San Francesco di Assisi

fratello Sole e Sorella Luna

Altissimu, onnipotente bon Signore, Tue so' le laude, la gloria e l'honore et onne benedictione. Ad Te solo, Altissimo, se konfano, et nullu homo ène dignu te mentovare. Laudato sie, mi' Signore cum tucte le Tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo qual è iorno, et allumeni noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si', mi Signore, per sora Luna e le stelle: in celu l'ài formate clarite et pretiose et belle. Laudato si', mi' Signore, per frate Vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale, a le Tue creature dài sustentamento. Laudato si', mi' Signore, per sor Aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si', mi Signore, per frate Focu, per lo quale ennallumini la nocte: ed ello è bello et iocundo et robustoso et forte. Laudato si', mi' Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba. Laudato si', mi Signore, per quelli che perdonano per lo Tuo amore et sostengono infirmitate et tribulatione. Beati quelli ke 'l sosterranno in pace, ka da Te, Altissimo, sirano incoronati. Laudato si' mi Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente po' skappare: guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali; beati quelli ke trovarà ne le Tue sanctissime voluntati, ka la morte secunda no 'l farrà male. Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate. (Cantico delle creature di San Francesco d'Assisi)

 

SINDONE

 

La figura di Goffredo de Charny, signore di Lirey, in Champagne, sembra uscire direttamente da un racconto cavalleresco. È tra le mani di questo eroico cavaliere che la Sacra Sindone fa ufficialmente la sua apparizione in Francia. Dopo una vita di avventure improntate ai più alti ideali della cavalleria medievale (ed intorno alle quali il nostro scriverà un libro di buon successo, sorta di manuale del perfetto Chevalier), nel 1355 viene incaricato dal re di portare il suo stendardo di battaglia.
È un grande riconoscimento, e il cavaliere non lo disonora: l'anno successivo muore eroicamente nella battaglia di Poitiers, nella strenua difesa dell'Orifiamma, la lingua di tessuto rosso fiammante simbolo del potere supremo e dell'onore di Francia. Come sia giunta, la Sacra Sindone, all'eroico vessillifero di Francia, rimane un mistero. Vediamo le ipotesi che sono state fatte in proposito. La Sacra Sindone potrebbe essere stato un bene di famiglia pervenuto a Goffredo tramite matrimonio o amicizia. Stretti legami collegano Goffredo ai discendenti di Otto de la Roche, feudatario francese e primo duca di Atene, ai tempi in cui proprio ad Atene della Sacra Sindone abbiamo avuto l’ultima segnalazione. La Sacra Sindone avrebbe potuto fare parte dei tesori di famiglia; Goffredo di Charny sposò una diretta discendente di Otto, che avrebbe potuto portargli la reliquia in dote,e fu grande amico di Gautier IV de Brienne, conestabile di Francia e fedele compagno d’armi, anche lui caduto a Poitiers. Se anche non fosse stata materialmente in loro possesso, Gautier IV de Brienne o la stessa consorte potrebbero aver rivelato all'indomito cavaliere il nascondiglio della Sacra Sindone in Oriente: questo spiegherebbe il rapido viaggio di Goffredo oltremare, fino a Smirne nel 1345, ufficialmente compiuto al seguito del Delfino. Ecco il possibile anello mancante della catena che, da Atene, porta il sudario direttamente nelle mani di un cavaliere francese del Trecento. La "pista templare" sostiene che la Sacra Sindone fosse stata affidata a Goffredo durante un periodo di prigionia in Inghilterra, nel castello di Goodrich. Qui essa sarebbe stata portata da quei Cavalieri Templari che scamparono ai roghi e alle carceri di Francia. In contrasto con i fitti misteri dei secoli precedenti, la storia "europea" del Sacro Tessuto, dopo la riapparizione in mano ai de Charny, è sufficientemente documentata: nel 1453 la reliquia viene ceduta da Margherita, ultima erede degli Charny, al duca Ludovico di Savoia. Le travagliate vicende del ducato dei Savoia porteranno in seguito la Sacra Sindone, a più riprese, da Chambéry, in Piemonte, in altre città della Francia e dell'Alta Italia, fino alla traslazione definitiva nella città di Torino nel 1578. La Sacra Sindone, di proprietà di Casa Savoia per oltre mezzo secolo, è stata assegnata, in un lascito testamentario del capo della Casata ed ultimo Re d'Italia S.A.R. Umberto II di Savoia, al Sommo Pontefice. Il re in esilio è morto a Ginevra nel 1983, anno dal quale la Sacra Sindone è divenuta, dunque, di proprietà pontificia.

 

IN FEDE

 

ANTICA SEDE

 

Nel  1102, il Re di Gerusalemme Baldovino II, concesse hai cavalieri di Cristo la custodia del Tempio di Salomone e la residenza nel  monastero fortificato di Nostra Signora di Sion situato a finaco al Tempio, con il passare degli anni il numero dei cavalieri aumentò, cosicchè dovettero trasferirsi a pochi metri, andando ad occupare tutta l'area di quella che era la spianata del Tempio di Salomone, ossia l'area fra la Moschea della Roccia e la Moschea di Al-Aqsaa. A questo punto il loro nome fu cambiato in "Ordine dei Cavalieri di Cristo a Cavalieri del Tempio di Gerusalemme". 

 

 

GOFFREDO DI BUGLIONE

BALDOVINO I

 

templari in Terrasanta

 

 

  


 

 

 

Il Krak dei cavalieri , così chiamato, imponente ancor oggi nonostante i millenni, sorge su un colle di 750 metri , conquistato nel 1109 da Tancredi di Antiochia; fu ceduto in seguito all’ordini cavallereschi. È un castello quasi senza fine, robusto; solo lo spessore della prima cerchia di mura è di 24 metri, la seconda cerchia domina la prima ed infine vi è un robusto mastio che controlla tutte e due; in pratica compongono il krak tre castelli costruiti uno sull’altro ed indipendenti tra loro. Il Krak era considerato il castello più grande tra le tante fortezze -forse il più bello del mondo-, nella valle della Becaa. Il suo nome in arabo significa dunque fortezza, “Karak”, cardine della difesa del porto di Tripoli e della valle d Becaa, inserito come un anello in una collana tra le cui maglie splendevano i castelli della Santa Milizia Templare.
 La fortezza KARAK come la chiamavano gli arabi-. KARAK è un palindromo, cioè una parola che si legge uguale sia da Occidente, sinistra a destra, che da Oriente, destra a sinistra. In sumero significa ‘anima (KA) Sole (sia RA che AR)’. KAR è la ‘forza dell’anima’ [Il nome Carlo ß KAR LU ‘soggetto forza’ comprova].

 

templari lungo la via Francigena

 
La presenza dei Templari in Italia riguardava tanto le regioni settentrionali (ad esempio lungo la via Francigena, una delle arterie principali lungo le quali i pellegrini dalla Francia giungevano a Roma), quanto nelle regioni meridionali e, tra queste, un sicuro ruolo di preminenza fu svolto dalla Puglia per la posizione strategica occupata da questa regione da sempre crocevia tra Occidente ed Oriente. La causa dell'espansione dei Templari in Italia è da ricondurre a due motivazioni principali: la viabilità terrestre e la possibilità di adoperare i porti, in modo speciale quelli della costa pugliese (Manfredonia, Barletta, Trani, Molfetta, Bari, Brindisi), per l'imbarco verso la Terra Santa dei pellegrini e dei Crociati ed il loro rientro, nonché per la spedizione di vettovagliamento e derrate alimentari alle guarnigioni templari in Outremer. L'espansione dell'Ordine (tra la seconda metà del XII secolo sino alla fine del XIII secolo) avveniva secondo una logica ben precisa tendente a privilegiare in primo luogo le località costiere per poi procedere verso l'entroterra. Secondo una stima approssimata per difetto, in Italia erano presenti almeno 150 insediamenti appartenenti all'Ordine del Tempio, di questi meno di un terzo si trovavano nella parte meridionale della penisola.
La maggiore concentrazione di domus templari, molto probabilmente, era nella terra di Puglia ove, tra l'altro, avevano diverse sedi. Gli insediamenti dei Templari erano chiamati in Italia "precettorie" o "mansioni" a seconda della loro importanza, mentre in Francia prendevano il nome di "Commanderies". Anche in Puglia l'espansione sul territorio delle case templari seguì la dinamica sopra esposta: dagli avamposti sul mar Adriatico i Templari cominciarono a penetrare all'interno del territorio pugliese e, in particolare, nelle fertili pianure della Capitanata nell'entroterra garganico e della Murgia in Terra di Bari.I Cavalieri Templari sovente alloggiavano in chiese minori, oratori, cappelle dipendenti da episcopi o cattedrali o in monasteri cui spesso erano annessi ospizi per l'accoglienza dei pellegrini. Grazie all'intervento dei pontefici il Tempio riusciva ad ottenere in concessione perpetua o temporanea immobili appartenenti ad Enti ecclesiastici dietro pagamento di un censo annuo. A volte erano gli stessi Templari a costruire delle chiese, anche se in Italia tale attività sembra essere alquanto ridotta. Ma è soprattutto alle donazioni e ai lasciti dei benefattori che il patrimonio templare vide una rapida crescita sia nelle città che nelle campagne. Le domus templari italiane raramente erano isolate e sovente facevano parte di ecclesiae, con le quali finivano per confondersi. Le domus erano anche costituite nell'ambito delle mansiones, composte nella forma più elementare da un ricovero per i viaggiatori ed una stalla per i cavalli. Le domus-mansiones erano collocate nei centri di transito o confluenza delle principali correnti di traffici e pellegrinaggi che percorrevano l'Italia. La funzione assistenziale era altresì svolta con le domus con annessi degli hospitales.

 

Templari in Puglia

Castel del Monte

All'interno del cortile c'era una vasca ottagonale monolitica che serviva per contenere l'acqua; sotto il cortile vi era una cisterna grandissima. Su cinque delle otto torri c'erano cinque cisterne pensili collocate proprio su quelle torri dove c’erano i servizi igienici. Le cisterne raccoglievano l’acqua e quando erano troppo piene c’era un troppo pieno che scaricava fuori. Il terrazzo del castello è fatto a dorso d’asino: l’acqua che scorreva verso l’esterno riempiva queste cisterne, l’acqua che scorreva verso l’interno riempiva la cisterna situata sotto. Ciò dimostrerebbe che Castel del Monte non è un castello di difesa ma un edificio costruito come un Tempio.Fedeico II, Ordina la costruzione del castello nel gennaio del 1240 e muore nel 1250: c'erano dieci anni di tempo per terminare la costruzione del castello. Alla costruzione del castello hanno lavorato maestranze altamente qualificate come dimostrato dalla costruzione architettonica che è un gioiello di matematica. Le pareti del piano superiore erano tutte rivestite di marmi preziosi che sono stati rubati assieme a sculture e bassorilievi. In quel momento storico particolare in Puglia vi era una presenza molto massiccia dei Cavalieri Templari, i monaci guerrieri i quali erano padroni di tutta la Puglia come dimostrano le numerose testimonianze dal Foggiano al Leccese. La Puglia era una delle dieci province dei Cavalieri Templari disseminate dal centro Europa fino al medio Oriente e in più la Puglia a quel tempo era la cerniera tra oriente e occidente.

 

RE RUGGERO II

Jolly Roger". La tradizione vuole che questo vessillo venisse utilizzato anche a bordo delle navi dei "Poveri Soldati di Cristo e del Tempio di Salomone", come i Templari erano conosciuti originariamente. I Templari combattevano le loro battaglie anche in mare, abbordando ed affondando le navi nemiche: di qui l'analogia coi Pirati e l'adozione della bandiera col teschio e le ossa, la bandiera usata da  re Ruggero II di Sicilia (1095-1154). Ruggero era un famoso Templare e di una flotta di seguaci dell'Ordine si separò in quattro unità indipendenti, quindi era una eredità, e le sue ossa incrociate rappresentavano un chiaro riferimento al logo templare della croce rossa con le estremità ingrossate.sempre legata ai Cavalieri Templari. La notte del 13 Ottobre 1307, prima dell'arresto di massa, in gran segreto, 18 galee templari navigarono lungo la Senna e presero il mare, dirette a La Rochelle, dov'era pronta una flotta templare. I Templari, segretamente avvertiti del tranello teso nei loro confronti dal Re Filippo il bello di Francia, avevano portato in salvo il loro Tesoro e le reliquie più preziose. Le loro vele erano state annerite con del catrame per non essere visti nella notte. Durante il viaggio in mare, i Templari superstiti si riunirono in consiglio per decidere sotto quale segno avrebbero navigato, non potendo più utilizzare la classica croce rossa in quanto ormai bandita. Al termine, fu decisa l'adozione dell'antico simbolo di pericolo, il teschio con le tibie incrociate, con il fondo mutato in nero in riferimento al colore delle vele.

 

 

Portogallo tomar

ORDINE SUPREMO del CRISTO

 E’ il più prestigioso fra gli Ordini Equestri Pontifici, riservato solo ai Sovrani ed ai Capi di Stato, di fede cattolica, che si siano resi particolarmente benemeriti verso la Santa Sede. L’ Ordine venne creato da Dionigi I re del Portogallo ( 1279 - 1325) e dedicato a Cristo, riunendo in tale Ordine tutti i cavalieri del Tempio ( templari ) . Alla nuova istituzione rimase la stessa regola dei Templari, quella Cistercense, come parimenti identici restarono il mantello e la croce patente di rosso, con la sola aggiunta di una piccola croce latina di bianco, caricata sulla prima, in cuore. L’Ordine ebbe l’approvazione del Sommo Pontefice Giovanni XXII il 14 marzo 1319, riservando lo stesso Papa anche alla Santa Sede, oltre che ai Sovrani portoghesi, la facoltà di conferire tale ambitissima distinzione cavalleresca. L’Ordine, con la destinazione di tutti i beni dei cavalieri del Tempio presenti in Portogallo e con lo scopo di difendere il Regno d’Algarve contro gl’infedeli scrisse, nella penisola iberica stupende pagine di eroismo e di gloria, nella dura e sanguinosa lotta contro i Mori. La sede originaria dell’istituzione cavalleresca era situata a Castro Marino, nell’Algarvia ed in seguito venne invece spostata a Tomar, nel vecchio convento dei templari, ribattezzato Monastero del Cristo, per meglio respingere gli assalti dei Mori. Il Sommo Pontefice Eugenio IV ( 1431 - 1455 )

 
Creato da: knighttemplar il 18/05/2008
RICERCHE STORICHE

 

 

IL PRESEPE DI SAN FRANCESCO

Post n°133 pubblicato il 20 Dicembre 2010 da knighttemplar

 

 

Francesco d'Assisi, non c'è dubbio, è il santo del presepe. Ecco come uno dei suoi più antichi biografi, Tommaso da Celano, narra la scena, svoltasi nella valle reatina, a Greccio, nella notte del 25 dicembre 1223. 

