Ci addentrammo semicoscienti dentro oscuri, torbidi cunicoli; aria spessa, umida, freddo di cantina, palpabile, immobile. Dal soffitto gocce di liquido verdastro e malsano.
Ma eravamo perfettamente consapevoli che “dovevamo”, in qualche modo, essere là, in quel momento, accomunati dalla stessa determinazione, mista a coraggio, paura, voglia di espiazione, come pirati usciti da nebbie ancestrali e vomitati fuori dalla storia, in cerca di qualcosa per la quale non avrebbero esitato a immolare parti dei propri corpi e forse la loro stessa anima..
Dead era in testa al gruppo. Una bandana gli cingeva il capo e potevo, nella semioscurità, intravederne il nodo sulla nuca, e l’ondeggiare del drappo dietro l’enorme schiena nuda, oscillante alla stessa cadenza dei passi, ora lasciando scoperto, ora celando, il tatuaggio di un maestoso drago cinese.
Mi fidavo, ci fidavamo di lui. Era stato forgiato nel braccio e nella coscienza, lucida e spietata come acciaio, da anni di militanza nelle frontiere orientali. Avevo sentito dire che, durante uno degli scontri più sanguinosi e crudeli che siano mai stati tramandati, contro i demoni dimoranti nella terra del Non-tempo, si era visto campeggiare, nel mezzo del clangore del metallo, tra grida di agonia e di furore, fendendo corpi e sfidando al contempo gli uomini e gli dei.
Subito alle sue spalle, Vox, il celtico. Avvolto nella sua aura, come sospeso in un alone senza tempo, custode dello Scrigno e depositario di saperi antichi come l’universo,egli era la guida spirituale. Temuto e rispettato dagli uomini e dalla terra stessa, pupillo e nello stesso tempo nemico della Sovrana mano. Mercenario eterno, metteva a disposizione l’infinito sapere in cambio di altro sapere a volte, ma non disdegnava in altri momenti di accettare, come moneta, la compagnia del corpo di qualche gitana, con la quale placare la sua sete discendendo per un momento tra l’inferno degli uomini.
Quasi di fianco a me, l’amico e fratello Kjnasky, il disertore. Percepivo il suo respiro, nell’incedere. Voltandomi un attimo colsi l’incrociare del suo sguardo, ammutinato dalla benda di cuoio nero che gli ricopriva l’occhio sinistro e, trasversalmente, la fronte.
Nei suoi occhi, come in uno specchio, leggevo anche i miei, e scoprii in un istante che eravamo preda di pensieri pressoché identici Era la luce della follia, la stessa follia che ci aveva raccolto in quella notte, allo stesso modo in cui la morte miete i destini degli uomini, e li accomuna sotto la stessa falce..
Nel suo ghigno i denti brillarono come lame in quel budello maledetto da dio.
Mi sentivo sicuro al cospetto di queste figure, al pari di un timoniere di una galea sferzata dal tifone, alle cui caviglie siano stati assicurati massicci anelli legati a catene intrise di sale ed assicurate all’albero di maestra.
SCRITTO DA Zackdelarocha3