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Darfur: stupri e rapimenti nei campi profughi

Post n°2859 pubblicato il 18 Ottobre 2009 da Tatianna

«Avete notizie sulle attività dei janjaweed nella regione?». La domanda, chiara e pertinente, è rivolta a Mohammed Yonis il vicecapo della missione ibrida Onu/Unione Africana (Unamid) in Darfur il quale si guarda in giro alla ricerca di un appiglio dove agganciarsi e trovare aiuto. Passa qualche secondo interminabile. Poi risponde: «Chi sono i janjaweed?». Scusi è vero è bene essere politicamente corretti, chiamiamole milizie filogovernative. Yonis somalo/canadese è gentile e cortese ma è imbarazzato a rispondere alle domande un po’ approfondite. Deve obbedire agli ordini dell’alto, confezionati da Unione Africana e Nazioni Unite, nelle sue varie sfaccettature delle missioni militari e di quelle umanitarie delle sue agenzie: «Non provocare tensioni, tenere un basso profilo e non denunciare violenze e angherie». Comportamento obbligatorio anche per le organizzazioni non governative. Immediatamente dopo il mandato di cattura per crimini di guerra e contro l’umanità spiccato il 4 marzo scorso dal tribunale penale internazionale contro il presidente Omar Al Bashir, le autorità sudanesi hanno espulso 13 gruppi umanitari dal Darfur, con l’accisa di spionaggio. Ora tutti temono di essere cacciati o comunque messi nelle condizioni di non lavorare. Da qui nessuna denuncia e nessuna contestazione. La linea di condotta decisa a New York è: «Lavorare con il governo». Nessuno quindi osa prendere posizioni che possono irritare le autorità di Khartoum. Questo ai livelli alti e ufficiali, quelli, per intenderci, che censurano edulcorandoli i rapporti sullo stato delle cose. Chi lavora sul campo non la pensa così e infatti è disposto a raccontare e a parlare. A spiegare come è vero che la guerra sia scesa di intensità, che i raid dei janjaweed, quei diavoli a cavallo che terrorizzavano le popolazioni bruciando villaggi, siano meno numerosi (anche se non del tutto scomparsi), ma che le violazioni dei diritti umani siano ancora continue e meticolose. Insomma, secondo questi testimoni privilegiati si tratta solo di un cambio di strategia: «Perché finire sotto i riflettori della stampa internazionale o del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite quando si può raggiungere l’obbiettivo di terrorizzare le popolazioni, stuprando le donne e rapendo i bambini?», si domanda uno di essi.

Fonte: Corriere della Sera

 
 
 
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