"C'era in quella contrada un uomo di nome Giovanni, di buona fama e di vita anche migliore, ed era molto caro al beato Francesco perché, pur essendo nobile e molto onorato nella sua regione, stimava più la nobiltà dello spirito che quella della carne. Circa due settimane prima della festa della Natività, il beato Francesco, come spesso faceva, lo chiamò a sé e gli disse: "Se vuoi che celebriamo a Greccio il Natale di Gesù, precedimi e prepara quanto ti dico: vorrei rappresentare il Bambino nato a Betlemme, e in qualche modo vedere con gli occhi del corpo i disagi in cui si è trovato per la mancanza delle cose necessarie a un neonato, come fu adagiato in una greppia e come giaceva sul fieno tra il bue e l'asinello". Appena l'ebbe ascoltato, il fedele e pio amico se ne andò sollecito ad approntare nel luogo designato tutto l'occorrente, secondo il disegno esposto dal Santo. 

E giunge il giorno della letizia, il tempo dell'esultanza! Per l'occasione sono qui convocati molti frati da varie parti; uomini e donne arrivano festanti dai casolari della regione, portando ciascuno secondo le sue possibilità, ceri e fiaccole per illuminare quella notte, nella quale s'accese splendida nel cielo la Stella che illuminò tutti i giorni e i tempi. Arriva alla fine Francesco: vede che tutto è predisposto secondo il suo desiderio, ed è raggiante di letizia. Ora si accomoda la greppia, vi si pone il fieno e si introducono il bue e l'asinello. In quella scena commovente risplende la semplicità evangelica, si loda la povertà, si raccomanda l'umiltà. Greccio è divenuto come una nuova Betlemme. 

Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero. La selva risuona di voci e le rupi imponenti echeggiano i cori festosi. I frati cantano scelte lodi al Signore, e la notte sembra tutta un sussulto di gioia. 

Il Santo è li estatico di fronte al presepio, lo spirito vibrante di compunzione di gaudio ineffabile. Poi il sacerdote celebra solennemente l'Eucaristia sul presepio e lui stesso assapora una consolazione mai gustata prima. 

Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali, perché era diacono e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva nominare Cristo Gesù, infervorato di amore celeste lo chiamava "il Bambino di Betlemme", e quel nome "Betlemme" lo pronunciava riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto, producendo un suono come belato di pecora. E ogni volta che diceva "Bambino di Betlemme" o "Gesù", passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e trattenere tutta la dolcezza di quelle parole. 

Vi si manifestano con abbondanza i doni dell'Onnipotente, e uno dei presenti, uomo virtuoso, ha una mirabile visione. Gli sembra che il Banibinello giaccia privo di vita nella mangiatoia, e Francesco gli si avvicina e lo desta da quella specie di sonno profondo. Né la visione prodigiosa discordava dai fatti, perché, per i meriti del Santo, il fanciullo Gesù veniva risuscitato nei cuori di molti, che l'avevano dimenticato, e il ricordo di lui rimaneva impresso profondamente nella loro memoria. Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia". 

Francesco d'Assisi è il santo del presepe. Ma non già di un presepe che è semplice teoria cangiante di frulli d'ali angeliche e di belati di pecorelle, di ingenui pastori adoranti e di solenni magi che si avviano in fantasmagorico corteo alla grotta del neonato re dei giudei. Per Francesco il presepe non si esaurisce nel ritmare i sogni innocenti dei bimbi o i rimpianti nostalgici degli adulti. Il presepe è per lui la drammatizzazione dell'amore che spinse il Figlio di Dio a farsi figlio dell'uomo a costo anche di venire al mondo e di vagire tra ragnatele e fieno e alito pesante di animali. 

Il santo di Greccio, del resto, è anche il santo della Verna, che rivive nelle sue carni con le stimmate la passione redentrice di Cristo crocifisso. 

Ma la spiritualità del Poverello d'Assisi non si restringe nei limiti sia pure amplissimi di Betlemme e del Calvario. Si dilata negli spazi senza confini della vita trinitaria di Dio. E adora Cristo proprio nel posto che il Padre gli ha assegnato nella storia della salvezza. 

 
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Il mistero della tomba di San Francesco

Post n°132 pubblicato il 26 Novembre 2010 da knighttemplar

la Basilica di Collemaggio e sul Segreto delle Tre ottave, mirante a trasformare "il quadrato della materia nel cerchio dello Spirito", segreto rimasto purtroppo volutamente nascosto e dimenticato nella pietra come le reliquie eccezionali, offerte dai Templari a Celestino e scomparse nel nulla, ma che fino a qualche secolo fa venivano mostrate ai pellegrini durante la Perdonanza celestiniana, come la spina della corona poggiata sul capo di Gesù, o l’indice della mano destra di San Giovanni, che Baldovino, Re di Gerusalemme, aveva consegnato all’Ordine. Non solo le reliquie sono scomparse e dimenticate dal tempo, ma anche una delle figure più eminenti di quel periodo storico, frate Elia, successore di San Francesco alla guida dell’Ordine dei Frati Minori, architetto e fine conoscitore delle arti alchemiche, amico intimo e consulente del beato Francesco e dello stesso imperatore Federico II, che consigliava nella costruzione di castelli e di chiese, indicandogli i luoghi più adatti, spesso sopra antiche vestigia classiche, come Castel del Monte in Puglia, ristrutturato nell’attuale forma ottagonale su un antico castro romano progettato dal Vitruvio, o la Basilica di Assisi, eretta, sotto la sua abile guida, dalle libere muratorie dell’epoca. Nella Biblioteca Nazionale di Firenze vi è infatti un manoscritto dal titolo già di per sé eloquente: "Speculum artis Alkimie Fratris Helyae O. Min. S. Francisci, qui ex dicta arte componi fecit seu fabricare Ecclesiam S. Francisci in Assisio", esplicita conferma del "metodo" usato da Elia per l'erezione della basilica assisiate. Se ne ha un’indiretta conferma nell'antico cimitero della chiesa, dove si trovano, alcune tombe, che, secondo l'elenco compilato nel 1509 dal sacrestano Fra Galeotto, vengono classificate come "sepoltura di tutti li maestri lombardi (altro nome con il quale venivano designati i maestri comacini) della città di Assisi". In una di queste è sepolto il Maestro Giovanni, figlio del Maestro Simone, morto il 7 luglio. Sulla lapide, su di un fondo di pietra rossa di Assisi, spiccano due grandi stelle a otto punte, con all'interno raffigurati due leoni rampanti con scudo crociato (il leone e la croce diverranno poi lo stemma della città di Assisi). Un'altra di queste tombe, appartenente a Ciccolo di Becca, morto nel 1330, presenta un insieme sconcertante di simboli: la Rosa-Croce accanto a una squadra e un punteruolo e, di nuovo, una stella a otto punte. Elia, Vicario generale dell'Ordine, coadiuvato dai più esperti "maestri comacini" dell’epoca, riuscì a trovare le risorse per costruire "il Santuario" e "il Convento" nel 1228, per poter conservare il corpo di San Francesco, nato nel 1182 e morto il 3 ottobre 1226. La prima pietra per la Chiesa Inferiore la posò Papa Gregorio IX il giorno successivo alla canonizzazione del santo in data 17 luglio 1228 I lavori di costruzione ebbero inizio a due anni dalla morte del Santo. I lavori per il primo completamento furono portati a termine in circa due anni, onde consentire la traslazione della salma di San Francesco, provvisoriamente sepolta nella Chiesa di S. Giorgio (la futura chiesa di S. Chiara). Il terreno roccioso su cui sorge fu donato ai Frati Minori dai ricchi possidenti di Assisi, ma ufficialmente la donazione fu effettuata a beneficio del Pontefice Gregorio IX, in virtù della regola francescana della povertà assoluta. Ancora oggi la Chiesa ed il Convento fanno parte del patrimonio del Vaticano. Il colle, prima conosciuto come "colle dell’Inferno" in quanto luogo in cui venivano eseguite le sentenze capitali, fu chiamato "colle del Paradiso", proprio perché destinato ad ospitare le spoglie del Santo. L‘inizio dei lavori per la Chiesa Superiore non è tramandato, però dovrebbe essere successivo all‘abdicazione da Generale dell‘Ordine di fra Elia nel 1239, che fino ad allora aveva diretto i lavori della Chiesa inferiore romanica. Le due chiese furono comunque consacrate da Papa Innocenzo IV nel 1253, anno in cui non erano ancora iniziate le decorazioni ad affresco successive. Le vele della volta (1315-20) raffigurano l’Apoteosi di S. Francesco e Allegorie dell‘obbedienza, della povertà, e della castità ad opera del cosiddetto Maestro delle Vele. Sulle pareti della navata, dopo un restauro, sono riapparsi i primi affreschi della Basilica, ancora di dubbia attribuzione, forse opera di Giunta Pisano o di un suo allievo. Il ciclo di affreschi, raffigurante alcune vicende della vita di San Francesco, fu mutilato per l’apertura di archi di accesso alle cappelle laterali. Inizialmente la Basilica di Assisi fu progettata come edificio a due piani, di cui quello inferiore rappresenta il Santuario vero e proprio. La navata centrale è in stile romanico ed è immersa in una sottile penombra, dato che, nella concezione di frate Elia, la chiesa inferiore doveva servire come "cripta". Il pavimento della Chiesa è stato realizzato con marmi di colore bianco-rosato del Subasio, che creano un suggestivo effetto cromatico, richiamando "simboli templari". Alla Chiesa Inferiore si accede attraverso un portale in stile gotico, sormontato da un rosone finemente cesellato, opera di Francesco di Pietrasanta della fine del XV secolo.A sinistra dell’entrata sono esposte, in una cappella, alcune reliquie del Santo, tra le quali "una misera tonaca da frate", che non è quella originale indossata dal beato pochi attimi prima di morire, offertagli da frate Elia, che ora si trova esposta nella Basilica di Cortona, con due altre reliquie, il "cuscino", dove Francesco aveva posato il capo negli ultimi istanti della sua vita e "l'evangelario", che portava sempre con sé. L’altare maggiore risale al 1230, il baldacchino invece al XIV secolo. Originariamente era contornato da "12 colonne", in evidente analogia con il Sacro Sepolcro di Gerusalemme, ma fu deciso di eliminarle nel 1870 da sprovveduti ed incompetenti, come è successo tante volte. Ancora più eclatante fu la decisone di un vescovo di Chartres, che fece sostituire le alchemiche vetrate dietro l’altare perché, a suo parere, non davano troppa luce. A metà navata troviamo due scalette che conducono alla cripta, che custodisce le spoglie mortali del Santo, aperture che al momento della traslazione non erano state ancora realizzate. Al centro della cripta in un blocco unico di pietra marmoria, dove per secoli era stata chiusa la salma, è stato creato un altare, dietro il quale si trova l'urna che conserva i resti del Santo. Nelle pareti del piccolo vano, protette da grate, si trovano le sepolture di quattro seguaci di Francesco, i beati Rufino, Leone, Masseo e Angelo Tancredi. Sulla scelta dei quattro non c’è un versione sicura. Sicuramente si tratta di coloro che erano stati più vicini al Beato Francesco. Ma ci potrebbero essere anche ragioni legate alla vita del Santo e ai primi 12 fraticelli, i quali formarono il gruppo che faceva da corona a Francesco agli albori del movimento. Dodici furono infatti i frati che Francesco volle intorno a Sé, come ci tramandano "i Fioretti", e amava definire "i miei cavalieri della tavola rotonda" (Speculum Perfectionis, IV, 72). Francesco proveniva da una famiglia benestante che gli aveva consentito di frequentare le migliori scuole dell'epoca. Era un uomo assai colto che, oltre che nella sua lingua, poteva scrivere in latino, sapeva benissimo il francese, conosceva la musica e aveva letto moltissimi romanzi in codici di pergamena, trai quali Oliviero e i poemi sulla leggenda di Re Artù e dei Paladini della Tavola rotonda, molto in voga negli ambienti che abitualmente frequentava. La storia ci indica come "primo discepolo" Bernardo da Quintavalle (magistrato), seguito da Pietro Cattani (canonico in San Nicolo' e dottore in legge) (+10 Marzo 1221). Poco dopo arrivarono Egidio (un contadino) e successivamente Sabatino, Morico, Filippo Longo e Prete Silvestro. Seguirono poi Giovanni della Cappella, Barbaro e Bernardo Vigilante ed infine Angelo Tancredi, il solo dei primi dodici discepoli, che avevano seguito Francesco, il cui corpo riposa accanto a quello di Francesco. Erano arrivati a essere in dodici e tutti i compagni vestivano come Francesco di un rozzo saio cinto da una corda. Innocenzo III, quando decise di riconoscere questo primo gruppo, considerato in un primo tempo eretico, li nominò come "chierici", dando a Francesco la qualifica di "Diacono" e tale rimase per tutta la vita, come dimostra la cerimonia del Presepe, ideata per la prima volta proprio da Francesco al ritorno dal viaggio in Siria, nella quale "la messa" venna celebrata da "un vero sacerdote", e poi il Beato "benedisse" i presenti. La tavola rotonda era stata ri-composta e, come in tutte "le favole", storia e leggenda si intrecciano, sfumando sempre più la verità dei fatti. Raggiunto il fatidico e simbolico numero, a questi primi undici discepoli si aggiunsero Masseo (da Marignano), Leone, Elia (Coppi) Ginepro, Tommaso da Celano (il primo grande biografo) e Pacifico (Guglielmo Divini). Oggi nella "cripta" della Basilica Inferiore di Assisi si trovano insieme, accanto alla tomba di San Francesco, quelle dei Beati Angelo Tancredi (+1258), Leone (+1271), il confessore di San Francesco, Masseo da Marignano (+ 1280), Rufino, cugino di Santa Chiara e Santa Agnese, Frate Guglielmo d’Inghilterra e, lungo la scala che dalla Basilica conduce alla cripta, il corpo della Beata [Frate] Jacopa dei Settesoli, nobildonna romana moglie di Graziano dei Frangipani, che aveva donato "il cuscino", una delle "tre reliquie" conservate nella Chiesa di San Francesco a Cortona, progettata anch’essa da frate Elia e dove si trova la sua tomba. Ma questa cripta è stata creata solo nel 1822, allargando "il buco" nel masso di marmo calcareo, di cui solo pochissimi conoscevano l’esistenza e l’effettivo utilizzo, essendo stato aperto nel masso marmoreo a un preciso ed inequivocabile scopo > preservare le sacre reliquie da qualsiasi contatto impuro, come avveniva per i corpi imbalsamati dei Faraoni, i cui "sarcofaghi" venivano resi inaccessibili ed inviolabili. L’abbiamo volutamente definito "un sarcofago", perché, come vedremo, per quasi seicento anni gi è stata garantita e preservata questa funzione. Fu proprio Elia a creare, nel piano interrato sotto il pavimento della Basilica inferiore , perpendicolarmente all'altare maggiore, non ancora installato, un vano della stessa larghezza e lunghezza, profondo circa quattro metri,in cui fu calato il sarcofago di travertino, pesante 12 quintali.avvolto in una gabbia di ferro che cingeva l'urna. sopra la quale vennero stese tre lastre di travertino, Una volta coperto il foro con l'altare maggiore,si creò un vano di circa m.1,70, a cui si accedeva a mezzo di uno stretto cunicolo - sembra di dodici gradini- nascosto da una botola mimetizzata e segreta, passando attraverso il corridoio d'accesso al coro antistante i penetrali , reso del tutto inaccessibile da un Papa francescano ,Sisto IV della Rovere, dopo la sua visita alla Basilica nel 1476. La scelta di camuffare l'entrata fu motivata - secondo i cronisti dell'epoca - dal rischio concreto di indebite profanazioni e conservare intatti i resti mortali, ma sopratutto per preservare da un culto feticistico il corpo di San Francesco, che fu traslato il 25 maggio 1230, in una strana cerimonia, in cui Elia, grazie ai poteri che gli conferiva la carica di Vicario generale, in accordo con le autorità comunali, giunto che fu l’imponente corteo alle soglie della nuova Basilica ed entrata che vi fu la santa reliquia, fece chiudere dagli armigeri del Comune il portone alle sue spalle, respingendo l’immensa folla e soprattutto, oltre ai più alti prelati, ai notabili e ai nobili giunti appositamente da ogni parte d’Europa. Frate Elia, chiusa la porta dall’interno, fece trasportare, con l’aiuto di alcuni fedelissimi, il corpo del Santo nella "cripta", all’uopo predisposta sotto il Santuario, di cui nessuno conosceva l’esistenza tranne i maestri che avevano diretto i lavori e le maestranze utilizzate, che erano state però tutte liquidate e fatte tornare ai loro paesi d’origine. Elia -così raccontano le cronache- allontanati i presenti e restato molto probabilmente solo alla luce della "strana posizione e valenza simbolica degli oggetti" ritrovati intorno al corpo, provvide, con un lungo e meticoloso lavoro, ad occultare nella roccia le spoglie mortali di Francesco, che vennero restituite alla venerazione ed esposte al pubblico solo seicento anni dopo, nel 1818. Di sicuro il sarcofago venne posto sotto l'altare maggiore, in luogo non accessibile al pubblico, ma forse visibile attraverso una "finestrella della confessione", come sostengono alcuni cronisti. Altri parlano invece di uno stretto "cunicolo di accesso" abilmente camuffato, che fino al 1476 portava alla camera sepolcrale, alta 1,70 m, sotto la quale era stato resa inaccessibile la bara con i resti mortali del Beato Francesco, essendo stata sovrapposta alla teca, avvolta nella gabbia di ferro, tre lastre di travertino, le ultime due unite da calcestruzzo ed incastrate con stanghe di ferro nei muri perimetrali. Si poteva sdraiarsi od inginocchiarsi sul pavimento, senza vedere né toccare i resti mortali di Francesco. In tale data questo cunicolo sarebbe stato però definitivamente chiuso, onde evitare -questa è la versione ufficiale- che la salma venisse trafugata da invasori o da nemici della città, che, come era usanza in quel periodo storico durante le lotte fra comuni rivali, sottraevano alla città soccombente, come prezioso cimelio, le reliquie del Santo patrono. Col passare degli anni si perse conoscenza del luogo esatto(??) della tomba. Solo nel 1806 si decise di aprire il sepolcro, ma, causa l'occupazione napoleonica, si rimandò tutto al 1818, quando venne scoperto "un sarcofago" protetto da alcune sbarre di ferro. Dopo la scoperta, nel 1822, sotto la direzione dell’architetto Belli, si scavò nella roccia, realizzando intorno alla tomba una vera cripta in stile neoclassico, poi abbattuta perché in contrasto con lo stile romanico della chiesa. La sistemazione attuale del vano, opera dell'architetto Ugo Tarchi, fu attuata tra il 1926 e il 1932. Su questo avvenimento le versioni degli storici più qualificati sono contrastanti e abbiamo deciso di dedicare un capitolo specifico ai "misteri" che nasconde la strana e inconsueta "tumulazione del corpo" di San Francesco e l’incredibile "silenzio" sul luogo dove riposavano le sue spoglie mortali, mantenuto segretissimo per tutto questo lunghissimo tempo. Si vorrebbe infatti cercare di comprendere quali furono "i reali motivi", che indussero frate Elia a compiere un gesto di tale portata, con il pieno consenso dei 24 generali, che governavano la città di Assisi, e dello stesso Papa Gregorio IX, anch’egli amico personale, gran estimatore di Francesco e difensore dell’Ordine dei frati minori, lasciato fuori inopinatamente dalla porta. In effetti, il Pontefice, Gregorio IX, dopo il primo comprensibile disappunto per questo atto apparentemente ingiustificabile, che lo aveva portato a chiedere, a fronte dell’immenso scandalo scoppiato, la punizione delle Autorità comunali e ad interdire "a divinis" la Basilica, sentite le ragioni di frate Elia, improvvisamente si placò, come pure l’intera Curia e tutti gli irritatissimi rappresentanti delle più importanti Corti europee -il Gotha della società europea- presenti alla cerimonia, che nulla ebbero più da eccepire. Ma la cosa che lascia veramente sconcertati è il comportamento successivo, una volta placatisi gli animi. Non si riesce effettivamente a comprendere perché mai nessuno per seicento anni si sia chiesta la ragione, non tanto del gesto di frate Elia, fatto letteralmente sparire dalla storia come il corpo del Beato Francesco, ma di questo strano ed inaspettato cambiamento di Gregorio IX e dei suoi successori, che avallarono e rispettarono sempre questa decisione fino al 1818. Gregorio IX e pochissimi altri dovevano quindi essere stati messi segretamente a parte del nascondiglio del corpo e come fosse possibile raggiungerlo. Ciò di cui il papa è rimasto però sicuramente all’oscuro riguarda il come era effettivamente avvenuta la cerimonia di traslazione all’interno della cripta. In quell’angusto spazio scelto per la sepoltura, una volta fatta passare la salma attraverso lo stretto cunicolo, o , come è più probabile,calatolo dall'alto già ingabbiato,frate Elia, restato con pochi frati scelti come "guardiani della soglia", dovette seguire un preciso cerimoniale massonico; troppi sono infatti gli indizi e i messaggi simbolici che confermano la Sua appartenenza all’Ordine dei Muratori. Egli pose infatti intorno alla sacre reliquie una serie di oggetti simbolici in numero di "dodici", seguendo un preciso e antichissimo rituale, appreso probabilmente durante il suo soggiorno in Egitto ed in Siria. Pensiamo che abbia assunto a tutti gli effetti il ruolo del Gran Sacerdote dell’antico Egitto, a cui, unico, spettava il compito di porre intorno alla mummia del Faraone gli oggetti scelti per prepararlo al viaggio verso l’oltretomba. Questi oggetti sono stati ritrovati e recuperati solo nel 1818 all’apertura della tomba, autorizzata in via non ufficiale dal Papa, ma non sono stati assolutamente "compresi" nelo loro e profondo significato simbolico. Gli oggetti ritrovati sono stati i ritenuti offerte di fedeli introdotte, dopo la tumulazione, facendoli passare attraverso i piccoli fori della grata superiore , che copriva la teca di travertino aperta. l'unico che può averli messi è Frate Elia, alchimista, > vedi il capitolo CODEX FRATE ELIA < che non li ha lasciati come ricordi di oggetti appartenuti al Santo, ma crediamo abbia voluto dare ad ognuno in presiso significato esoterico

