre. Se nella vostra vita vi siete già posti questo quesito tanto impegnativo, ma nello stesso tempo eravate sprovvisti di qualsiasi supporto informativo, probabilmente vi siete lanciati in infinite ipotesi. Come me. Naturalmente qui ometto quelle più ragionevoli, preferendo le insensate che più si confanno, obiettivamente, al tono che ha preso questo discorso. Valutandole una per volta, si scoprirà che l’Lsd ad esempio non c’entra nulla, nonostante l’evidente somiglianza sonora, e che Lsu o Lpu non è una catena di supermercati tipo Lidl (o come si chiama), né un negozio di prodotti informatici, tipo Essedì (che si scrive sicuramente così; questo lo so, alé). La verità che si svelerà limpida come acqua depurata dinanzi ai vostri occhi quando qualcuno avrà la pietà di comunicarvela è che un lsu è un tipo che lavora. Un lavoratore. Come quando si dice: “Buon uomo, quello… un lavoratore” (o lavoratrice, fate un po’ come vi pare). E mica un lavoratore come tanti. Nono. Un lavoratore utile. Ah certo. Utile. Efficace, valido, vantaggioso, proficuo, e sinonimi. Insomma che serve a qualcosa. Proficuo, appunto. E per chi? Oltre che per se stesso, visto il seppure misero stipendio mensile (che comunque corrisponde a 4 volte il mio), anche agli altri. Al sociale nel caso del lavoratore socialmente utile; al pubblico nel caso di quello di pubblica utilità. E così si capisce che Lsu = lavoratore socialmente utile, mentre Lpu: lavoratore (di) pubblica utilità. Due filastrocche in tutto. Non si capisce ora quale delle due sigle sia nata prima (ma il web ci verrà in soccorso, fornendoci la documentazione necessaria). In ogni caso lo so che anche voi in questo preciso istante vi state chiedendo per quale assurdo motivo abbiamo inventato due sigle diverse quando ne bastava una. Quale differenza passa tra socialmente utile e di pubblica utilità continua a sfuggirmi come sabbia tra le dita. Non ci dormirò stanotte. Ma un’idea mi illumina d’immenso: sarà che questa distinzione segue il criterio per il quale sefacciolastessacosamalachiamoconunaltronomemagarinonsicapiscechehocopiato oppurechehofattoundoppioneinsommachel’hofattasporca? Se questo fosse vero come sospetto, certo capirei anche perché non li hanno chiamati lavoratori socialmente utili e lavoratori pubblicamente utili, oppure lavoratori di pubblica utilità e lavoratori di sociale utilità. Troppo simili, non va bene. Come quando, chiacchierando con un pescatore in protesta perché erano state proibite le cosiddette spadare, disse che non capiva perché non utilizzare lo stesso attrezzo, visto che a questo è stato cambiato il nome. Così ribattezzato, nessuno ha mai detto che è fuorilegge. Quindi si può usare. Valutazioni semantiche a parte, oggi ho fatto la macabra scoperta che i lavoratori socialmente e pubblicamente utili in Calabria sono 9600. Tantissimi per essere tutti precari. Il loro contratto scade una volta ogni qualche mese e così la Regione Calabria che li stipendia di tanto in tanto lo rinnova in massa. Quando si dice una vita da precario. Lavorare dieci anni senza mai sapere come girerà al governo da oggi ai prossimi mesetti. Magari un parlamentare si alzerà un giorno dalla poltrona e dirà che i lavoratori socialmente e pubblicamente utili sono inutili e qualcun altro farà lo stesso e in silenzio andrà a sopprimerli in massa. Perché bisogna mettere fine al precariato. Oppure no. Di tre mesi in tre mesi, i lavoratori continuano ad essere utili per anni e anni e anni. E spesso, intanto, si rendono utili in cose che non li interessano affatto. Questione di fortuna. Per molti sono passati dieci anni da quando per la prima volta, come noi, qualcuno ha detto loro le parole magiche: “ellesseùùùùùù… elleppiùùùùùù…”, e per loro si aprì il mondo per lavoro. Precario. Ma adesso basta traballare. Che il governo metta qualche cartoncino sotto i piedini di queste sedie. Che 9600 lavoratori siano decentemente, pubblicamente, socialmente utili. Per dirlo, qualcuno ieri mattina, davanti al palazzo del governo regionale, c’ha rimesso un pezzettino della sua salute e sono stati i medici dell’ospedale a cercare di restituirglielo. Il danno e la beffa. Ma quando la sedia balla, ci sarebbe solo da starsene immobili. E questo qualcuno lo sa. |
