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Post N° 46

Post n°46 pubblicato il 23 Ottobre 2005 da unaqualunque_s

Era di nuovo sera, ero di nuovo solo in città.
Svuotai sul piano del mio scrittoio un cassetto colmo di fotografie.
Mi venne tra le mani un'immagine di me adolescente con un paio di pantaloni corti, e una faccia piena di ombre.
Ero grasso, non ricordavo di esserlo stato.
Pochi anni dopo ero già magrissimo, come testimoniava una foto da matricola universitaria.
Alla curiosità poco alla volta subentrò uno strano sconcerto.
Mi accorgevo di una latitanza.
La mia vita era lì, potevo scorrerla sotto le dita nella carta lucida, fino alle immagini più recenti, dove io comparivo di rado, mai al centro dell'inquadratura, gli occhi abbagliati, sorpreso per caso.
In quel progressivo esodo forse era nascosta una mappa segreta.
Volutamente ero sfuggito alla prigionia dei ricordi.
Se fossi morto di colpo, pensai, Elsa avrebbe faticato a trovare una mia fotografia recente da mettere sulla lapide.
Questo pensiero non mi rattristò, anzi mi consolò.
Non avevo testimoni.
Forse era stato lo sdegno verso il patetico egocentrismo di mio padre a condurmi nell'ombra, un'ombra dove abitava un narciso molto più subdolo.
Forse anche nella vita, nelle relazioni più intense, avevo finto.
Avevo preparato l'immagine, poi ero uscito dal campo e avevo scattato.
Era accesa solo l'abat-jour, mi tolsi gli occhiali e affacciai lo sguardo nello spazio buio davanti a me.
Spalancai la porta finestra del mio studio e approdai sul terrazzo.
Piascai sulle piante, guardando il vapore caldo che risaliva da quella terra addomesticata nei vasi.
Il telefono squillò, rientrai.
"Elsa, sei tu?"
Nessuna risposta.
"Elsa..."
Poi, in fondo alla cornetta un fiato grigio che riconoscevo.
Appena la raggiunsi la strinsi, la imprigionai con mio abbraccio.
Respirava addosso a me.
Restammo così, non so per quanto tempo, immobili e stretti.
"Ho avuto paura."
"Di cosa?"
"Che non venivi più..."
Tremava contro il mio collo.
Sprofondai il naso nella scriminatura nera dei suoi capelli albini, avevo urgenza di tirarmi dentro l'odore della sua testa.
L'unica cosa di cui avevo bisogno.
E finalmente stavo bene.
La sua bocca era scivolata fino al mio petto.
La tirai su per le braccia.
"Guardami, ti prego, guardami."
Cominciò a sbottonarsi la camicia, rapidi i bottoni uscivano dalle asole di lurex, correvano sotto le sue dita come un rosario.
E apparve il suo piccolo seno.
Le fermai la mano.
"No, non così."
La presi in braccio e la portai sul letto in camera sua.
La spogliai lentamente, muovendomi intorno a lei senza affanno, con mani oculate, come se stessi preparando un corpo per un'autopsia.
Lei mi lasciava fare, cedevole.
Quando rimase completamente nuda, mi allontanai per guardarla.
Italia abbozzò un sorriso pieno di imbarazzo.
Si portò le mani sul pube.
"Sono troppo brutta, ti prego..."
Ma io gliele presi quelle mani e le condussi in alto, oltre la testa, oltre i capelli sparsi sul copriletto di ciniglia.
"Non ti muovere."
Camminai lentamente con gli occhi lungo il suo corpo, lo solcai pezzo a pezzo.
Poi anch'io mi spogliai, completamente, come non avevo mai fatto davanti a lei.
E anch'io non ero bello, avevo le braccia troppo sottili, un pò di pancia, e quella canna sbieca appesa tra i peli, e anch'io provai vergogna.
Ma volevo che fossimo così, nudi e poco attraenti.
Uno di fronte all'altra, senza fretta, senza foga, immersi nel tempo.
Quando le fui addosso, rimasi dentro di lei a lungo senza muovermi guardandola negli occhi chiari e sfatti.
Restammo così, fermi in quel campo di fuoco.
Una lacrima le scese sulla tempia, la raccolsi con le labbra.
Non avevo più paura di lei, le pesavo addosso come un uomo, come un figlio.
"Ora sei mia, solo mia."
Più tardi, accovacciata in fondo al letto, mi tagliava le unghie dei piedi con una piccola forbice.
"Quanti anni hai?"
"Quanti ne dimostro?"
Ci addormentammo incollati.
Le carezzavo la testa e solo il sonno fermò la mia mano.
E quando mi svegliai, Italia non era più accanto a me.
Trovai un biglietto sul tavolo.
Faccio prima che posso.
La macchinetta del caffè è già pronta.
In fondo al biglietto c'era un bacio lasciato con il rossetto.
Baciai quel bacio.
Andai in cucina e accesi il gas sotto il caffè.
Aprii un pensile e scrutai con quale ordine aveva disposto le cose all'interno, i piatti impilati, i bicchieri piccoli, quelli più grandi, il pacco dello zucchero e della farina chiusi da una molletta di legno per i panni.
Nascosto dietro la porta vidi un calendario a pagina unica.
Nei due mesi appena trascorsi, quà e là, c'era un segno, una piccola croce.
Corsi a ritroso con la memoria, e non ce n'era bisogno, lo sapevo già, erano le date dei nostri incontri.
Feci un'altra scoperta, sopra il frigorifero.
Chiuse dentro un barattolo di vetro, trovai alcune banconote, certe stropicciate, altre semplicemente piegate.
Contai, non mancava nemmeno una lira.

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volandfarm
volandfarm il 24/03/09 alle 23:53 via WEB
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