> la pietra angolare?

> le dodici monete d'argento?

> l'anello con Minerva?

> la coroncina di 12 grani di ambra e 17 di ebano?

Alcuni di essi erano custoditi fino al 1978 Roma nella Basilica dei SS XII Apostoli, ma, come al solito, nessuno fa il benché minimo cenno né alla loro natura, né tanto meno alla posizione in cui erano stati diligentemente posti da frate Elia intorno e sotto il corpo, come "la pietra angolare", su cui si ritiene poggiasse il capo del Santo, pietra che, unitamente alle 11 (+ 1 ?) monete d'argento ed una statuetta d'argento, sono custoditi in una teca nella "Cappella delle Reliquie" realizzata nella Basilica Inferiore, utilizzata, in origine, da "sala capitolare" del Convento. Tra gli oggetti ritrovati figuravano anche 11+1 monete d’argento:

> Tre furono individuate subito nel dicembre del 1818, perchè poste in evidenza sul fianco sinistro

> Otto vennero recuperate al momento di estrarre le ossa e la polvere che le ricopriva.

>la dodicesima fu individuata solo dopo due anni dalla scoperta e dall'apertura del sarcofago.

Riesaminando infatti i frantumi delle ossa di San Francesco il 15 novembre 1820 i periti trovarono anche quest' ultima monetina, che non risulta esposta nelle teca, come le altre undici e che non si sa dove sia finita (Vedi Isidoro Gatti: " La tomba di San Francesco nei secoli" pag.267, nota 140. Dal libro edito dalla Casa editrice francescana sono state tratte le immagini delle 11 monete e della tomba). 12 monete, lo stesso numero dei 12 acini d’ambra ritrovati insieme ai 17 chicchi d’ebano,che formavano una coroncina, ma dai resoconti non si sa quale fosse la ripartizione di questi 29 grani e quale significato simbolico avesse voluto darle frate Elia. Per quanto riguarda la coroncina sorprende che non si sia mai ricercata l'effettiva disposizione dei 29 grani e quale fosse lo scopo e l'effettivo utilizzo? Potrebbe essere un piccolo rosario o un Kimbalion islamico, che normalmente ha 33 grani e non 29. Nel capitolo > CODEX FRATE ELIA < abbiamo cecato di fornire possibile interpretazione del significato simbolico dell'anello di Francesco, che non è dato sapere se lo indossava in vita o è stato posto ai suoi piedi da frate Elia al momento della tumulazione, insieme alle monete d'argento,alla coroncina ed alla pietra angolare ,per lasciare ai posteri un messaggio criptato Fino ad oggi i posteri non se lo sono ancora chiesto a duecento anni dal rirtrovamento. L’anello -dicono- "sia andato perduto", come i grani della coroncina e tutti gli appunti di frate Elia, in cui molto probabilmente c'era la spiegazione di questo rituale e del significato simbolico e mistico di ognuno di questi oggetti legati a qualche culto misterico. E' un segreto, che - come si suol dire- si è portato nella tomba. Terminata la cerimonia, che deve aver richiesto non poco tempo, mentre all’esterno la folla inferocita inveiva contro frate Elia e gli armigeri posti a difesa del portale, provvide ad occultare l’entrata del cunicolo, camuffandola così bene che ci vollero anni per individuarla. Solo nel 1818 il cunicolo fu riaperto e la salma fu esaminata. La ricognizione riconobbe, nel 1820, l’identità del corpo del Santo. La cosa che lascia sinceramente perplessi, per non dire sconcertati, è la passiva acquiescenza e il rispetto della decisione di Frate Elia, avallata da tutti i Papi, e il fatto che questa si sia protratta per quasi 600 anni, senza che alcun Papa si facesse promotore di scavi per recuperare le spoglie mortali di San Francesco, soprattutto dopo che frate Elia era stato costretto a dimettersi da Vicario generale dell’Ordine dei Frati Minori nel 1239 e avesse lasciato definitivamente Assisi. La Guida spirituale dell'Ordine dei Frati Minori fu infatti costretta non solo a lasciare la carica di Vicario Generale, decretata nel 1239 nel Capitolo generale che si tenne a Roma per la Pentecoste di quell'anno, ma tutti i suoi scritti e appunti furono meticolosamente raccolti e distrutti con una puntigliosità degna del peggior Giordano Bruno, onde non lasciar di lui la benché minima traccia. Alla scomunica e all'allontanamento coatto da Assisi, seguì infatti la distruzione sistematica dei suoi archivi segreti. Furono persino strappati dagli antichi registri del Sacro Convento di Assisi i fogli che si riferivano alla Sua persona e inoltre andò "perduto" il registro dove frate Illuminato segnava le lettere che frate Elia riceveva e spediva: in pratica, fu tutto appositamente e faziosamente distrutto. Ma la cosa strana è che frate Elia e i maestri comacini, sembra abbiano seguito l’esempio dei sacerdoti egiziani, predisponendo un locale, in cui avevano riposto "un sarcofago", che avrebbe accolto, come avveniva appunto per i faraoni, il corpo del Santo, camuffandone l’accesso. Alla tomba si poteva accedere attraverso un cunicolo segreto, dove la salma sarebbe rimasta nascosta e preservata per oltre 600 anni, come è avvenuto per la Tomba del Faraone Sethi I, che era stata pefettamente camuffata, nascondendola in una seconda camera mortuaria, ingannando così i profantori, che si fermavano alla prima non pensando, una volta scoperto il cunicolo di accesso, che ce ne fosse un'altra > quella vera. Né frate Elia, né i maestri comacini rivelarono mai il segreto, né tanto meno coloro che avevano cercato e distrutto i suoi appunti, proprio perché ne erano venuti a conoscenza, e forse affinché, data la scomunica e l’allontanamento di Elia, non trapelasse mai la volontà di Gregorio IX, che a posteriori aveva condiviso e compreso i motivi che lo avevano spinto a compiere questo apparente insano gesto. Non si spiegherebbe altrimenti "il silenzio assoluto" sull’intera vicenda e il riserbo sicuramente "consigliato" anche ai suoi successori, i quali ne venivano puntualmente informati all’atto dell’elevazione al soglio pontificio, rispettandolo ed imponendolo a loro volta. E che tale fosse la questione ne dà appunto un’indiretta conferma la decisone del 1442 di chiudere definitivamente l’accesso al cunicolo, che impedì per altri 400 anni che si potesse accedere alla tomba nemmeno per caso. Sarebbe infatti veramente troppo semplicistico pensare che frate Elia e gli abili maestri costruttori della Basilica fossero riusciti a camuffare perfettamente la bocca dell’antro e a nascondere il corpo così bene da renderne impossibile il ritrovamento. Né si può sostenere che frate Elia, il quale, pur avendo a più riprese dimostrato di possedere capacità taumaturgiche e divinatorie, tanto da predire allo stesso Francesco l’approssimarsi della morte, prevista entro due anni, avesse particolari poteri occulti da creare intorno al nascondiglio, dove giacevano le spoglie del Santo, una cortina invisibile e insuperabile intorno al sito dove era stato rinchiuso, rendendo inutili e vani i continui e disperati tentativi dei "non addetti ai lavori" di scoprire dove era stato nascosto. Solo il Vaticano, come è sempre stata sua prassi costante, deve aver bloccato scientemente ogni informazione e fatto in modo che l'argomento della sepoltura di San Francesco non venisse più toccato né prima, né dopo il ritrovamento dei suoi resti mortali. Ancora oggi è difficilissimo reperire precise informazioni al riguardo, restando l’incredibile e importantissimo avvenimento da tutti minimizzato e volutamente sottovalutato, come è del resto avvenuto puntualmente per "il segreto dei tre >888<" e per "Celestino V", fatto passare lungo altrettanti secoli per un inetto e un incapace. Molte spiegazioni tramandateci non hanno infatti alcuna logica apparente e gli avvenimenti appaiono volutamente distorti e manomessi. Ma forse fanno comprendere a posteriori l’accanimento con il quale questi incredibili accadimenti siano stati minimizzati e sottaciuti e la figura di frate Elia camuffata e svilita, facendo in modo che sparisse qualsiasi suo scritto e fossero scientificamente e minuziosamente distrutti anche dei semplici appunti o registrazioni.