Post n°5 pubblicato il 22 Gennaio 2007 da liberagiornalista
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Chi di voi ha già letto sul sito di Repubblica la notizia della ragazza che per vent'anni quasi ha vissuto nella foresta e che hanno "acciuffato" mentre rubava riso? E' successo in Cambogia. Ovviamente pare non sia in grado di spiccicare una sola parola. Secondo alcuni sarebbe affetta da una qualche forma di demenza. Vuoi vedere che dopo 20 anni nella foresta sta mentalmente meglio di un uomo vissuto in una metropoli, in mezzo alla civilissima civiltà? Intanto un poliziotto del luogo sostiene che si tratta di sua figlia, scomparsa 18 anni fa. Se così fosse, questa sarebbe una storia incredibile... Inoltre, la ragazza pare non fosse sola, ma avesse un compagno, quantomeno di furto, col quale s'intrufolava nelle fattorie dei contadini per recuperare qualcosa da mangiare. Insomma immagino questa bambina che un giorno si perde nella foresta e poi fa amicizia con le tigri, i rinoceronti.. e anche con un altro essere umano (si saranno riconosciuti come simili?) e poi.. taaadàààà.. nel mondo civile. E' chiaro che voglia tornare nella foresta... E non ha visto ancora il peggio... |
Io il suo nome non so neanche come si pronuncia. Ma in Turchia sì, dovevano saperlo bene. In quel posto lontano, così lontano da sfuggire alla nostra percezione dell'esistente. Da lì, tra le notizie sull'entrata nell'Unione Europea o sulla visita del papa, arriva anche quella sull'assassinio di un giornalista. L'ennesimo. Ucciso. Dopo Anna Politkovskaja. Stavolta non sulla porta di casa, ma su quella della redazione che Dink dirigeva, Argos. Io un articolo suo non l'ho mai letto. Non sapevo neanche chi fosse questo Dink. Quando ho letto la notizia ho messo nome e cognome su quell'enciclopedia sempre aperta che è Google e ho cercato per immagini. Così, per sapere che occhi aveva un giornalista coraggioso. Per avere una sua figura da ricordare. "Più volte perseguito dalla giustizia turca, il giornalista era considerato uno degli esponenti di maggior spicco della comunità armena ed era famoso per aver qualificato come genocidio il massacro degli armeni commesso sotto l'impero ottomano. Una posizione che gli aveva procurato l'ostilità dei nazionalisti turchi che rifiutano il termine genocidio". Questo è quanto riporta Repubblica.it. Ucciso per una parola. Per l'idea che stava dietro quella parola. Genocidio. Giusta o sbagliata, ma comunque un'idea. Vorrei non fosse così, che un giornalista viene ucciso perché ha un'idea diversa da quella di un gruppo politico. E' davvero assurdo. E mi chiedo quanto sia stata dolorosa la sua scelta di dirla, quell'idea, sapendo di parlare a molta gente. E infastidirne di più. Non credo che ora la sua penna dia meno fastidio di prima. Anzi. |
Post n°1 pubblicato il 19 Gennaio 2007 da liberagiornalista
Che ci faccio qui? Ah non lo so. Di tanto in tanto decido di prendermi uno spazio espressivo, e così me lo creo. Faccio ordine, sposto cose, levo la polvere e faccio spazio. In genere poi lo abbellisco (secondo i miei pur opinabili gusti, ovviamente) e mi ci piazzo. Così, senza pudore. Da ieri posso pure dire che mi accomodo, dato che l'avvento atteso di una poltrona comoda ha finalmente modificato la mia abituale, poco confortevole postura. Adesso almeno posso dire di essere una scomoda giornalista comoda. So che l'importante è partire. Non sapevo proprio come cominciare. Ogni volta così: trovare la prima parola è difficile. Perché è quella che decide la piega (o la spiega) di ciò che sarà dopo. Come dire.. il buongiorno si vede dal mattino, per quanto quest'affermazione non sia poi così attinente al normale andazzo metereologico (quante giornate iniziano col sole e finiscono con la pioggia?). Ma facciamo che la smetto di addentrarmi ulteriormente in sentieri filosofici senza uscita. Il punto è che questo post, sostanzialmente, è solo un'introduzione. Così, per cominciare. E se finora avete letto parole a vanvera (quali ho scritto), sappiate che le ho partorite come tali. Tranquilli, non sono sempre così. Fatemi recuperare una dignità, va. Non so ancora cosa farne di questo spazio. Qualcosa sarà |
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