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Post N° 28

Post n°28 pubblicato il 20 Agosto 2005 da unaqualunque_s

La donna davanti a me rallentava, e rallentavo anch'io.
Mi lasciavo portare, mansueto come un neonato dentro una carrozzina.
Il prato a lato della strada era sporco.
Più o meno da quelle parti la mia macchina si era fermata poche settimane indietro.
L'uscio verde era sbarrato.
Bussai più d'una volta, senza risposta.
Sul cavalcavia le macchine sfrecciavano, chissà quante colte ero pasato lì sopra per andare al mare, ignaro di questa vita sottostante.
Altre abitazioni sorgevano oltre i pilastri, baracche di ruggine, roulotte.
La carcassa di un'auto bruciata spuntava ferale dall'erba, forse era caduta dal viadotto e nessuno si era mai preoccupato di rimuoverla.
Accanto, in mezzo a un letto di argilla spaccata dal sole, stava passando un serpente.
La sua scorza nera luccicava mentre di nuovo scompariva nell'erba.
Lei non c'era.
Mentre mi allontanavo, l'ombra della sua casa si allungava su quel paesaggio sconfortato, e mi seppelliva.
Salii in macchina, infilai la chiave d'accensione, ma non la girai.
Mossi la manopola della radio per cercare una frequenza musicale.
Appoggiai la testa sul sedile.
Ero nell'ombra, fuori c'era quella gran calura che non smetteva di ronzare, e il solito deserto.
Ogni tanto un grido isolato rotolava in basso da chissà quale buco.
Spensi la radio.
Allungai le gambe oltre i pedali, socchiusi gli occhi, e la vidi.
Tra le palpebre, in quela fessura da cinemascope.
Attraversava il basamento sorretto da colonne di cemento del grande condominio incompiuto.
Non mi ero sbagliato ad aspettarla lì.
Di nuovo aveva scelto quella strada per ripararsi dal sole.
Nelle zone di luce pareva affrettarsi, per poi rallentare quando entrava nelle lunghe ombre delle colonne dove diventava quasi nera.
Aveva temuto di non riconoscerla, invece la riconobbi subito, appena la vidi.
Lontana, minuscola, rabbuiata dall'ombra.
La sua testa di spaventapasseri, le sue gambe sottili, storte.
Ritrovavo quel passo disorientato, forse da un vizio alle anche.
Camminava senza saperlo verso di me, come uno di quei randagi sfiduciati che filano via di traverso.
Due grosse borse della spesa che affaticavano le braccia tese.
Pesi che non davano stabilità al suo procedere, anzi la sbilanciavano.
Ora casca, pensai, ora casca.
E avevo agguantato la maniglia per uscire, per andarle incontro.
Ma non cadde, si oscurò in un'altra ombra.
Lascia la maniglia e rimasi dov'ero.
La sua fronte ampia riaffiorò alla luce e con essa la sensazione che non era lei che io stavo spiando, ma me stesso.
Mentre avanzava, in quella griglia di luci e ombre, tornavo a impossessarmi fotogramma dopo fotogramma del tempo osceno che avevo trascorso con lei.
Ero scivolato in basso nel sedile, sudavo immobile in un'apmìnea sessuale.
Perchè di colpo ricordavo...il suo corpo spento come quel caminetto senza fuoco, il collo bianco, reclinato, quello sguardo triste, enigmatico.
No, non avevo fatto tutto da solo.
Lei aveva voluto, quanto me.
Più di me.
E il muro, e la sedia che cadeva alle nostre spalle, e i polsi imprigionati in alto contro la carta lucida di quel poster, mi rinvenivano negli occhi.
Il ricordo era nel buio del mio stomaco.
Dove persino l'odore di noi due insieme tornava vivo.
L'odore del delirio che cancella l'odore della cenere.
Era stato un amplesso disperato.
E la disperazione era tutta sua, incollata a quelle gambe scheletriche che ora camminavano verso di me.
Lei faceva l'amore così, non io.
Mi aveva tirato dalla sua parte.
Camminava con le sue borse della spesa.
E cosa aveva lì dentro?
Cos'hai comprato?
Cos'è che mangi?
Butta quelle borse in terra, lasciale alla polvere e vieni da me, cane.

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Commenti al Post:
minsterr999
minsterr999 il 25/03/09 alle 04:55 via WEB
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