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« infamia politica da part...la dastra se ne va »

busi un grande

Post n°51 pubblicato il 06 Marzo 2010 da moderafollia

intervista con Aldo Busi è maturata lentamente: dal messaggio di Michele, che il 4 settembre ci chiedeva un contatto con lo scrittore per sottoporgli alcune domande che riguardavano il romanzo Vendita galline km2. Nel frattempo c'è stata la presentazione dell'ultimo libro dello scrittore, Manuale della perfetta mamma, (Mondadori 2000), bisognava attendere. Michele, che partecipa alla Redazione Virtuale, ha portato a termine la sua recensione e ha contribuito alla redazione di un altro articolo: Impossibile non darsi alla scrittura.

  Domenica 5 novembre Dora, stanca di aspettare, ha preso il toro per le corna e ha chiamato direttamente la casa di Busi e, dopo una conversazione molto più intima e sincera di quello che ci si potrebbe aspettare da due persone che fino a quel momento non si sono mai viste ne’ conosciute, ha strappato la promessa di una risposta via fax a tre sole domande. Che donna.

Nell’intervista che segue, Busi parla della sua solitudine, dell’isolamento che sente di subire ad opera del mondo della cultura; dei pericoli che, un intellettuale non schierato e non protetto come lui, corre di fronte all’irrascibilità del potere politico; delle influenze letterarie che, nel corso degli anni hanno contribuito ad arricchire il suo stile inconfondibile.

Chi ha letto i suoi libri, è aduso al suo linguaggio e ai suoi atteggiamenti estremi. Chi procede oltre questa riga, dunque, lo fa a suo rischio e pericolo e non si accettano responsabilità. Se siete minorenni, non parlatene con la mamma.

Quel che ci preme, nella sostanza, è che Busi ci abbia rilasciato un ritratto di se stesso, da cui traspare una giusta dose di egotismo e di insofferenza (e chi non ha le proprie idiosincrasie al giorno d'oggi?), ma nel complesso esprima delle opinioni equilibrate (proprio lui, autore sbilanciato per antonomasia), e soprattutto sincere, sull'essere intellettuale e scrittore a modo suo, nell'odierna società italiana.

Gliene siamo grati e ve lo proponiamo

D: Scrittore: un mestiere solitario?

Busi: Non è giusto il mestiere del mio (sottolineo mio) essere scrittore a essere solitario, è la mia vita stessa che è all'insegna dell'auto-emarginazione, dell’accidia, della non voglia di partecipare se non per mandare affanculo, patteggiare se non per denunciare il tentativo di corruzione (subito e subìto); non aspiro né a consenso né a dissenso, in sé, e la ricezione della mia persona e delle mie opere mi è indifferente, una lode mi lascia freddo quanto un insulto, appartengono all'altro, raramente c’entro qualcosa io; scrivo e non voglio nient’altro, non voglio vedere nessun altro a parte i miei personaggi; sono incapace di ogni diplomazia e mediazione, anche se mi picco di essere infinitamente più generoso che avido (come esigerebbe da me la mia vera natura) e quindi devo essere generoso con metodo; se scrivessi in un altro paese, e non in questo paese di bigotti dove anche Dio è cattofascista o cattocomunista, forse mi godrei un poco la vita, andrei in giro, avrei voglia di incontrare qualcuno; incontrare un italiano, per me, ormai significa incontrare un bidone, il solito intimista con la sua stracca mozione dei (suoi) sentimenti e dei suoi bisognini (sempre mitici); io ho bisogno di amore intellettuale, di partecipazione attiva e in prima persona; ho bisogno di altro coraggio, non posso sempre e soltanto produrmelo da me. Sono bravo a raccontare le barzellette, anche di seicento pagine, perchè so che non posso mai essere io a ridere un solo istante, e mi sta bene, non mi lamento; ma quelle rare volte che esco da casa e entro in Italia - a cena, al cinema, nei negozi, in un giornale, in una televisione, in un dibattito o in un letto - vorrei essermi amputato le gambe prima di farlo. Io non ho nessuno con me, nemmeno un animale (pantegane nell’orto a parte), non ho amici, non ho affetti se non feticistici (privi di comune sentire, ideologicamente e culturalmente distantissimi da me e quindi affetti per abitudine e non certo per una loro vitalità e energia, i miei affetti mi pesano, mica mi alleggeriscono), non ho legami sessuali ne' sentimentali stabili, insomma: invecchio in modo che più splendido non si può.

