Creato da tagliatrentotto il 24/01/2012

Taglia Trentotto

Il mio primo acido libro. Questo blog ne è la continuazione

 

 

« Public enemyIl sito di Valentina Ugolini »

Il vampiro e il treno

Alcune persone nascono con un destino denso di pendolarismo. Probabilmente, nella loro vita, correranno su dei binari precisi o si troveranno nel bel mezzo di strane coincidenze.
 
La mia sorte di pendolare si compì nel 2006, quando diventai un’abbonata della linea Treviso-Portogruaro. Quello fu un anno non particolarmente felice poiché le tariffe ferroviarie erano salite alle stelle, e i biglietti da 30 km, tutto ad un tratto, erano aumentati di ben 50 centesimi. Non ci feci troppo caso, in fondo avevo avuto la fortuna di trovare un posto fisso di impiegata nel centro di Treviso, quando tutti gli altri laureati provenienti da facoltà umanistiche salutavano a turno i temibili Co.Co.Pro e altri mostri del precariato.
Gli inconvenienti del servizio ferroviario furono innumerevoli fin dai primi mesi di lavoro. A causa dei ritardi, noi pendolari sproforndavamo per interminabili quarti d'ora nella malinconia delle banchine che svaniva solo una volta saliti in treno e sistemati sull’acrilico bluette Trenitalia.
Nonostante il tabellone delle partenze avesse fagocitato più volte il regionale del mattino durante gli scioperi, sulla nostra linea ferroviaria, tuttavia, non si udivano troppe rimostranze. Non si sentivano i Porca Troia fare eco agli annunci delle cancellazioni per microfono, e non si vedeva nessun membro del Comitato Pendolari di traverso sui binari. Mi ci sarei messa io, se non avessi abbandonato la posizione orizzontale da un pezzo, in favore di un'immagine più sobria. Insomma nessuno incitava alla rivoluzione, anzi, a ben guardarci negli occhi, ognuno di noi aveva un vagone del cuore ben riscaldato in inverno, un salottino dove sciogliersi in chiacchiere prima di affrontare le brutture dell’ufficio. Eravamo pronti unicamente per la banca o per l'anagrafe, facendo squadra solo la domenica per la partita alla tv, e non avremmo mai potuto maledire un capostazione.
Da noi non esisteva quindi un vero e proprio eroe ferroviario, una voce insistente del malcontento pendolare la cui faccia finiva su volantini sediziosi ad incitare alla guerra, un combattente pronto a rompere i coglioni alle testate locali ogni volta che una carrozza rimaneva intrappolata nella nebbia di Gorgo al Monticano, o il cesso puzzava di piscio. Esisteva però un'anima a supporto del nostro abbonamento che da diversi anni calcava coraggiosa la tratta Treviso-Portogruaro. Il suo nome era Maddalena ed era nata con orgoglio di pendolare. Da sempre aveva occhi come semafori verdi, pronti a far partire un altro convoglio, e i suoi tragitti erano una certezza in mezzo a tanti treni diretti chissà dove.
Fino ad allora però non ci aveva fatto avere neanche un mezzo in più alla sera, ma solo puntualissimi aggiornamenti tariffari e qualche deragliamento.