Cortona: Basilica. Interno con navata ortogonale Reliquie esposte all'interno del museo Ma ciò che non si è riuscìti a far sparire sono "tre reliquie" che frate Elia si era portato via lasciando Assisi per rifugiarsi in terra toscana: un cuscino di elegantissima e ricca tessitura, un evangelario e un Saio, reliquie per anni custodite personalmente e offerte, prima di morire nel 1253, ai fraticelli di Cortona, dove egli aveva fatto costruire un'altra Basilica dedicata a San Francesco. Indizi che confermano non solo i strettissimi legami spirituali che univano i due frati, ma aprono uno squarcio alla verità dei fatti e alle motivazioni che avevano indotto frate Elia a preservare il più a lungo possibile "la reliquia" più importante. Nel 2003, in occasione dei settecentocinquanta anni dalla morte di frate Elia da Cortona, se ne è avuta un’indiretta, ma concreta conferma. La Provincia toscana dei frati minori conventuali ha disposto il restauro e la riapertura della chiesa e del convento di San Francesco a Cortona per poi organizzare una serie di iniziative culturali e spirituali, che hanno compreso lo studio scientifico delle reliquie della Chiesa cortonese, cioè dei tre oggetti che la tradizione vuole che frate Elia abbia portato sempre con sé fino alla morte. Il fine più importante di queste ricerche è stato ribadire il legame intimo e profondo del frate aretino con san Francesco e riabilitare la figura di padre Elia, come ha affermato il padre conventuale, Fra Antonio:

CONTINUA

 
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Il mistero della tomba di San Francesco

Post n°131 pubblicato il 26 Novembre 2010 da knighttemplar

"L'aver stabilito che il saio di Cortona ha le misure, la lunghezza e l’ampiezza delle spalle di frate Elia significa ribadire la vicinanza del frate al santo di Assisi e dare fondamento al racconto sulla morte di San Francesco di Tommaso da Celano".Le moderne tecniche scientifiche hanno infatti contribuito a confermare la fedeltà del santo alla povertà evangelica, tenendo a ribadire, alla luce delle conclusioni dell’indagine, alcune circostanze che confermano la natura dei rapporti tra questi due uomini, uno portato nelle più alte sfere celestiali, l’altro cacciato negli inferi.Vale la pena riprendere le conclusioni di questo studio:

a) il vero cuscino che la fedele amica di Francesco, frà Iacopa di Settesoli, pose sotto la testa del frate morente, non era quello di fine broccato adorno di splendidi ricami che si può ammirare nella Chiesa di Cortona, ma il suo interno, che risale proprio all'epoca della morte di Francesco, di tessuto grezzo, in onore di sorella povertà;

b) l'Evangeliario di Cortona è ritenuto risalente all'epoca di Francesco, come quello custodito ad Assisi;

c) il Saio, della stessa foggia, colore e tessuto di quello indossato dai contadini dell'Italia centrale dell'epoca, abito umile e disprezzato che San Francesco volle confezionato a forma di croce semplice, è, ancora una volta, testimonianza della "regola", insieme alla semplice cintura che i contadini usavano per portare la spada, che nella versione francescana unisce anche "tre nodi";

d) lo studio sull'autenticità del saio prova la veridicità del racconto che Tommaso da Celano fa della morte di San Francesco, in cui precisa che "Francesco voleva morire nudo sulla terra nuda, ma frate Elia lo convinse ad indossare "la sua tonaca" che potrebbe proprio essere quella conservata a Cortona. Con il dire che era solo un prestito, insomma assicurandogli che non gli apparteneva, frate Elia rassicurò il Santo che non sarebbe venuto meno al suo voto di povertà. La vita di San Francesco è stata raccontata sempre in modo agiografico e antistorico, mostrando soprattutto il lato più spirituale e mistico della Sua ricerca interiore, conclusasi a la Verna, con le stimmate, primo Santo nella storia a vivere questa esperienza, Stimmate ricevute, secondo la leggenda sulla roccia in cui fu tentato dal Diavolo. La parentesi umana di Francesco è, in effetti, molto più articolata e complessa, ed è stata diversamente proposta nelle varie fonti che si susseguirono dopo il 1228, anno di canonizzazione da parte di Gregorio IX, e anche dalla stesura della prima biografia ufficiale del Santo, direttamente commissionata dal Papa a frà Tommaso da Celano, che fu, a propria volta, frate francescano: prese infatti l'abito alla Porziuncola nel 1215, l'anno del famoso Capitolo delle stuoie, e visse, almeno per un certo periodo, in intimità con San Francesco, il che lo rende testimone credibilissimo a pena di falsità intenzionale. Importantissima fonte francescana, frà Tommaso scrisse (sempre in latino) la Vita Seconda nel 1246-1247, quindi una terza biografia, e infine il Trattato dei miracoli attribuiti dalla tradizione a San Francesco, anche se lascia invero non poco perplessi la rielaborazione fatta da Celano "per tre volte" della vita di San Francesco e la decisione, assunta col Capitolo di Parigi del 1266, con la quale venne imposta la totale distruzione delle biografie scritte precedentemente a quella di Bonaventura. L’Ordine, in un periodo in cui proliferavano molte sette, si era talmente diviso su come interpretare la regola di San Francesco che ad alcuni frati sembrava così difficile tenere ancora unito il movimento come era stato impostato da Francesco ed Elia. Bonaventura, d’accordo con alcuni frati, prese la tremenda decisione di distruggere tutte le biografie e tutte le immagini che raffigurano il Beato, riscrivendo nel 1266 un nuova versione agiografica e di pura fantasia, che mostra un Francesco completamente diverso da quello realmente visssuto. A quarant'anni dalla Sua morte, l’Ordine dei frati minori era diventato importantissimo, contando migliaia di adepti e, secondo la corrente che faceva capo a Bonaventura, sarebbe stato troppo imbarazzante continuare a parlare di un fondatore che non si presentava con la faccia del santo, ma con quella di un laico votato alla povertà, che si era battutto per la giustizia sociale e per la pace tra la comunità cristiana e quella musulmana, restando un anno alla corte di un acerrimo nemico. Questi rapporti di amicizia e di fratellanza reciproca andavano fatti dimenticare e fatti passare assolutamente "sotto silenzio", non certo quello interiore, che tanto legava Francesco al suo tanto amato "frà Silenzio". Venne così tutto cancellato e ai frati, che avevano conosciuto personalmente Francesco e che a coppia giravano per le città, venne chiesto di cambiare la storia raccontata nella 1° versione da Tommaso da Celano e di proporre un' altra versione gradita e consona a un bambino, novello Messia, nato "Santo" da "madre Santa" e padre, come Giuseppe, buonissimo e misericordioso, ma purtroppo senza alcuna aureola. Ci si comportò esattamente come con frate Elia arrivando a eliminare le immagini del Santo, anche se non si riuscì a distruggerle tutte, perché alcune erano miracolose e custodite gelosamente da coloro che le possedevano o le avevano in custodia, come questa immagine, la più antica, dipinta da un anonimo pittore di Sibiaco intorno al 1222. Questa decisione fu una vera iattura, perchè stravolse completamente la natura umana di Francesco, spirito laico e libero. Avvenne, esattamente come altre volte nella storia della chiesa, una distruzione capillare di migliaia e migliaia di manoscritti. Per moltissimi secoli San Francesco è restato solo quello di Bonaventura come raffigurato da Giotto sugli affreschi di Assisi. Solo il ritrovamento all’inizio del secolo, in un unico manoscritto, delle tre biografie di Tommaso da Celano scomparse per secoli, ha reso possibile "rivedere" il vero Francesco e fare i debiti confronti tra "verità" e "leggenda". Per comprendere i motivi di una decisione così drastica, forse va un attimo riesaminata la figura di Bonaventura e le posizioni assunte in quel particolare periodo storico, che vide lo scontro tra Spiritualisti e Conventuali. Bonaventura nacque nel 1217 e, secondo una versione molto agiografica che si limita stranamente a citare l'opera somma da lui elaborata se non per riferire di un improbabile miracolo, nel 1226, anno della morte di Francesco, lo stesso Bonaventura sarebbe stato miracolosamente guarito dal Beato, come egli stesso riferirà nella "Leggenda minor" (VII: FF 1392). «Io stesso, che ho descritto i fatti precedenti, ne feci l'esperienza diretta nella mia persona. Ancora fanciullo ero gravemente infermo; bastò che mia madre facesse un voto per me al nostro beato Padre Francesco e fui strappato alle fauci della morte e restituito, sano e salvo, alla vita». Bonaventura - seguendo la stessa fonte - dopo aver compiuto i primi studi nella città nativa, passò all'università di Parigi (ca. 1236-1238) per lo studio della filosofia, laureandosi in Arti nel 1242-1243. A 25 anni abbracciò l'Ordine Francescano, cambiando il nome di battesimo, Giovanni, con quello di Bonaventura. Nel febbraio del 1257 fu eletto, a soli 40 anni, ministro generale dell'Ordine, carica che conserverà fino all'anno 1274, anno della sua morte, dando "saggio mirabile di sapienza, prudenza, spiccato equilibrio, tanto propizio in un momento difficile di assestamento dell'Ordine, da meritargli, per la sua opera moderatrice e costruttiva in piena fedeltà allo spirito di san Francesco, il titolo di secondo fondatore dell'Ordine francescano." (??????). "Predicò ovunque al popolo e in modo speciale agli ecclesiastici, alle monache, all'università di Parigi, dinanzi alla corte di Francia, ai vari papi in concistoro" (Orvieto, Perugia, Viterbo, Roma) e, finalmente, al Concilio di Lione (1274). Il 28 maggio 1273 Bonaventura fu eletto cardinale e vescovo di Albano, avendo già declinato nel 1265 l'arcivescovado di York. Dal novembre 1273 attese alla presidenza dei lavori preparatori e poi alla celebrazione del Concilio Ecumenico Lionese II (7 maggio - 17 luglio 1274), e probabilmente incontrò Pietro da Morrone, il futuro Celestino V. Si adoperò in Concilio per l'unione dei Greci, che fu effettivamente raggiunta. E, proprio durante il Concilio di Lione dove era intervenuto per ben tre volte, improvvisamente il 7 luglio 1274 si dimise da Vicario generale dell'ordine dei Frati Minori, ruolo che aveva mantenuto ininterrottamente per ben 17 anni e di lì a una settimana, il 15 luglio 1274, morì. Secondo l'agiografia ufficiale perchè estenuato dalle fatiche sostenute, ma forse per gli scontri che deve avere sicuramente avuto con Pietro da Morrone. Il futuro Celestino V, uno spiritualista convinto, che gli avrà espresso tutte le sue riserve e le sue critiche sul modo di gestire l'Ordine e, ne siamo convinti, sulla Storia della Vita di San Francesco, che si era inventata di sana pianta, a partire dal famoso miracolo, veramente poco credibile. Non sappiamo sinceramente se gli avvenimenti siano andati come da Noi prospettati, non avendo alcun riscontro obbiettivo, ma ci piace pensare che Bonaventura abbia avuto un mancamento di fronte alla più che comprensibile e violenta reazione di Pietro da Morrone, il quale doveva nutrire sicuramente un certo risentimento nei confronti di questo personaggio di alto spessore culturale. Va ricordato che la Chiesa nel 1482, con Papa Sisto IV, lo ha canonizzato e, con Sisto V, il 14 marzo 1588, lo ha annoverato «inter praecipuos et primarios» Dottori della Chiesa (latina), sesto accanto a San Tommaso d'Aquino. Noi invece lo abbiamo squalificato e abbiamo ritenuto di togliergli l'aureola di Santo! Ci siamo infatti guardati bene dal riconoscere formalmente la sua "santità", evitando con cura di qualificarlo tale, perchè ha veramente "dopato il personaggio di Francesco" falsificando la sua vita e conseguentente tutta la storia come ci è stata raccontata. Francesco uomo non avrebbe avuto bisogno di questo non richiesto intervento, perchè ha dimostrato che ogni "uomo" ed ogni "donna" possono raggiungere da soli "la perfezione" senza intermediari, né inteferenze, ma devono prima sperimentare la vita e le sue prove al fine di spogliarsi delle sue impurità terrene..................Nessuno nasce "Santo"!!! Sotto Bonaventura da Bagnoregio, era stata scritta appositamente una nuova biografia di Francesco, "la Legenda maior S. Francisci," manipolando per ragioni politiche interne il messaggio originale del Santo e dei francescani più rigoristi ("fratres qui cum eo fuimus" come amavano definirsi), tanto è vero che nelle "Costituzioni Narbonesi" Bonaventura condannò in modo ufficiale, dall’alto della sua carica, le posizioni della corrente degli Spirituali, per incanalare definitivamente il movimento in un vero e proprio Ordine, come quello dei frati predicatori, fondato da Domenico. La scissione degli Spirituali, i frati minori più coerenti all’impostazione della communitas francescana originale, avvenne nel 1274, lo stesso anno in cui Pietro da Morrone si recò a Lione per convincere Papa Gregorio X a garantire la sopravvivenza della Sua comunità, vista l’intenzione del Papa di intervenire drasticamente per arrestare la continua proliferazione di sette e comunità spurie, che davano un’interpretazione diversa del Vangelo e lo stesso anno in cui Bonaventura si dimise da Vicario Generale dell'Ordine dei Frati Minori. Venti anni più tardi i sostenitori più ferventi e radicali della po vertà evangelica, fedeli all’ideale di Francesco, vennero nominati "Fraticelli", essendo in aperto contrasto con i Minori francescani appartenenti alla corrente dei Conventuali, che si erano raccolti intorno a due personaggi molto apprezzati da Pietro da Morrone, il quale, appena eletto Papa, autorizzò appunto "i Fraticelli" a staccarsi definitivamente dall’Ordine per fondare una loro congregazione. Essa vide come principali esponenti Pietro da Macerata, il quale si fece chiamare Fra Liberato, e Pietro da Fossombrone, Angelo del Chiarino o Cla reno, mentre la loro congregazione prese il nome di "Poveri eremiti di Celestino", in seguito "Fraticelli della povera vita" (fu lo stesso Clareno, guida della congregazione, a chiamarla così, Anche questa circostanza appare strana, perché Clareno, stimato predicatore con l’aureola del Santo, per sfuggire alle pressioni cui era soggetto da parte dei "conventuali", si era poi trasferito in Jugoslavia, dove cercava di raggiungerlo Celestino, dopo la sua abdicazione e la sua fuga da Bonifacio VIII. Il tentativo fallì, perché, partito con una piccola barca da Vieste in Puglia e già in mare aperto, venne costretto a rientrare in porto e catturato grazie alla delazione di alcuni emissari di Bonifacio VIII, che lo fece arrestare e trasferire da Anagni, dove era stato in un primo tempo portato, nella prigione di Fumone, dove dopo dieci mesi, in un’angusta prigione, nel 1296 morì, molto probabilmente ucciso con un punteruolo impiantato nel cranio, foro quadrangolare identico a quello che mostra il teschio attribuito dalla leggenda a San Giovanni Battista. Tornando a Francesco e allo scontro tra le due correnti degli Spiritualisti e dei Conventuali sull’interpretazione del messaggio di Francesco, le prime divisioni si manifestarono già durante la sua vita, ma divennero intense dopo la sua morte, nel successivo sviluppo dell’Ordine francescano. Queste divisioni dettero luogo a due correnti di pensiero: quella cosiddetta degli Spirituali, fedeli allo spirito della Regola e al Testamento spirituale di Francesco, praticanti l’ideale di assoluta povertà e ispirati alle visioni escatologiche di Gioacchino da Fiore, e quella designata dei Conventuali, molto più propensi rispetto ai primi a uniformarsi agli altri ordini religiosi e a cle ricalizzarsi, deviando, sostanzialmente, dagli ideali del fondatore e di frate Elia (generale dell’ordine nel periodo 1221-1227 e 1232-1239), primo e ultimo gene rale appartenente alla fazione degli Spirituali, il quale aveva posto le basi, su precise indicazioni di Francesco, per una migliore organizzazione sotto il profilo istituzionale del movimento religioso a cui il futuro Beato aveva dato vita. Un movimento che era in continua espansione per l'intenso proselitismo dello stesso Francesco e dei suoi più fedeli compagni. Nel 1217 l'Ordine venne infatti organizzato, per merito di frate Elia, in Province, Custodie, Conventi e Romitori. E fu proprio in quello stesso anno che Francesco affidò a frate Elia la missione di Siria e Terra Santa, dove lo raggiunse trattenendosi in Terra Santa per un lungo periodo, - almeno tra il 9 maggio del 1218 ed il 29 agosto del 1219, oltre un anno - (Manselli, San Francesco, Bulzoni, 1980, p. 223 e sgg.). In realtà sembra che Francesco ed Elia siano tornati in Italia, sbarcando a Venezia, solo nel gennaio del 1220. I motivi che indussero Francesco a inviare frate Elia dal Sultano d’Egitto abbiamo cercato di chiarirli nel capitolo "da Frate Elia <> Celelestino V", al quale ci richiamiamo. Ma "i veri motivi", in realtà, nessuno li può seriamente conoscere, perché sono stati resi oscuri ed incomprensibili, in assenza di documenti e attestati, di contro a una versione non attendibile fornita dalle fonti ufficiali. Unica fonte ufficiale della vita di Francesco restò praticamente "la Leggenda Maggiore" del Bonaventura, integrata, per quanto riguarda i rapporti intercorsi con Francesco, dalle fonti più ostili ad Elia, tra le quali si può citare l’opera di E. Lempp, (Frère Elie de Cortone, Parigi, 1901), in cui si accusava il frate di aver intrattenuto empio commercio con astrologia e alchimia, durante la permanenza alla corte dello scomunicato Federico II, dove frate Elia si era stabilmente trasferito per volere dello stesso imperatore svevo, quando nella Pasqua del 1244 giunse la notizia della disfatta dell’esercito cristiano in Oriente e della cattura di San Luigi, Re di Francia. Arcangelo Papi in un interessante saggio, trovato su internet (San Francesco, le stimmate e la Sindone: una possibile antistoria del cristianesimo), si riallaccia invece alla Prima Biografia ufficiale di Celano, ritrovata nel 1770, che mostra Francesco e frate Elia in tutt’altra veste e, non a caso, conclude il suo saggio con queste considerazioni:"Talvolta gli elementi della storia si aggrumano tra loro in modo diverso da quello inizialmente prospettato dalla storiografia ufficiale ed improvvisamente si ricompone un quadro completamente diverso e straordinario."Crediamo vada riproposta la sua analisi al contrario, perché dal suo racconto emergono vari indizi importanti:

1) Celano parla di un cavaliere di Assisi che stava allora organizzando preparativi militari per la spedizione in Puglia di Gualtiero III di Brienne, appartenente al casato feudale della Champagne, che aveva sposato una delle figlie del re Tancredi di Sicilia, ed ecco un primo "legame" con Federico II.

2) Celano ci mostra un giovane Francesco prima della sua conversione, tentato dalla gloria cavalleresca e militare ad opera dello sconosciuto 'reclutatore militare' in terra d'Umbria, Conte Gentile delle fonti ,probabilmente un templare francese legato a Gualtiero (1165-1205), che del resto era parente di Giovanni I di Brienne.

3) Giovanni I di Brienne (1148-1237) re di Gerusalemme, poeta e devoto di Francesco, il cui monumento funebre si trova proprio nella Basilica inferiore di Assisi, appoggiato, coi suoi marmi bianchi, nell'ombra magica della grande parete d'ingresso, al fondo della pianta a forma di 'Tau'.

4) Isabella, figlia di Giovanni di Brienne, era andata in sposa all'Imperatore Federico II.

5) E' a Spoleto che per Francesco si consuma un evento fondamentale della sua vita. Colto da un ripensamento, dopo il glorioso sogno (narrato dal Celano) d'un palazzo d'armi con tutti i suoi soldati, o piuttosto percorso dalla rapida delusione: nuovo David contro il forte armato (come si addice a Francesco, prosegue il biografo), il figlio del mercante di stoffe (in realtà suo padre, 'Pietro di Bernardone', era un ebreo convertito, fiduciario del ricco monastero 'cistercense' del Monte Subasio, a economia curtense, e grande produttore di lane pregiate da esportare poi in Francia facendo sosta nei vari monasteri d'appoggio in occasione delle grandi fiere della Champagne: guarda caso, la stessa terra 'catara' dove riapparve, nel 1357, la Sindone!, decide all'improvviso che la spedizione in Puglia non fa al caso suo.

6) Egli sente che l'unica 'milizia' che gli si addice è quella "divina". Il suo Dio è un "Dio di pace" (come scrisse Properzio in una elegia) e non un Dio "re degli eserciti".

7) Non è quindi casuale che i 'tre nodi' del saio francescano (tra l'altro, di color 'marrone' come quello rivestito dai conversi templari prima dell'assunzione dell'abito bianco dei cavalieri), quella lacera divisa del nuovo Ordine mistico e pauperistico fondato da San Francesco, questa volta ispirato dalla bocca stessa del Crocefisso di San Damiano, che gli parla con le labbra, o piuttosto agli orecchi - come scrivono, al riguardo, prima Tommaso e poi lo stesso Bonaventura -, tradiscono pur sempre l'origine 'militare' del movimento francescano, corrispondendo, esattamente, ai 'tre voti' della 'regola templare', concepita, si dice, da San Bernardo nel nome stesso della povertà, umiltà e castità.

8) E' questa la nuova 'divisa' dell'Ordine di Francesco, coi suoi frati poveri 'cavalieri di Cristo', che però sempre marceranno appiedati. E perciò "la firma" apposta da Francesco alla chartula con la benedizione a fra' Leone, è anch'essa un 'sigillo', o 'stilema templare', avendone ripreso il motivo della 'croce', marchiata appunto d'inchiostro rosso vivo, come il sangue di Gesù Cristo morto sul patibolo per i peccati del mondo. Di coincidenze e stranezze leggendarie ve ne sono molteplici: Queste considerazioni di Arcangelo Papi e quelle del suo interessantissimo saggio dovrebbero far riflettere. Ad esse se ne aggiungono altre, altrettanto convincenti, in questo "studio al contrario", speculare alla scoperta del segreto dei tre >888< della Basilica di Assisi, quesito che ci siamo posti all’inizio di questo capitolo. Sempre cercando su internet, abbiamo sollevato altre "botole", spingendoci in fondo a scale a chiocciola tanto simili a quelle di Castel del Monte, che nascondono altrettanti indecifrabili segreti e abbiamo trovato altri articoli, che ci hanno fornito ulteriori spunti di riflessione, articoli puntualmente richiamati nei link di riferimento. Sarebbe invero veramente assurdo credere che frate Elia, uomo molto colto, filosofo e alchimista, amico intimo di Francesco, con il quale ha vissuto le più importanti esperienze, condividendone i principi e gli ideali, sia stato fatto sparire in modo cosi drastico e ingiustificabile dalla storia. Al punto che non si riesce più trovarne traccia alcuna, se non nei tanti messaggi simbolici lasciati volutamente sulle solide pietre della Basilica d’Assisi, da lui progettata, imperituro testamento di simboli scaturiti dalle abili mani delle Libere Muratorie medievali, quali il compasso, la squadra, un martello che colpisce la pietra grezza con lo scalpello. Messaggi che racchiudono un complesso sistema di idee ermetiche, diffuso da confraternite arcane, rimaste "velate", ma, per la fortuna dei posteri, non cancellate e che si ritrovano stranamente proprio nella sacca da viaggio di San Francesco, come riporta un cronista.

