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Post N° 50

Post n°50 pubblicato il 01 Novembre 2005 da unaqualunque_s

Il giorno dopo la trovo in corridoio, ha fatto amicizia con le cameriere dell'albergo, segue il loro carrello che si sposta da una stanza all'altra, le aiuta, si china a prendere le lenzuola pulite e gliele passa.
Non mi vede subito, così ho il tempo di guardarla.
Parla in fretta, con il suo accento del sud.
E' più se stessa tra quelle ragazze in grembiule, è scivolata fuori dalla prigionia e si è unita alle sue simili.
Ha una cuffia da doccia sui capelli asciutti, sta facendo la stupida.
Mima le movenze di una cliente pretenziosa rimasta senz'acqua.
La ragazza grassoccia accanto a lei ride di gusto.
Non sapevo che Italia fosse così spiritosa.
La chiamo, si volta, si voltano anche le cameriere.
Italia si strappa la cuffia dalla testa e viene verso di me.
Ha il viso arrossato e freme come una bambina.
"Sei già qui..." sussurra.
L'ultima sera cenò al ristorante, fui io a pregarla di scendere.
Avevo voglia di guardarla in mezzo alla gente che ci credeva estranei.
Scese in ritardo.
Si diresse spedita verso un tavolino in fondo, accanto alla porta a vetri che si apriva su un'altra sala.
I miei commensali avevano aliti di vino e di livore professionale.
Manlio era arrivato solo quella mattina e già non ne poteva più.
Sparava a zero su un ricercatore statunitense, guru della farmacologia alternativa.
Disprezzava e aspirava il fumo della sigaretta.
L'accendino d'oro accanto al tovagliolo.
Io pensavo a quello che aveva ordinato Italia, mi sarebbe piaciuto servirle un bicchiere di vino.
Non le avevano portato ancora nulla, forse si erano dimenticati di lei, mi guardavo in giro cercando con gli occhi il cameriere.
Non era tranquilla, mi aveva fatto quel favore e adesso, gomiti sul tavolo, si pizzicava il mento con una mano, aspettava solo l'ora di andarsene.
Potevo percepire il suo imbarazzo anche a quella distanza.
Il cameriere si piegò su di lei, sollevò il coperchio a cupola che teneva calda la portata.
Italia mangiò con il cucchiaio, una minestra, forse.
Mi voltai verso Manlio: la stava fissando.
Lei doveva essersene accorta, aveva smesso di mangiare, giocherellava con un lembo del tovagliolo.
Alzò lo sguardo e vidi che lo spingeva senza nessuna cautela nel campo visivo di Manlio.
Di nuovo aveva quella faccia sfrontata.
Manlio mi colpì con il gomito.
"Mi guarda..." sibilò dentro un greve sorriso che gli gonfiava le mascelle.
"Sta sola, invitiamola, no?"
E prima che io possa trattenerlo, sempre che ne abbia l'intenzione, lui è già in piedi, e senza smettere quel sorriso da scimpanzè la raggiunge.
Gli altri intorno ridono, sono tutti un pò brilli.
Vedo Italia che scuote la testa, si alza, indietreggia, urta contro il carrello dei dolci, poi si allontana.
Manlio, si risiede accanto a me, mette mano sull'accendino d'oro.
"Da lontano era volgare" dice, "da vicino invece è brutta."
Lei è sul letto.
Sfoglia un dépliant dell'albergo.
"Chi era quel cafone?" dice, senza sollevare la testa.
"Un chirurgo ginecologo, cafone."
Ho mangiato bene, ho bevuto bene, ho voglia di fare l'amore.
Ma Italia resta troppo tempo in bagno, e quando esce non viene a letto, prende la sedia e si mette vicino alla finestra, guarda la corte interna, ha il viso ingiallito dalla luce che sale da lì, sta aspettando che la fontana si spenga.
Italia ha preparato dei panini per il viaggio, è scesa a comprare il formaggio, il salame, poi ha spaccato il pane sul letto.
Mi sono svegliato che raccoglieva le briciole con la mano.
Accanto all'ascensore ha salutato le cameriere, si è fatta lasciare gli indirizzi, le ha strette come sorelle.
In macchina, durante il viaggio di ritorno, parliamo poco.
A un certo punto Italia dice: "Ti vergogni di me, vero?".
Lo dice senza guardarmi, buttata dalla sua parte, mentre fissa la strada.
La sua borsa patchwork è colma di piccoli barattoli di miele e confetture della prima colazione che lei ha conservato ogni mattina.
Sorrido, allungo un braccio e sistemo lo specchietto retrovisore.
Ho la testa occupata da pensieri farraginosi, che si mescolano tra loro senza nessun nesso preciso.
Stamattina Elsa ha telefonato, lo squillo mi ha raggiunto in camera, avevo già i babagli pronti, pensavo fosse la reception, così ho risposto senza cautela.
Italia a detto qualcosa, qualcosa legata al suo documento, si era scordata di farselo restituire.
Tua madre ha sentito la sua voce.
"Chi c'è lì con te?"
Ho detto che era la cameriera, che la porta era aperta, che stavo andando via.
Ho alzato il tono della voce.
"Perchè ti arrabbi?"
"Perchè ho fretta."
Poi le ho chiesto scusa.
Lei ha detto ancora qualche altra cosa, la sua voce era leggermente cambiata.
E mentre guido penso che non sono più certo di quello che faccio.
Lascio Italia davanti al palazzo occupato, le raccolgo una mano e gliela bacio.
Ho fretta di separarmi da lei, forse se ne accorge.
Sono gentile, scendo per prendere la sua valigia nel bagagliaio, ma quando scompare nell'androne, risucchiata da quel cattivo odore, mi sento sollevato.
Non resto un attimo di più.
Quel posto stamattina mi sembra terrificante.
Vado direttamente in ospedale, sprofondo nel mio mestiere con precisione.
La strumentista è un pò incerta, dev'essere nuova, mi passa i ferri senza forza.
Mi arrabbio.
Una pinza le cade dalle mani.
Con un calcio scaravento quella pinza dall'altra parte della camera operatoria.

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Commenti al Post:
lorteyuw
lorteyuw il 24/03/09 alle 18:01 via WEB
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