Sono restato nel tempo, come dire, io all’osso

«Non ho amici, non ho affetti se non feticistici , non ho legami sessuali ne' sentimentali stabili, insomma: invecchio in modo che più splendido non si può.».

D: A venticinque anni dalla morte di Pasolini, come è cambiato il rapporto tra gli intellettuali e la società?

Busi: Gli intellettuali non organici (a un potere, a un partito, a un’industria) non esistono più, non sono mai esistiti (non in Italia) a parte me (ed è anche per questo che la stampa ha decretato da un decennio il silenzio sulla mia persona, facendomi un onore enorme), e se un cittadino qualsiasi, quindi io compreso, si prova a parlare in pubblico di politica, di malaffare trasversale (a destra come a sinistra) non avendo quindi l’immunità parlamentare, rischia dieci querele in un colpo solo: io le prendo ma continuo a parlare (e gli avvocati me li pago io, non ho nessuno allle spalle, fatta eccezione per alcune cause, minori, in solido con editore). Però i giornali non riportano le mie opinioni e intorno alla mia persona circola un che di comodo maledettismo o di spocchia (di mezzecalze di lecchini di Stato e in particolare di questo Governo); ora c’è un sacco di gente che dice di ammirare le mie opere e che compera «laRepubblica» ma è solo un esempio tra tante testate montagnole di polistirolo fatto in casa fra i propri cari) perché crede che sia di sinistra: ebbene, «laRepubblica» non ha mai recensito i miei libri, lo credereste? E sapete perché, fra le altre cose? perché non ho mai firmato un manifesto pro Sofri in vita mia e penso che o deve chiedere la grazia o è bene che stia bene in galera. Il fatto è che non ci si può più chiedere se uno è di destra o di sinistra, ma quanto busiano è (anch’io, prima di diventare un busiano, seppur moderato, sono stato di sinistra). Pasolini: puzza troppo di sangue e sperma e peccato e mea culpa e acqua benedetta (ottima per i bidet della mistica che cade) per i miei gusti.

D: Tra gli scrittori che l’hanno maggiormente ispirata, quali hanno influito sul suo stile, quali sulla sua poetica e quali sulla sue scelte di vita?

Busi: Scelte di vita, nessuno; adoro l’uomo Oscar Wilde per la sua assoluta generosità e coraggio, molto meno per i suoi scritti; sono stato un lettore onnivoro sin da piccolino (e i libri dovevo conquistarmeli nelle case altrui, perché nella mia c’era solo il «Calendario di frate Indovino»; non credo, però, che ci sia stato un solo italiano che abbia avuto su di me una qualche influenza, Lucrezio e Petronio e Marziale e Giovenale a parte (dicono alcuni miei critici anche Sallustio e Seneca, ma perchè li hanno letti loro, non io); ammiro Sterne, Flaubert, Rimbaud, Melville, Hawthorne, Cervantes, Proust (non tutto: lo ammiro troppo per ammirarlo tutto, non è necessario non trovare un difetto per essere sicuri di essere di fronte al genio); uno stile non si può mediare da nessuno, non è questione di nascita, di suggestione, di pedagogia, di cultura: direi che è lo stile del proprio sangue. Io ne ho uno, solo perché il mio sangue, come la mia testa, è mio, e questa è affermazione che calzerebbe per pochi altri (suvvia, sono poche le teste che non sono avvitate sul collo di un altro): dico grazie a tutti quelli che vi hanno contribuito (anche con le dovute malattie veneree, bruscolini), ma la memoria vera dello scrittore sta nella sua gratitudine a pari passo con il suo sistematico oblio. Non credo neppure di poter lasciare «nipotini», il mio stile è tale, non credo si possa imitare, perchè, di sintagma in sintagma, resta una meraviglia imprevedibile per me per primo.

Non stancatevi di leggermi, anzi, cominciate: almeno essere stati italiani per qualcosa!

Aldo Busi
16.11.2000 Montichiari

 
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