Conobbi Maddalena sul Minuetto delle 7.35, mentre le sue porte si spalancavano sulla stazione di Ponte di Piave. Non mi passò mai per la mente che Madda, come si faceva chiamare, risuonasse un po’ come Matta nel nostro immaginario piccolo-borghese. In fondo, siamo tutti uguali di fronte all'attesa di un treno: individui discreti con lo sguardo fisso nel vuoto e una mano che stringe una madonnina in modo da preservare l'engine del diretto.
Mi fu subito chiaro che Madda non era una viaggiatrice comune, di quelle che assorbono in silenzio il tran tran del pendolarismo e si trasformano in atomi almeno fino all’arrivo a destinazione. Madda desiderava entrare in contatto con chiunque, anche con i sedili vuoti, e non scendeva mai dal Minuetto senza essersi presentata. E mentre gli inglesi tradizionalmente iniziano le loro conversazioni dal meteo, Madda partiva sempre da una stazione.
Si diceva avesse la capacità di fare i viaggi altrui, anche quelli interiori, solo scambiando un’opinione sugli snodi più validi o i capolinea a cui era giunta nella sua vita. Riusciva perfino a catturare lo spleen ferroviario che aleggiava nella carrozza, interpretando a perfezione il nostro magone per tutti i suicidi avvenuti sotto ad un treno. Per qualche strana ragione, dove c’era Madda non c’era abusivismo, ed eravamo senz'altro tesserati fino a Capodanno.
Quando, in mezzo al nulla delle sette del mattino, in un punto indefinito della linea Treviso-Portogruaro, tutti i vagoni venivano pervasi da una strana sensazione di pre-sportello, che è anche più dolorosa del lavoro in sè, e udivi solo la voce di Madda che avresti voluto mettere prontamente in silent mode, sapevi che i tuoi viaggi procedevano nel migliore dei modi, e non avrebbero subito troppi cambiamenti di rotta. Ti sentivi al riparo da ogni deviazione.
Anche se io studiavo Madda da lontano, lei si era avvicinata fin troppo a me, e temo fosse a conoscenza della mia annosa lotta con un disturbo alimentare che io protraevo dai tempi in cui Carlo e Diana facevano ancora coppia. Le chiacchiere ferroviarie delle otto del mattino sono molto più pericolose delle dicerìe da bar poiché circolano tra abbonati che perpetuano il gossip quotidianamente, almeno fino alla scadenza della loro card ferroviaria.
Non avrei mai spezzato una lancia a favore delle sue doti di leader delle banchine uno e due. Con quei riccioli disposti a condominio, il maquillage denso di cipria compatta e lo sguardo come un imbuto a risucchiare la vita circostante, io l'avevo data per morta nelle relazioni sociali. Invece mi ha stupita per ogni giorno feriale che ho pianto in stazioni punteggiate da timbratrici fantasma: Madda viveva, ma solo su binari altrui.
Tra il 2006 e il 2010, Madda ingoiò nei suoi fiumi di parole moltissimi pendolari, frequentatori, per la maggior parte, del suo vagone preferito, quello di testa, dove le giacche scure Trenitalia occasionalmente si mescolano al beige dei trevigiani.
Non risparmiò neanche un abbonato nella sua caccia, includendo perfino le tessere argento, e ci iniettò tutti di racconti strappalacrime su quei cazzoni dei suoi datori di lavoro, meritandosi pacche affettuose, occhi strizzati da finestrino a finestrino, teneri air kisses, e soprattutto la sua reputazione altisonante in tutte le vetture –ciò per cui lotta ogni leader ferroviario.
Nessuno si accorse mai di essere stato divorato. Le persone normalmente si consegnano alla routine di spostamenti regionali senza particolari aspettative di incontrare l’amore o di vincere al lotto.