La vestizione di San Francesco

"Frate Francesco iniziò così la sua Grande Opera in compagnia di Madonna Povertà, di Fra Silenzio e di Sorella Pace, con indosso un camice di tela grezza, che volle da solo confezionarsi ispirandosi alla forma della stessa croce, cinto ai fianchi da una bianca cordicella a tre nodi e calzando dei poveri sandali.Come suo "unico bagaglio", una sacca contenente gli strumenti del muratore: la squadra, il compasso, la cazzuola, il filo a piombo, il mazzuolo, la riga e lo scalpello, a simboleggiare rispettivamente la rettitudine del pensiero, l'amore fraterno che tutto cementa, la rettitudine di giudizio, il lavoro indefesso e la sottomissione delle proprie imperfezioni spirituali al lavorìo dello Spirito, che tutto trasformando, fa giungere alla perfezione". La prova è Lì, ma non la si vuol vedere. La conferma viene non solo dai numerosi e molteplici simbolici oggetti ritrovati nella Sua tomba e da quelli sparsi sulle mura della Basilica d’Assisi, ma anche dal comportamento assunto durante la IV crociata e da quell’improvvisa e per altri versi incomprensibile decisione di Francesco di inviare Elia come Suo legato in Palestina e di raggiungerlo, restando oltre un anno in un luogo per i cristiani molto pericoloso. La scelta di inviare in avanscoperta frate Elia in Terra Santa, per poi raggiungerlo, restando per quasi un anno alla Corte del Califfo al- Malik, non fu certo casuale. La decisione di prendere contatti diretti con il Sultano d’Egitto, del tutto incomprensibile anche da parte del Legato papale, non era certo un atto di puro idealismo, ma era una vera e concreta missione di pace, la deliberata volontà di cambiare non le sorti della guerra, ma "i rapporti" tra queste due comunità sempre in lotta tra di loro. Un audace progetto, al tempo stesso politico e religioso, che, non a caso, fece proprio, pochi anni dopo, lo stesso imperatore Federico II. Val la pena rileggere la cronaca di quell’incredibile esperienza, ritrovata in fondo a una delle botole segrete:"Non sappiamo come Francesco, che era accompagnato da Pietro Cattani (un nome di famiglia associato al 'Volto Santo' di Sansepolcro!), sia andato in Terra Santa: con tutta probabilità si unì ai rinforzi delle città italiane, mandati da Onorio III, e raggiunse frate Elia, che era stato inviato in Oriente dal capitolo del 1217, e che durante la sua permanenza era riuscito ad ottenere che entrasse nell'ordine Cesario da Spira, una personalità preminente, un uomo di cultura universitaria di alto livello. Francesco dovette arrivare a Damietta quando l'assedio della città era nella sua fase iniziale. Ne parla Giacomo da Vitry, nella sua lettera VI, dando l'impressione del sopraggiungere di qualcuno sconcertante, se non addirittura importuno (Manselli, San Francesco, Bulzoni, 1980, p. 223 e sgg.). Giacomo da Vitry è sorpreso dalle conversioni al francescanesimo di alcuni suoi più stretti collaboratori, e così scrive: l loro maestro, che fondò quell'ordine, essendo venuto nel nostro esercito acceso di zelo di fede, non ebbe paura di passare all'esercito dei nemici e, avendo predicato la parola di Dio ai saraceni per alcuni giorni, non ebbe grandi risultati. Il sultano, però, re dell'Egitto gli chiese in segreto di domandare in suo nome, al Signore che, divinamente ispirato, potesse aderire alla religione che maggiormente piacesse a Dio." Un'eco precisa di questa presenza del Santo in campo avverso si troverebbe nella biografia di un teologo e giurista egiziano, Fakhr ad-din al-Farisi, allora vecchissimo, ma assai famoso in quegli anni come "direttore spirituale e consigliere di al-Kamil". In quest'opera egli ricorda la discussione che, come sapiente arabo, avrebbe avuto con un monaco cristiano, alla presenza appunto del sovrano (Manselli). In Le crociate viste dagli arabi (Torino, 2002, p. 298), Amin Maalouf nega, tuttavia, che fonti arabe a sua conoscenza riportino quest'episodio. Il sultano del Cairo aveva però una mente aperta, attenta ai problemi dello spirito, ed era un abile politico. Fece delle proposte ai cristiani, disposto a cedere non soltanto Gerusalemme, ma anche il territorio della Palestina ad ovest del Giordano nonché la Vera Croce (Maalouf, op. cit., p. 247). Da parte sua, anche Giovanni di Brienne era disposto ad un accordo. Vi si oppose l'improvvido e confusionario legato del papa, il cardinale Pelagio". Aprendo "un'altra botola", sempre su internet, abbiamo trovato altri spunti e conferme nella prolusione del gennaio 2002 della Prof.sa Chiara Frugoni "Chiesa e Islam all’epoca delle Crociate. L’incontro di S. Francesco d’Assisi con il sultano d’Egitto" (vedi allegato), da cui prendiamo alcune considerazioni:"Verso il 1218 si ha la quinta Crociata e Francesco ha questa idea straordinaria. Dobbiamo pensare cosa volesse dire arrivare da Assisi in Terra Santa, un viaggio infinito. Lui parte e va nel campo dei crociati e dice: voi che siete cristiani, uccidete!! Cerca a lungo di convincere i crociati ma non ci riesce. E allora con una mossa straordinaria va dal nemico, dal Sultano. Le prime fonti francescane dicono pochissimo. Sappiamo che Francesco è stato un anno intero dal Sultano e sarebbe rimasto anche di più. Dobbiamo immaginare che abbia percorso in lungo e in largo la Terra Santa. Torna semplicemente perché un suo frate in maniera estremamente avventurosa riesce a raggiungerlo e dice a Francesco: "guarda che il tuo Ordine si sta dividendo, torna, altrimenti è una catastrofe." "Per tornare a Francesco ed al Sultano, quando Tommaso da Celano ne parla, racconta quel che vi ho detto finora. C’è una tavola, l’unica rimasta, in Santa Croce a Firenze, dove si vede che Francesco parla al Sultano e ai musulmani che l’ascoltano rapiti; una predica attenta. Invece Bonaventura racconta quello che tutti noi vediamo ad Assisi: Francesco arrivato dal Sultano propone una sfida: fai andare in un grande fuoco i tuoi sacerdoti e ci vado dentro anch’io. Se loro saranno bruciati, vuol dire che la vostra fede non va bene, se io sarò bruciato, vuol dire che va bene. Lo stesso Bonaventura dice che questa fu una proposta di Francesco. Quando però andate ad Assisi, vedete il Sultano e i suoi sacerdoti in fuga e Francesco che sta per entrare in questa grande fiamma... che non è mai esistita, perché non c’è stato mai questo confronto. Bonaventura sta ormai nell’ottica tipica della lotta contro l’eretico: bisogna sconfiggere il nemico e possibilmente mandarlo al rogo. Era l’idea che portava avanti la Chiesa, soprattutto con il tribunale dell’inquisizione. Francesco ha ancora un’altra cosa riguardo al problema delle Crociate: il Presepio di Greccio che è la sconfessione delle Crociate, un’altra delle risposte tipiche di san Francesco che non attacca la Chiesa, ma propone una cosa molto diversa e in un certo senso molto polemica. Tornato dall’incontro col Sultano, chiede ad un devoto di preparargli sulla montagna a Greccio il bue, l’asinello e del fieno. Il sacerdote – Francesco era solo diacono - celebra la Messa poi Francesco predica in un modo così infiammato del bambino di Betlemme nato in povertà assoluta, Dio incarnato per amore, con una tale forza di trascinamento che ad un devoto sembra che Francesco si avvicini alla greppia e sollevi un bambino morto che riapre gli occhi !" CONTINUA

 
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Il mistero della tomba di San Francesco

Post n°130 pubblicato il 26 Novembre 2010 da knighttemplar

 

"Quel che Francesco vuole dire che è inutile andare in Terra Santa per liberare i luoghi santi, che Betlemme può essere ovunque, anche a Greccio, purché Cristo sia nel cuore. Quello che Francesco fa è riaprire gli occhi di questo bambino morto, cioè riaprire nel cuore dei fedeli, quell’amore per gli altri che era assolutamente morto. Quindi l’invenzione del presepio mi sembra sia proprio la risposta di Francesco alle Crociate. L’essenziale non è sconfiggere, uccidere; al contrario, è far rivivere il messaggio di Cristo. Quel che è straordinaria è l’idea che Francesco ha avuto di andare, e per prima cosa parlare con i crociati, poi con gl’infedeli, e predicare in una maniera tutta diversa da quella che la Chiesa di solito faceva, e poi di ritornare cercando di far capire come fosse completamente inutile quello che si stava facendo e che produceva solo odio." Una sola radice condivisa poteva infatti accomunare i due campi avversi: Il Gesù dei Vangeli, e Quello stesso del Corano. Il comune messaggio di "pace e bene", che riunisce i popoli della terra in una sola "Ecumene". Tutti insieme in un'unica civiltà: ieri come oggi, insoluto problema della convivenza pacifica dei popoli. Francesco sapeva molto bene quel che voleva e ciò che faceva. La sua missione di pace sovrastava ogni capacità d'ordinaria comprensione da parte dei fautori della crociata. Elia e Francesco, che poi lo raggiunse, ambedue armati della sola Fede, portavano nel mondo musulmano "la parola sacra d'un Dio universale", messaggio che venne compreso e accettato dal Califfo. Il Sultano del Cairo -come non dice la cronaca richiamata- aveva dimostrato di possedere senz’altro una mente aperta, attenta ai problemi dello spirito, ed era un abile politico, ma era soprattutto "un Maestro Sufi", "un massone d’oriente iniziato all’arte regia", cosa che consentì di creare tra di loro rapprti più intensi, in quanto, secondo molti elementi, sia Franceco che Elia dovevano appartenere o avere forti legami con "la fratellanza massonica". A tal proposito abbiamo trovato un'altra botola, in un libro di recente pubblicazionw "il santo dal Sultano", di John Tolan, ed. Laterza, che parla dell'incontro tra il Sultano e Francesco e di "due bacchette" e di un "corno" d'avorio, regalati dal Califfo a Francesco, oggetti che si trovano nella teca nella "Cappella delle Reliquie" nella Basilica Inferiore". L'autore, a pag 333 del libro citato, riporta il pensiero di Idries Shah, che ritiene che Francesco fosse stato iniziato al sufismo in Francia, e fosse entrato nella tenda come "novizio", uscendone dopo 10 giorni come ";Maestro Sufi". Non fu quindi Francesco a "convertire" il Sultano, come ha cercato di sostebere l'agiografia ufficiale, ma questi a riconoscere le qualità inizitiche di Francesco, a cui trasmettere l'insegnamento del Profeta e dei Grandi Maestri Sufi, come Rumi, le cui poesie assomigliano molto a quelle dell'Assiate. Il Califfo dette a Francesco alcuni simboli, che sono stati considerati dei semplici, anche se un pò strani "regali", ma che in realtà mostravano ai mussulmani d'oriente che Francesco era "Uno di Loro", un Maestro Errante, come i pellegrini Sufi,che avevano l'abitudine di girare per i villaggi, raccontando ai bambini.,che correvano ad accoglierli ,delle storie legate ad un personaggio mitico chiamato "asrudin", che appare come "il fesso del villaggio", che tutti prendono in giro, ma dietro il quale si nasconde un saggio che, attrverso metafore e fiabe, insegnava regole e comportamenti reciproci da seguire per una buona convivenza. Spesso il Maestro Sufi vestiva una tonca piena di toppe colorate per nascondere i buchi e Francesco aveva l'abitudine di girare con "saio pieno di toppe", chiamando a raccolta i suoi frati al suono del corno d'avorio, offertogli dal Califfo d'Egitto, insieme alle bacchette che usano i Muezzin , battendole tra di loro, per invitare al silenzio chi fa rumore durante la predica. Il "Muezzin" è colui che dall'alto dei minareti ricorda ai fedeli musulmani l’appuntamento con le preghiere quotidiane prescritte dal Corano. Cinque volte al giorno, dall’alba fino a tarda sera. Francesco ricevette dal Sultano anche un saio bianco, che lui probabilmente indossava come salvacondotto durante le peregrinazioni in Palestina insieme al corno d'avorio attacato alla cintola. Ed in questo suo peregrinare per i luoghi santi sembra che abbia aperto la strada agli altri confratelli per fondare i conventi e gli ospizi francescani sul Monte Sion, a Gerusalemme, a Betlemme, a Nazareth ed al Santo Sepolcro, la cui custodia è fin da quel lontano 1220 affidata appunto ai francescani, come conferma del resto l'ambasciatore francese in Palestina, il famoso scittore francese Chateubriand, che nelle sue "memorie d'oltretomba", racconta di aver trovato dei documenti originali che confermerebbero la fondazione del convento a quel periodo storico e la loro nomina a custodi. Chateubriand a quanto riferisce John Tolan a pag. 296 del libro citato, riceve dai francescani, che lo ospitavano nel loro Convento "un onore che non aveva né domandato, né meritato". Nel suo libro "Memorie d'oltretomba" Chateubriand evoca spesso il nome di Francesco "mio Patrono in Francia e mio albergatore al Santo Sepolcro, che visitò" (ed, Longanesi, Milano vol.3, pag.483), ma riferisce di un'incredibile iniziazione ai "Cavalieri del Santo Sepolcro" (1122), eseguita con la spada di "Goffredo di Buglione" dal custode francescano dei Luoghi Santi, l'unico che a cui è riconosciuto il diritto ad introdurre nuovi membri nell Ordine. Secondo l'ambasciatore francese in Palestina gli venne data l'investitura a Cavaliere - guardiano del Luoghi Santi con un rito che può essere accostato secondo John Tolan a quello al quale aveva partecipato Nompar de Caumont nel 1419 e anche ad altri occidentali, come il console inglese nel 1856, a cui venivano mostrate anche gli speroni di Goffredo di Buglione, conservati ancora oggi nella Chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme. L'Ordine dei Francescani ha quindi nel suo seno dei veri cavalieri del Santo sepolcro fin dalla fondazione del Convento nel 1218 ad ora di Frate Elia, appositamente inviato in Palestina a tale scopo e che preparò la sua venuta non certo per convertire, ma per ottenere il rispetto e la tutela dei Luoghi Santi, compito assolto per oltre 700 anni., cosa del resto confermata non solo da diversi autori francescani e non, che sostengono che il Sultano Malik al Kamil aveva dato la custodia dei Luoghi Santi in occasione della visita del Santo. Gli stessi legami di spirito iniziatico doveva averli certamente anche Federico II, che nel 1228-29 portò a temine la missione di pace di frà Francesco e di frà Elia riuscendo a ottenere, senza spargimento di sangue, la cessione di Gerusalemme, Betlemme e Nazareth, grazie a un abile accordo politico e diplomatico con al-Kamil, che pure sollevò in entrambi i fronti una tempesta d'indignazione nel mondo arabo, ma anche in quello crociato, tanto da costringere Federico II a intervenire drasticamente con la forza delle armi, impiegate contro gli alleati e non contro gli acerrimi avversari di sempre, cosa che dovrebbe far riflettere. Queste sono "le analisi al contrario", che non si ritrovano certo nella storiografia ufficiale, perché gli avvenimenti, appunto, vengono sempre letti e interpretati "nel verso giusto", quello dei "vincitori", ma che, se ri-letti nel modo corretto, quasi sempre forniscono nuovi elementi decisamente discordanti dalla "verità" propugnataci dagli storici. Soprattutto forniscono indizi importanti sui "reali rapporti" instauratisi tra Francesco, Elia e il Califfo d’Egitto, e poi con lo stesso Federico II. Se infatti si esaminano da un’altra prospettiva i rapporti instaurati da Francesco e da Elia con Federico II e con il sultano di Egitto Malik el-Kamil, si comprende che si trattò di un vincolo intimo e profondo, di un rapporto di amicizia e di fratellanza spirituale ed esoterica, che li teneva profondamente ed indissolubilmente uniti tra di loro, come abbiamo cercato di mettere in evidenza negli altri capitoli dedicati a questo emblematico "rapporto diverso, troppo diverso", da quello "raccontatoci" dalla agiografica storiografia ufficiale. Troppe sono, infatti, "le coincidenze" che stanno a indicare come Francesco non fosse solamente "il poverello" di Assisi, né Elia semplicemente uno "scomunicato" e Federico II "l’Anticristo dell’Apocalisse". Il Calzolari, nel libro da tempo sparito ed introvabile, fa giustamente notare che:

"il nodo occulto che lega queste tre figure è senz’altro lungi dall’essere sciolto in maniera definitiva", anche grazie a coloro -come è avvenuto del resto per Celestino V e per la Basilica di Santa Maria di Collemaggio- che, con innegabile solerzia nel corso della storia, si dettero da fare affinché sparissero documenti e manoscritti, oltre ad oggetti consacrati e importanti e insostituibili reliquie. Per comprendere la vera natura e qualità dei rapporti tra Francesco ed Elia e tra di loro con l’imperatore Federico II e con il Sultano di Egitto Malik el-Kamil, sarebbe indispensabile ricostruire la loro storia e il succedersi degli eventi, distorti e nascosti dopo tanti secoli di oscurantismo e di voluto mimetismo storico (così afferma il Dallari nella suo libro dedicato alla figura di Elia, non a caso intitolato Il dramma Frate Elia, Milano, 1974). Due "cavalieri della Luce", a due veri "guerrieri dell’arcobaleno", sicuramente due "Elefanti Bianchi", come "Malik", l’elefante ricevuto in dono da Federico II da parte del Califfo di Egitto e che, non a caso, portava il Suo nome. In realtà, ne sono trascorsi solamente >800< di anni. Ce ne vorranno sicuramente altri >88< perché questa "verità", difficilmente confutabile, appaia nuovamente nello "Specchio della Storia", permettendo di rileggere con diversa prospettiva ed angolatura "i gesti" compiuti di frà Elia quel 25 maggio 1230, data alla quale, sempre per un caso fortuito, mi unisce un altro legame altrettanto intenso e profondo, ricorrendo l’anniversario della nascita di mia figlia Eleonora, alla cui Tesi di laurea "Corpo, Mente, Cuore, nuove sinergie nella formazione contemporanea" mi sono tanto ispirato nell’articolare questo Sito e con la quale sto lavorando da tempo su un progetto comune > scrivere a due mani un libro "Alla scoperta dell’intuizione", i cui primi indizi, appena abbozzati, sono allegati al capitolo dedicato alla "Massoneria iniziatica" e che vorremmo intitolare, appunto, "Un innocente condannato al carcere a vita". La stessa condanna è capitata a frà Elia, che si è assunto la responsabilità di un delitto mai commesso, facendosi condannare all’esilio e all’oblio, pur di non rivelare dove e perché aveva nascosto "la prova" della sua innocenza. La cosa incredibile è che la sua condanna non verrà mai annullata, perché altrimenti si scoprirebbero i veri responsabili del misfatto storico perpetrato ai Suoi danni. Ciò non ci impedisce di analizzare nuovamente "le nuove prove", riesaminando proprio il significato delle operazioni rituali svolte da frà Elia quel fatidico giorno e di quello, altrettanto simbolico, delle 12 monete d’argento e dei 12 acini d’ambra, dodici come i 12 torrioni semicircolari di pietra rossa che girano tutt’intorno alla chiesa e che si staccano nettamente dalla cortina bianca. Dodici, che non è altro che la somma del "cinque" con il "sette", che, nel linguaggio mistico esoterico, è l’esempio dell’Ordine Cosmico, dove "l’uomo microcosmo" (il cinque) si incontra con "il Cielo Macrocosmo" (il sette) nella visione della Gerusalemme celeste, fornita di 12 porte e di 12 pietre preziose, che sormontano l’entrata. Ma forse il significato più pregnante del messaggio in codice, lasciato ai posteri da frà Elia a sua discolpa, lo chiarisce molto bene frà Prospero Calzolari, anche lui un massone, forse non praticante, ma sicuramente di spirito, come tanti indizi sembrano confermare, non ultimo la scelta di affidare l’introduzione del Suo libro, da noi tante volte richiamato, ad Alberto Cesare Ambesi, fratello anche Lui di provata fede massonica, passato da tempo all’Oriente eterno, i cui scritti ancora oggi, a tanti anni di distanza dal suo distacco terreno, restano sempre di stimolo e di incoraggiamento a proseguire il cammino di conoscenza intrapreso. Ci consenta quindi frà Prospero di riprendere ancora una volta "aquilonicamente" i suoi rilievi:

 

"Questi oggetti, pregni di significato, legati alla complessa simbologia ermetico-alchemica, non si esauriscono come tali, anche perché frà Elia fece in modo che la testa del santo poggiasse su una "pietra angolare" che, secondo il simbolismo tradizionale, non è altro, per la sua forma quanto per la sua posizione, che la rappresentazione simbolica del principio che "la pietra d’angolo" deve diventare "la testa d’angolo" che resta l’unica nell’intero edificio e che "trova il suo posto alla fine della costruzione". Concetto espresso dal Salmo 117, il quale recita testualmente: "La pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo; ecco l’opera del signore: una meraviglia ai nostri occhi" "e "la pietra angolare", posta da Elia segretamente sotto la testa di Francesco, indica che "il Suo percorso iniziatico si era compiuto," seguendo un itinerario che lo aveva portato a poggiare il capo sull’ "occultum lapidem", sulla pietra angolare, "sull’’ultima pietra", in realtà la prima, secondo frà Elia, che vedeva in Lui "la pietra filosofale", novello Cristo ed Asse del mondo, il quale con il Suo avvento aveva compiuto l’Opera, aprendo il mondo alla nuova "Età delle Spirito", vaticinata da Gioacchino da Fiore, che, secondo i dettami della mistica ebraica, utilizzava "i simboli" come rappresentazione della "Verità". "Se questo è il significato segreto di questa pietra angolare, si comprende meglio il motivo che portò frà Elia a scegliere la località denominata allora "Colle dell’Inferno" come luogo per l’erezione della Basilica ed a cambiarne il nome in "Colle del Paradiso". Dovette certamente avere in mente le parole di Matteo (XVI, 18):"Tu sei Pietro, e su questa pietra costruirò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno su di essa". "Ma l’ispirazione a costruire la Basilica di Assisi sul "Colle dell’Inferno", da Elia poi ribattezzato "Colle del Paradiso", gli fu data dallo stesso Francesco, il quale aveva detto che "un giorno quel colle sarebbe diventato "Ingresso del Paradiso" (vedi P. Benoffi, Compendio di Storia minoritica, Aggiunta, p.355) > "Porta Del Cielo", ovverosia "Ianua Coeli". Una coincidenza o piuttosto un chiaro riferimento "ai tre stadi dell’Opera", secondo una visione per cosi dire "dantesca" (la risalita al Paradiso attraverso Lucifero). "Anche la triplice struttura della Basilica -fa rilevare Calzolari- induce ad identiche conclusioni. Infatti la suddivisione della stessa tra Cripta, Basilica inferiore e Basilica Superiore si ricollega al "cammino iniziatico", che dalla decomposizione della carne conduce, attraverso il graduale processo di purificazione, alla gloria dei cieli a "rivedere le stelle", concetto che riassume in sé il significato esoterico della condizione spazio temporale, in cui si trova l’uomo che deve sperimentare la vita e le sue prove al fine di spogliarsi delle sue impurità terrene e raggiungere la perfezione". Quest’analisi di Calzolari ci consente inevitabilmente di dare una lettura diversa del Francesco tramandatoci da Bonaventura, di cui non ci sentiamo di condividere le scelte, anche se motivate e giustificate dal particolare momento storico e dall'assoluta necessità di preservare intatto il movimento francescano, roso dalle divisioni e dall'incompresione del messaggio originale di Francesco, di cui ognuno ormai si credeva capace di interpretare e di seguire l'esempio. Francesco aveva mantenuto volutamente il suo stato laico, non prendendo, come è convinzione di molti, "i voti" e quindi non celebrando messa in qualità di "sacerdote". Si veda in proposito il racconto sulla cerimonia del "presepe". Aveva invece molto probabilmente preso "i voti da templare", comportandosi per tutta la vita da "monaco-guerriero" di pace e non di guerra. Fu il primo e solo fondatore dell 'Ordine del Frati Minori, come De Paynes lo fu per l'Ordine del Tempio, e non a caso ha scelto come simbolo il "Tau" e non la Croce, pur credendo con la stessa dedizione e fermezza in Gesù di Nazareh, tanto da rivivivere sul suo corpo la stessa passione e la stessa "via crucis", primo stimmatizzato d'Italia. Dai suoi atti e comportamenti si desume che seguì un preciso "percorso iniziatico laico", seguendo una metodologia tipica di gruppi esoterici, come comprovano non solo i simboli lasciati sulla pietra, ma sopratutto quelli lasciati da Frà Elia intorno al suo corpo, valutazioni che lasciamo a coloro più preparati ed esperti in materia simbolica. A noi piace terminare questa analisi richiamandoci all’ allegoria del Graal e dei cavalieri della Tavola Rotonda. Graal deriva da sangraal, ovvero "sangue reale", il sangue che ha il potere di purificare i peccati del mondo e giungere a contatto con le sfere divine. Il sangue, lo spirito di Francesco era certamente "reale" e "purissimo" e per questo andava conservato in "una coppa reale", ma non "d'oro", né di pregiato "cristallo". Frà Elia raccolse questo sangue in una "Coppa di Pietra", perfettamente levigata proprio sotto il Suo "Paradiso", lasciando che i suoi resti mortali continuassero ad essere fonte di quella inesauribile energia divina, di quella potente energia che la santa reliquia continuava a emanare in tutta la Sua intensità, mantenendola indenne da contatti negativi ed impuri. Questa crediamo sia la vera ragione della strenua difesa e del pervicace occultamento di questo magico Sito, anche perché frà Elia aveva mostrato di avere poteri di chiaroveggenza -sapeva leggere il futuro come il più famoso Nostradamus- e molto probabilmente aveva potuto assistere, dal lontano Medioevo, alla mercificazione che sta avvenendo ai resti mortali di un altro povero ed umile fraticello, Sembra proprio che i Frati del Santuario di San Giovanni Rotondo si siano dimenticati il messaggio di San Francesco e di Padre Pio, fondato sulla povertà assoluta e sulla semplicità. Forse avrebbero dovuto prendere esempio da frà Elia e da Papa Gragorio IX, che ne aveva perfettamente compreso la scelta, rispettandola e tutelandola, come tutti gli altri Papi, che lo hanno seguito fino al 1818.

CONTINUA

 
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Ordine di Sion

Post n°129 pubblicato il 10 Novembre 2010 da knighttemplar

 

