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Lsu et Lpu, what's?

Post n°6 pubblicato il 26 Gennaio 2007 da liberagiornalista
 

L’unico motivo che può spingere a voler sapere cosa si cela dietro queste oscure sigle è la pura curiosità di capire perché viaggiano sempre in coppia come i carabinieri. Perché non c’è lpu senza lsu. Un po’ come svelare finalmente per quale ragione non debba esserci due senza tre.

Se nella vostra vita vi siete già posti questo quesito tanto impegnativo, ma nello stesso tempo eravate sprovvisti di qualsiasi supporto informativo, probabilmente vi siete lanciati in infinite ipotesi. Come me. Naturalmente qui ometto quelle più ragionevoli, preferendo le insensate che più si confanno, obiettivamente, al tono che ha preso questo discorso.

Valutandole una per volta, si scoprirà che l’Lsd ad esempio non c’entra nulla, nonostante l’evidente somiglianza sonora, e che Lsu o Lpu non è una catena di supermercati tipo Lidl (o come si chiama), né un negozio di prodotti informatici, tipo Essedì (che si scrive sicuramente così; questo lo so, alé).

La verità che si svelerà limpida come acqua depurata dinanzi ai vostri occhi quando qualcuno avrà la pietà di comunicarvela è che un lsu è un tipo che lavora. Un lavoratore. Come quando si dice: “Buon uomo, quello… un lavoratore” (o lavoratrice, fate un po’ come vi pare).

E mica un lavoratore come tanti. Nono. Un lavoratore utile. Ah certo. Utile. Efficace, valido, vantaggioso, proficuo, e sinonimi. Insomma che serve a qualcosa. Proficuo, appunto. E per chi? Oltre che per se stesso, visto il seppure misero stipendio mensile (che comunque corrisponde a 4 volte il mio), anche agli altri. Al sociale nel caso del lavoratore socialmente utile; al pubblico nel caso di quello di pubblica utilità.

E così si capisce che Lsu = lavoratore socialmente utile, mentre Lpu: lavoratore (di) pubblica utilità.

Due filastrocche in tutto.

Non si capisce ora quale delle due sigle sia nata prima (ma il web ci verrà in soccorso, fornendoci la documentazione necessaria). In ogni caso lo so che anche voi in questo preciso istante vi state chiedendo per quale assurdo motivo abbiamo inventato due sigle diverse quando ne bastava una. Quale differenza passa tra socialmente utile e di pubblica utilità continua a sfuggirmi come sabbia tra le dita. Non ci dormirò stanotte.

Ma un’idea mi illumina d’immenso: sarà che questa distinzione segue il criterio per il quale sefacciolastessacosamalachiamoconunaltronomemagarinonsicapiscechehocopiato
oppurechehofattoundoppioneinsommachel’hofattasporca?

Se questo fosse vero come sospetto, certo capirei anche perché non li hanno chiamati lavoratori socialmente utili e lavoratori pubblicamente utili, oppure lavoratori di pubblica utilità e lavoratori di sociale utilità. Troppo simili, non va bene.

Come quando, chiacchierando con un pescatore in protesta perché erano state proibite le cosiddette spadare, disse che non capiva perché non utilizzare lo stesso attrezzo, visto che a questo è stato cambiato il nome. Così ribattezzato, nessuno ha mai detto che è fuorilegge. Quindi si può usare.

Valutazioni semantiche a parte, oggi ho fatto la macabra scoperta che i lavoratori socialmente e pubblicamente utili in Calabria sono 9600. Tantissimi per essere tutti precari. Il loro contratto scade una volta ogni qualche mese e così la Regione Calabria che li stipendia di tanto in tanto lo rinnova in massa.

Quando si dice una vita da precario.

immagineLavorare dieci anni senza mai sapere come girerà al governo da oggi ai prossimi mesetti. Magari un parlamentare si alzerà un giorno dalla poltrona e dirà che i lavoratori socialmente e pubblicamente utili sono inutili e qualcun altro farà lo stesso e in silenzio andrà a sopprimerli in massa. Perché bisogna mettere fine al precariato. Oppure no. Di tre mesi in tre mesi, i lavoratori continuano ad essere utili per anni e anni e anni. E spesso, intanto, si rendono utili in cose che non li interessano affatto. Questione di fortuna.

Per molti sono passati dieci anni da quando per la prima volta, come noi, qualcuno ha detto loro le parole magiche: “ellesseùùùùùù… elleppiùùùùùù…”, e per loro si aprì il mondo per lavoro. Precario.

Ma adesso basta traballare. Che il governo metta qualche cartoncino sotto i piedini di queste sedie. Che 9600 lavoratori siano decentemente, pubblicamente, socialmente utili.
Per dirlo, qualcuno ieri mattina, davanti al palazzo del governo regionale, c’ha rimesso un pezzettino della sua salute e sono stati i medici dell’ospedale a cercare di restituirglielo.

Il danno e la beffa.

Ma quando la sedia balla, ci sarebbe solo da starsene immobili.

E questo qualcuno lo sa.

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