Quando si impossessava dei compagni di viaggio, Madda prendeva improvvisamente forza, diventando un mostro di notorietà e di gossip da prima classe. E quando si abbatteva su di noi la tanto odiata soppressione del servizio, con lunghe pause di morte interiore del pendolare in attesa di una partenza, questo era un motivo in più per entrare nelle nostre vite.
Più pendolari Madda inghiottiva, più si sentiva amata, considerata, desiderata. Bulimie sorelle, le nostre, che corrono su binari paralleli, quasi speculari: non era strano per me sentirmi un pò Madda ogni tanto. La malattia diventa ancor più profonda quando riusciamo a catturare l'anima della nostra preda, che sia la stracciatella o una carrozza gemella.
Viaggiando sullo stesso regionale, stavo rischiando di cadere nella rete della sua bulimia ferroviaria, un'indigestione di relazioni che produce strette di mano compulsive e scambi di amicizie solo sui social network, che produce a sua volta il bookclub, per chi è partito già sveglio e voglioso di novità editoriali, che produce heavy metal in cuffia, tu da una parte e Madda sull'altro auricolare, che produce pettegolezzi a palla, a rimbalzare su di me, che guarda caso non sono tagliata per socializzare, o per fare dell'uncinetto viaggiante. Rimanevo a distanza per quanto mi era possibile, cercando di comprendere l'essenza delle nostre ossessioni dalle vetture di coda, quella necessità impellente di impossessarsi di sentimenti sfuggenti, magari diretti a nord, e di renderli rigorosamente incoming.
Ma tutti sanno che un bulimico deve sempre avere l'ultima fetta di torta, a costo di perdere la faccia e diventare lo zimbello dei terminal. E quell'ultima Sacher, per Madda, ero io. Schiva come un procione, fin dall'inizio del mio abbonamento avevo cercato la parte meno vissuta del binario, una terra senza timbratrici, pacata, in cui si giunge solo dopo aver dato tutti se stessi al pendolarismo più spinto di andate senza fare ritorno. Io ero lì, con gli occhi sulle rotaie, e se pensi di attraversarle in tranquillità che tanto il treno non arriva, il treno poi arriva. Per me va sempre così quando decido di partire.
Nascondevo il mio volto da drag queen a causa delle alzatacce dietro a occhialoni scuri, e in questo modo ero al sicuro anche dagli sguardi tristi dei pendolari ammazzati dal gelo del mattino, tranne che da quello di Madda, che, desiderando rubarmi l’anima, diventava sempre più acceso. Reclamava l'ultima compagna di viaggio che ancora non era riuscita ad addentare, per giunta irregolare in qualche mese di strana depressione, senza lo straccio di un documento di viaggio che spuntasse dal taschino.
La mia era una tratta contorta e difficile da digerire, e preferivo affrontarla in solitudine, prendendo posto in vagoni per niente cool, all’ombra di un wc inutilizzato o di sedili ancora vergini. Qualcuno mi aveva detto di leggere I love shopping con mia sorella prima di morire. E io seguivo quel consiglio ogni mattina. Sapevo che il pendolarismo mi avrebbe sfiancato in breve tempo, rendendomi lo zombie della stazione di Treviso, e gli zombie non sono altro che morti viventi.
I miei soli interlocutori erano i controllori di viaggio, gli unici che hanno davvero il coraggio di avventurarsi nel culo di un treno. Io avevo un sogno: quello di fotterli con una tessera ferroviaria taroccata.
Madda mi cercava sia all'andata che al ritorno, per me momenti di vulnerabilità estrema, cuscinetti tra le preoccupazioni del lavoro e il calore del freezer di casa.
Una mattina in cui ero abbigliata fluo, mi scovò in fondo al Minuetto. Anche per lei le storie d’amore nascono solo accompagnate dall’Alta Velocità. Mi chiese di uscire. Io ci andai. Questo non era affatto strano. In passato Madda aveva domandato un appuntamento a tantissimi pendolari e tantissimi pendolari avevano domandato un appuntamento a me. Forse ora avremmo avuto qualche tesserato in comune.
Ma oltre a questo, che cosa ci teneva ferme sullo stesso binario? Forse la fame incontrollata di affetto, o il desiderio selvaggio di essere le regine incontrastate del Minuetto -il suo più esplicito, il mio più filigranato. Forse Madda sperava io potessi rimarginare delle ferite che non sapeva neanche di avere. Forse per la prima volta anche io avrei potuto avere un’amica, un’amica viaggiante.
Ci incontrammo alla cioccolateria Fond di Oderzo, non al Dopolavoro ferroviario. Dopotutto siamo ragazze moderne.
