Un cucciolo di uomo

La Repubblica.it


Il Sovversivodi EZIO MAUROHA SENZ'ALTRO ragione il presidente del Consiglio a chiedere rispetto per la sua carica e per la sua persona. Ma il rispetto Silvio Berlusconi deve guadagnarselo, come tutti i personaggi pubblici in democrazia, giorno dopo giorno. Martedì ha insultato volgarmente metà del Paese, colpevole di non seguirlo e di ribellarsi alla sua leadership, votando a sinistra. Ieri ha cercato di forzare ancora una volta le regole, organizzando in fretta e furia nello spazio proprietario delle sue televisioni un finto confronto televisivo con Prodi - non previsto e non concordato - in modo da poter comiziare davanti ad una sedia vuota, sotto la luce domestica di Canale 5. Proverò a spiegare perché questa condotta negli ultimi giorni di campagna elettorale non è quella di un politico disperato (Berlusconi può ancora rischiare di vincere) né quella di un leader estremista. No. Tecnicamente, Berlusconi è il Sovversivo. Potremmo dire che l'inizio e la fine dell'anomalia italiana abitano qui, nell'insostenibile tensione a cui è sottoposto un sistema quando il capo legittimo del governo è anche il Sovversivo. Avevamo avvertito che l'agonia politica del berlusconismo sarebbe stata terribile. La realtà è peggio. Ma non era difficile prevederlo. Sono i tratti culturali di questa destra e di questa leadership - prima e più della dinamica politica - a determinare ciò che sta accadendo e ciò che purtroppo accadrà nelle prossime settimane quando il Cavaliere, se dovesse perdere, tenterà di delegittimare il risultato elettorale. Se non partiamo da qui, è difficile capire come si sia arrivati fino a questo punto estremo. La concezione che il Cavaliere ha della sua avventura politica è - ancora una volta in senso tecnico - schiettamente "rivoluzionaria". Non è entrato in politica, come tutti: è "sceso in campo". Non l'ha fatto perché aveva un progetto, ma perché "ama il suo Paese". Non proponeva un programma, ma una biografia. Non indicava un obiettivo, ma un destino. Da quel momento, tutto si è unito e tutto si è scomposto secondo un ordine epico, assumendo una dimensione da paesaggio eroico, rendendo via via mitologica la realtà contemporanea. Biografia privata e destino pubblico si sono confusi, per salvare l'amato Paese dal male che incombeva ed ancora incombe, nonostante la forza e la virtù del Capo, sacralizzato dal voto del popolo, dunque per sempre liberato da vincoli normativi, contrappesi costituzionali, equilibri istituzionali, regole di garanzia. Il Capo si è trovato di fronte al popolo, il suo popolo, concepito fin dal primo giorno e sempre più - in un vero istinto di destra - come una "comunità di elezione", e lo rivela il giudizio sugli elettori di sinistra, "coglioni" perché non tutelano i loro interessi, come se nel discorso pubblico e nella passione politica non esistesse nient'altro che il portafoglio, simbolo subliminale del berlusconismo. Tutto il resto è impaccio: le autorità garanti, gli altri poteri dello Stato liberi ed autonomi, l'opposizione naturalmente, ma anche gli alleati, se non si riducono a coro. Per sollecitare ed eccitare continuamente quel popolo, diventato strumento politico come la "folla" di Guglielmo Giannini, il Cavaliere ha bisogno di usare la televisione, che in parte quel popolo ha creato, o almeno ha "educato". Ecco perché la televisione nel mondo berlusconiano è ben più di un moderno balcone o di un microfono, è qualcosa di diverso da uno strumento anche potente di comunicazione: è il luogo segreto dell'anima berlusconiana, il giacimento culturale della politica e dell'antipolitica, la riserva privata del potere. Ed ecco perché, ancora, Berlusconi non concepisce le regole e disprezza la par condicio: la sua natura politica e la natura televisiva coincidono e coabitano, non sono separabili, fanno parte di quell'identità imprenditoriale che aiuta il politico avvantaggiandolo, mentre lo soffoca. Per il Cavaliere, è inconcepibile che avendo tre televisioni ed essendo probabilmente in svantaggio nei sondaggi, non possa usarle per ribaltarli, come vorrebbe la sua personale forza di gravità, come imporrebbe la sua natura, come