Nel corso della nostra conversazione appresi che Madda lavorava come venditrice in un negozio di mercerie sul ponte di Rialto a Venezia, e per questa ragione il suo pendolarismo, mescolato ai vecchi fasti della Serenissima, era molto più nobile e chic di quello di tutti noi, limitato alla piccola Treviso. Mi resi subito conto che in quegli anni di sfinimento ferroviario e inutile contemplo dei binari, Madda dal canto suo era riuscita a costruirsi un'identità precisa, impersonando una sorta di bridge che unisce la Sinistra alla Destra Piave, Marghera alle terre lagunari, diventando un magnifico trait d’union tra piccole stazioni di campagna addormentate e i crocevia del turismo più vivace. Il suo potere cresceva di abbonamento in abbonamento.
Non le dissi mai che nonostante una nonna Maria in famiglia, ed un passato timidamente ACR, ero una viandante niente affatto spirituale, con mete alquanto consumistiche e terrene in centri commerciali e paradisi del retail. Sudai freddo quando mi chiese di che tariffa ero e altri dettagli della mia vita ferroviaria, e cominciai a parlare russo.
Non le raccontai di quella sera d'inverno che, incappucciata come una vigliacca, andai ad uccidere l'unica obliteratrice funzionante in stazione iniettandola di chewing-gum, così che il giorno dopo sputasse biglietti spearmint. Non le confessai che avrei voluto liberare tutti i miei pidocchi sulle poltroncine puzzolenti del Minuetto, e ancor di più, che sognavo di graffitare le carrozze maledette con cazzi giganti, di buon auspicio ai viaggi che noi single facciamo con l’immaginazione. Ero lì per amarla e nulla più.
Nonostante fossi anche io affamata dell’amore della gente, ad un certo punto, Madda aveva avuto la meglio su di me e mi aveva mangiata. Mi aveva poi svuotata e abbandonata sulla terrazza del Fond con il mio abbonamento discutibile, io bulimica scornata da un'altra bulimica. Non mi rimaneva che sfondare il banco dei pasticcini per consolarmi.
Capii immediatamente che per Madda. i pendolari erano solo un nome nei database di Trenitalia e non le fregava affatto di sapere dove stessero andando. Non esisteva, verso di loro, nessun interesse di tipo sessuale, di trovare marito o una scopata che durasse almeno fino alla fermata dopo, ma tutti avevano la stessa funzione di alimentare il suo vampirismo ferroviario, matricole universitarie come cazzi graffiti.
Nei mesi a seguire Madda  tentò ancora di succhiarmi il sangue, camuffando i suoi assassinii con inviti a teatro e concerti di musica classica, dove, nonostante il Bolero, lei mi avrebbe raccontato per l’ennesima volta di quando era annegata nell’acqua alta di Venezia, per poi abbandonarmi nuovamente, e passare ad un pendolare più giovane, un po’come fanno d’abitudine gli uomini veneti. Ad ogni fermata, io riconoscevo questa fame furiosa. Sapevo fin troppo bene che due bulimie che viaggiano parallele possono finire per scontrarsi, come succede a volte, non
si sa come, coi treni. Per questo la mollai tanto in fretta quanto l'avevo incontrata, arginando la sua malattia alla prima classe.
Madda raccontò tutto subito al padre, il quale aveva l’abitudine di accompagnarla al binario e di pregare per la salute del Minuetto ogni mattina. Sono certa che lui le ordinò di ammazzarmi. Non con un ascia o con una puntura letale ma solo con i suoi pensieri. Le chiese di lasciarmi andare poiché non valeva la pena di avere un'amica come me, capace solo di prendere carne e cioccolatini.
Madda non mi uccise mai, almeno non del tutto. Si rispecchiava nella mia malattia e per questo credeva di volermi bene. Conservò qualcosa di me, un Ciao strappato di fretta nel sottopassaggio della stazione, un Vaffanculo ai servizi sostitutivi nei giorni neri del pendolarismo, qualche scheggia di narcisismo che affiorava quando sorridevo ai finestrini del Minuetto.
Lei rimase male tutta l'estate per la fine della nostra amicizia, soprattutto in agosto, quando i pendolari scarseggiano ed è difficile rifarsi una vita. Poi pian piano si scordò di me. A settembre arrivò l'orda di freschi tesserati universitari, e lei tornò a vivere.

La URL per il Trackback di questo messaggio è:
https://blog.libero.it/tagliatrentotto/trackback.php?msg=11008892

I blog che hanno inviato un Trackback a questo messaggio:
Nessun trackback

 
Commenti al Post:
Nessun commento
 

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Ottobre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
  1 2 3 4 5 6
7 8 9 10 11 12 13
14 15 16 17 18 19 20
21 22 23 24 25 26 27
28 29 30 31      
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

FACEBOOK

 
 

ULTIME VISITE AL BLOG

ventodipassione69pecoranera6969tatyananuovomilena_1_2008petta1vitraf77laradallatorresiouxisiegiogio902nuovaeismarty85gElzbietaWalusmelania_lucekatesupernaturalmoira.mazzega
 

ULTIMI COMMENTI

 

CHI PUŅ SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore puņ pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963