pretende tutta la sua storia. Per questo ha trovato normale, ieri, chiedere e ottenere dalla sua rete ammiraglia un programma apparecchiato ad hoc, inventato sulle sue esigenze del momento. È o non è il padrone? Ma attenzione: lo è o no anche in politica? E allora perché stupirsi se salta il confine per lui inconcepibile tra politica e tv, se il suo istinto proprietario stravolge la par condicio, se si rivolge da proprietario addirittura agli elettori, insultando chi non vuole capire e rifiuta di seguirlo? Tutto questo travolge ogni regola, ogni giorno, estremizza il confronto, sottopone il Paese a una pressione e a una tensione politica senza precedenti, e senza giustificazione se non nel destino personale di Berlusconi. La spinta per questa sovversione nasce ancora una volta dalla concezione eroica che il Cavaliere ha di sé e che gli impedisce di accettare il declino. Ogni difficoltà politica diventa così una congiura, ogni dissenso una manovra, ogni critica un tradimento, ogni regola un complotto esoterico dei "poteri forti". Perché, semplicemente, l'ideologia del berlusconismo non prevede che Berlusconi possa perdere. La sconfitta non è contemplata, in una vicenda politica segnata tutta dall'unzione sacra e votata alla redenzione del Paese dal male. Può venire solo da una macchinazione oscura e ingiusta che inganna il popolo e che è ripudiata in anticipo, e per sempre. D'altra parte, è così fin dall'inizio. Tecnicamente rivoluzionaria, infatti, è in Berlusconi anche la concezione della vittoria, che non è la conquista del governo, ma la presa del potere, una sorta di anno zero, di nuovo inizio. Sostenere che Berlusconi è il fondatore italiano dell'alternanza è la più grande delle bugie compiacenti che lo circondano separandolo dalla realtà. Non solo la legge elettorale voluta dalla destra ha ucciso il bipolarismo italiano, ma la natura del Cavaliere non accetta l'insuccesso e la sconfitta, come dimostra la riscrittura di comodo delle vicende del suo primo governo, con il fantasma del "ribaltone" che maschera la sua incapacità di tenere insieme la maggioranza. Dunque, ogni reazione è permessa, anzi è legittima, perché aiuta l'unico legittimo potere a rimanere al suo posto: il resto è sopruso, abuso, errore. Come per gli antichi imperi mitologici, il berlusconismo non ha ormai altra finalità al di fuori del suo essere. Ma per continuare ad essere, è pronto ad ogni cosa, anche perché il suo potere non si fonda sul patrimonio comune civico, repubblicano e costituzionale, ma su un'alienità titanica audace e sprezzante, propria di chi "non aspettandosi nulla dalla società, non vuole sacrificare niente delle sue pulsioni più smodate e funeste". Anzi qui, nelle difficoltà, viene alla luce il Sovversivo, con quel gusto di non obbedire che nasce dal gusto di comandare: ciò che Caillois chiama "lo spirito di dominazione". E con quella che Piero Gobetti, nel 1927, chiamava "la compromettente e ineducata abitudine di pensare in pubblico". È facile, anche se amaro, dire che il Sovversivo ha appena iniziato a mostrarsi apertamente, uccidendo il Conservatore che pure aveva tentato il Cavaliere nei primi anni, e che ha sedotto buona parte dei suoi elettori. Il conflitto di interessi, invece che un impaccio anomalo e pericoloso, diventa così un'arma, se il metodo è la sovversione di ogni regola. Lo ha dimostrato ieri Fedele Confalonieri, usando tragicamente per la sua azienda le stesse esatte parole che Berlusconi usava per il suo partito, con l'accusa alla sinistra di inscenare "prove di regime" solo perché si era ribellata pubblicamente all'ultimo abuso politico della televisione privata del Cavaliere. A differenza di Confalonieri, che passava per moderato, io non ho mai parlato di regime, in questi anni sventurati per il nostro Paese, perché credo sufficientemente grave denunciare l'indebolimento della qualità della nostra democrazia causato dall'anomalia berlusconiana; e anche perché penso che l'Italia possa farcela, con l'arma del voto, a chiudere quest'avventura. Ma l'epilogo rischia di essere peggiore del dramma. Da vero titano, il Cavaliere può ancora danneggiare questo Paese, anche se sarà sconfitto.