Dal 1188 L'Ordine, sotto la guida di Jean de Gisors, modificò la sua denominazione adottando il nome di "Ormus", seguito da un simbolo che ricordava quello del segno zodiacale della Vergine. Sembra che il termine fosse stato un acrostico di parole segrete.  Ormus ,  una combinazione intelligente di Ursus (orso in latino, che è una riferendosi al merovingia e Dagoberto II. Si ricorda anche il monaco dalla Calabria che si stabilì a Orval), "Urmus (olmo in latino), sigillò con " Gold "e la firma con la lettera "M" che significa la nascita verginale  della Madonna. Una tradizione francese ben diffusa, però, sostiene che Ormus sia stato il nome di un saggio di Alessandria d'Egitto vissuto nei primi anni del Cristianesimo, un seguace delle dottrine gnostiche che, negli anni successivi alla morte, venne identificato nella persona dell'evangelista Marco, mescolando Cristianesimo e antiche credenze. Ma la cosa più interessante è che il suo simbolo era costituito da un colore rosso o rosa. Nel 1629, mentre la Confraternita della Rosa-Croce era al suo picco Denyau Robert, parroco di Gisors dichiarò per iscritto che Jean de Gisors è stato il fondatore della Rosa-Croce nel 1188. Questa tradizione fu fatta propria da alcune logge massoniche tedesche nel 18° secolo, le quali precisarono che il Priorato avrebbe assunto la denominazione di "Ordre de la Rose Croix Veritas " (ORCV) a partire dai primi anni del XIII secolo, anticipando  di oltre quattrocento anni la nascita ufficiale del movimento dei Rosacroce. Il Priorato di Sion Orleans - Ormus nel 1187, Gerusalemme fu riconquistata dai Saraceni (Disaster di Hattin) e Gerard de Ridefort per colpa, quindi del Gran Maestro dei Templari per tradimento e anche incompetenza fu anche la conseguenza dell' abbattimento dell' olmo e lo scisma nel 1188 Sion-Templari.Di fronte a questa sconfitta i cristiani di Gerusalemme, i monaci dell'abbazia del Monte di Sion dovettero fuggire dalla Terra Santa per  ritornare a New Orleans. Va notato Orléans era a quel tempo,  luogo privilegiato per militari e religiosi che partivano e ritornavano dalle Crociate. La battaglia di Hattin nel 1187, Così nel 1188 l'Odine di Sion - Ormus a Orleans.  Questa zona è conosciuta come  (Sain-Samson) che questo nominativo fù precedentemente dato dai canonici di Notre Dame (o di Sainte-Marie) Montagna - Sion Gerusalemme nel 1152 da Luigi VII. Nel 1567 la chiesa fu distrutta dagli ugonotti poi ricostruita. Purtroppo la chiesa fu demolita nel 1848 ed il cancello fù trasportato al parco Pastore. La posizione del Priorato di Saint Samson (S.Jean De Braye a Olivet   ), in Orléans, al limitare del Loiret. Questo piccolo convento (S. Sansone) dipendeva dalla abbazia di San Martino. La separazione tra Priorato e Ordine Templare non fu solamente formale. Jean de Gisors era stato eletto Gran Maestro di Sion 15 Agosto 1188, durante festa della Madonna. Questo è il primo Gran Maestro dell'ordine di Sion, dopo il taglio dell'olmo la famiglia passa a un altra importante famiglia della casata, Saint Clair ...2 St. Clair Maria (1192-1266 †) .Dalla nobiltà normanna, discendente da Henry de Saint Clair, il barone Rosslyn in Scozia e che ha accompagnò Goffredo di Buglione alla prima crociata. Rosslyn è situato vicino alla più grande Commanderia Templare in Scozia. La sua cappella del XV secolo è famosa, secondo la leggenda, essendo stato un luogo importante per i massoni e rosacrociani. La nonna di Maria de Saint Clair, a causa del suo matrimonio, entrò nella casata Francese dei Chaumont, e Jean de Gisors. Secondo i Dossiers Secrets Marie de Saint Clair è stata la seconda moglie di Giovanni di Gisors. St. Cappella di Rosslyn in Scozia 3 Guillaume de Gisors (1219-1307 †)Re normanno, fu il figlio di Hugues III de Gisors e il piccolo figlio di Giovanni Gisors. Secondo le genealogie dei Dossiers Secrets, sua sorella era sposata con Jean Plantard. Egli è stato coinvolto con l'arresto dei Templari nel 1307 e la misteriosa testa d'oro. Le genealogie di dossier segreti indicano che il nipote della moglie Guillaume de Gisors è Edouard de Bar ..4 Bar Edward de (1302-1336 †) Egli era il nipote del re d'Inghilterra Edoardo I Longshanks" (1272-1307) e la nipote di Edoardo II. Fu anche conte di Bar (Bar). Egli discende da una importante famiglia delle Ardenne ed è stato quindi legato alla dinastia merovingia. Nel 1308, all'età di 6 anni, fu catturato accompagnando il duca di Lorena. Un fatto curioso è che è stato nominato Gran Maestro di Sion nel 1307, all'età di 5 anni. un anno dopo costretto a cedere la contea di Bar a suo zio Giovanni Bar, allora reggente. La sorella maggiore di Edouard de Bar è Jeanne de Bar ...5 Jeanne de Bar (1295-1361 †) Dopo venne la nobiltà anglo-normanno, la nipote del Re Edoardo I d'Inghilterra "Longshanks" (1272-1307) e sorella maggiore di Edouard de Bar. Nel 1310 sposò il Conte di Warren,  in Francia nel 1345 per diventare reggente del foro di contea. Durante la guerra dei cent'anni nel 1353 tornò in Inghilterra. Nel 1356, il re di Francia fu catturato a Poitiers e imprigionato a Londra. Jeanne de Bar tentò di soccorrerlo. Fù l'unico tra i Grandi Maestri per aver perso il titolo dimissioni o abdicazione 10 anni prima della sua morte. Morì a Londra nel 1361. La zia Jeanne de Bar era stata sposata con il nonno di Giovanni di St. Clair ...6 St. Clair Giovanni (1329-1366 †)  la nobiltà francese la famiglie Chaumont, Gisors e St. Clair-sur-Epte. Suo nonno era sposato con la zia di Giovanna di Bar. Jeanne de Bar e sapeva Re Filippo IV di Francia. Quest'ultimo è stato il marito di Blanche Evreux ...7 Blanche d'Evreux (1332-1398 †) la principessa francese, fù la moglie del re Filippo VI di Francia e il suo grande padre era Louis X. Era la figlia di Giovanna II di Navarra e Filippo Evreux, sorella di Jeanne de Navarra, Luigi 'Evreux Carlo II (The Bad), Agnese di Navarra, Maria e Filippo di Navarra. Suo padre, re di Navarra lasciò in eredità le contee di Longueville e Evreux vicino Gisors nel 1359, trascorse gran parte della sua vita nel castello di Neauphle nei pressi del castelloGisors. Castello si Neauphle rimane oggi una torre. Blanche d'Evreux, conosciuta anche come Bianca di Navarra, secondo la leggenda, aveva fama di alchimista e i castelli avevano diversi laboratori, era in possesso di un libro di alchimia raramente apparso nel Languedoc secolo XIV. Questo trattato sarebbe nato alla fine della dinastia merovingia. Blanche d'Evreux è il patrono di Nicolas Flamel ...8 Nicolas Flamel (1330-1418 †) Ecco il primo Gran Maestro di Sion non collegati con genealogie dei Dossiers Secrets. Libraio ed editore, fu uno dei più alchimisti del Medioevo. iniziato la sua carriera come copista a Parigi. Questo gli ha permesso di acquisire molte conoscenze in arte, poesia, matematica e architettura. Ma rimase affascinato rapidamente per l'alchimia e pensiero cabalistico. Nel 1361, scoprì la sua vita il libro "Il Libro Sacro di Abramo l'Ebreo",  l'originale è nella biblioteca dell'Arsenale a Parigi. Nicolas Flamel lavorerò per 21 anni su questo libro senza successo. Ma dopo un viaggio in Spagna nel 1382 dopo aver  incontrato un ebreo convertito che gli diede la chiave. Al suo ritorno a Parigi, Nicolas Flamel scoprì il segreto della fabbricazione dell'oro (Trasmutazione) ha prodotto per la prima volta 17 gennaio,simbolismo nella storia di Rennes-le-Château. Diventato immensamente ricco che possedeva alla fine della sua vita più di 30 case e terreni a Parigi e Boulogne. Alcuni storici ritengono che Nicolas Flamel mai praticò l'alchimia e che gli scritti a lui attribuiti sono gli autori corrispondente del XVI secolo che presero in prestito il suo nome non essere conosciuto come alchimista. Tuttavia stesso Isaac Newton ha dedicò lo studio le sue opere in dettaglio. Nicolas Flamel, molto colta ed esoterica,  incontrò Renato d'Angiò ...9 Renato d'Angiò (1409-1480 †). Si hanno altre notizie relative al Priorato intorno alla metà del XV secolo, segnatamente riguardo le attività del nobile Renato d'Angiò che alcuni documenti conservati nella Biblioteca Nazionale di Parigi segnalano come un capo dell'Ormus. Nato nel 1408, discendente per linea maschile dai Buglione, tra gli altri numerosissimi titoli nobiliari assunse anche quello di "re di Gerusalemme". Nel 1422 lo si ritrova membro dell'enigmatico "Ordine della Fedeltà", e quattro anni più tardi iniziato dell'"Ordine del Levriero Bianco". Nel 1448 avrebbe fondato un proprio ordine cavalleresco con venature marcatamente esoteriche, il così detto "Ordine della Mezzaluna", al quale avrebbero aderito successivamente personaggi come Francesco Sforza e Leonardo da Vinci, Sandro Botticelli e Férrier Vaudémont, nonchè la di lui sposa Jolande de Bar, figlia dello stesso Renato. Questo Ordine venne soppresso dalla Chiesa agliinizi del 17° secolo. La vita di Renato d'Angiò fu turbolenta e ammantata di misteri. Si disse che fosse stato l'amante di Giovanna d'Arco. Questo particolare con molta probabilità fa parte della leggenda. E’ però certo che l'avesse aiutata nelle imprese militari con propri armati e con il proprio oro, facendo leva sull'ascendente che la pulzella avrebbe avuto presso sua madre Iolanda d'Angiò, considerata la donna più autorevole di Francia in quel periodo. Si disse anche che Renato si considerasse discendente diretto di Gesù Cristo, e che tutte la sue attività si muovessero in forza di tale consapevolezza. In considerazione che Renato fosse stato un personaggio molto significativo per produzione letteraria del tempo, potrebbe essere probabile la diceria che avesse creato e dato organizzazione al tema della così detta "Arcadia".

 

 
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BRAY

 

 

Sceau (SIGILLO) de la baronnie de Bray

La baronnie de Bray s'étend le long d'axes stratégiques comme la Seine, la voie romaine de Sens à Meaux qui permet de passer le pont en marquant le c'ur de la châtellenie de la vallée de l'Oreuse, la limite du comté de Champagne et l'Yonne. Ses barons Henri le Libéral, comte de Champagne, puis Jacques, duc de Savoie, gèrent les territoires autour de dix places principales : Passy, Montigny, Bazoches, Les Ormes, Dontilly, la Villeneuve-du-Comte, Égligny, Vin-neuf, Courlon et Bray-sur-Seine.

 

 

CENNI STORICI SUL MIO CASATO BRAY

 Il casato BRAY-BRAI, cognome sembra essere derivante dal francese (e prima da quello, Celtico). Il nome proviene da diversi periodi storici nei paesi d'Europa. Contea Wicklow, l'Irlanda, vicino a Brayhead. Nelle annotazioni antiche il nome era Bree, preso dal vecchio bri o brigh irlandese, una collina. Questa parola è simile nelle vecchie lingue gaeliche e celtiche; In Inghilterra il nome è trovato applicato alle parrocchie in contee Devon e Berks. Molti città e distretti in Francia impiegano il Bray o certa forma del nome, come: Bray-sur-Somme, Bray-sur-Seine, Bre-Cotes-du-Nord, Bray-La-Campagne, Bray-Calvados e paga de Bray. Ci sono parecchi posti chiamati BRAY in Europa, la città Bray in Inghilterra è in Berkshire sul fiume di Tamigi vicino a Windsor, Bray in Irlanda è sul sud del litorale appena di Dublino in contea Wicklow e ci è un distretto chiamato paga de Bray vicino a Rouen e ad un villaggio Bray vicino a Parigi in Francia in Lilla."La gente normanna„ dal Re", condizioni il nome deriva da un posto denominato Bray vicino ad Evreux, Normandia; Milo de Brai 1064 era signore di Montlhéry a partire dal 1095 sua moglie era Lithuise figlia di Stephes conte di Blois e di Adela della Normandia, figlia di William il conquistatore ed il suo figlio dello stesso nome Milo II de Brai 1118 signore di Montlhéry e di Braye, visconte di Troyes 1096,  il figlio maggiore Trousseau de Brai, signore di Monthléry  sua figlia Elizabeth di Montlhéry nel 1103 sposò Philip, Conte di Mantes, figlio di Philip I della Francia e di Bertrada de Momtfort, parteciparono alla 1^ crociata nel 1096. Nel  1066, sir Guillaume de Brai, successivamente in inglese William de Bray e sir Thomas de Bray, parteciparono alla conquista dell'Inghilterra a fianco del Duca di Normandia William. Sul rotolo nell'abbazia i nomi di coloro che hanno partecipato alla battaglia di  hastings. Al Servizio dei Re d'Inghlilterra dal (1066 - 1485): In un villaggio vicino Berkshire Bray vi è una chiesa del XII secolo costruita da Bray, in cornovaglia. sir Richard Bray cavaliere della giarrettiera e Consigliere al servio di Henry VI e della sua moglie Joan Troughton. Nel Concistoro del 22 maggio 1262 fù nominato Cardinale Guillaume de Bray da Papa Urbano IV . Il casato si stabilì in Puglia in Gravina e nel salento. Nominis reliquiae supersunt planissime, Bibracte Galliae etiam nunc in Bray contrahitur, et non procul hinc Caesar Tamisim cum suis transmisit ...",

 

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Papa Benedictus XVI

Joseph Ratzinger


Il Santo Padre con il Vescovo di Ugento (LE) Mons. VITO DE GRISANTIS in occasione della visita a Santa Maria di Leuca (LE) "de finibus terrae"14 Giugno 2008


 

SIGILLUM MILITUM

 

A Troyes Francia nel 1127, i Cavalieri Templari adottarono il motto: "Non nobis Domine, non nobis, sed nomini Tuo da gloriam", ossia "Non a noi, Signore, non a noi, ma al Tuo nome da gloria". E’ facile immaginare come un simile motto potesse accendere gli animi.
San Bernardo da Chiaravalle inoltre trasmise ai cavalieri la devozione a Maria e il grande rispetto per la donna, la Regola infatti cita: "Maria presiedette al principio del nostro Ordine

 

INVESTITURE

 

Nel medioevo il cavaliere veniva istruito nell’uso delle armi; egli era sottoposto a studi che ingentilivano gli animi e di ordine morale. Altre caratteristiche della cavalleria erano: cortesia, difesa della giustizia, appoggio alla debolezza, omaggio alla bellezza, idealizzazione dell’amore come mezzo di elevazione morale. L’incontro con il soprannaturale, secondo le credenze d’epoca, avrebbe completato l’iniziazione del cavaliere.

Iniziazione cavalleresca
La vestizione - com’era chiamata l’iniziazione cavalleresca - era considerata già alla fine del XI -XII secolo con la fondazione degli Ordini un "ottavo sacramento". Il candidato vi si preparava con una notte di veglia in armi nella cappella di famiglia, inginocchiato davanti all’altare. Veniva poi purificato con un bagno rituale, confessato e comunicato. Seguiva una messa solenne, al termine della quale avveniva la vestizione vera e propria, che consisteva nella consegna da parte del sacerdote della spada consacrata, degli speroni, dello scudo, della lancia e delle varie parti dell’armatura, che appunto il giovane indossava.
La cerimonia si concludeva infine con l’accollata o palmata, cioè con un colpo inferto col palmo della mano dal padrino sulla nuca del neofita, o anche di piatto con la spada sulla spalla. Era consuetudine che il colpo fosse di una certa forza, tanto da far vacillare il ricevente.
 
Bisognava alimentare tra i cavalieri rapporti di solidarietà, lealtà, fratellanza, oltre che naturalmente di fedeltà incondizionata. Non importava che la compagnia fosse numerosa; importava che fossero saldi i legami al suo interno e che ne facessero parte, soprattutto, quei pochi vassalli davvero in grado - per valore, potere, prestigio personale - di controllare tutti gli altri.

 

 

RE CRISTIANI

 

 

CATTEDRALI GOTICHE

 

I Cavalieri Templari, si ritiene avessero rinvenuto documenti relativi alle "LEGGI DIVINE DEI NUMERI,DEI PESI E DELLE MISURE" sotto le rovine del Tempio di Salomone a Gerusalemme e li avrebbero forniti ai costruttori di cattedrali.

Le cattedrali gotiche sono dei veri e propri libri di pietra, per tramandare straordinarie conoscenze che solo poche persone iniziate a simboli ed a codici particolari, avrebbero potuto comprendere. Infatti la grandiosità, l'imponenza e tutta una serie di misteri non risolti hanno fatto diffondere attorno alle cattedrali gotiche numerose leggende legate a figure ed oggetti leggendari della storia del Cristianesimo, dai Cavalieri Templari al Santo Graal.

Furono costruite improvvisamente in Europa, intorno al 1128 (cattedrale di Sens), proprio dopo il ritorno dei Cavalieri Templari dalla Terrasanta, con una maestria costruttiva tecnica e architettonica completamente diversa dalle precedenti chiese romaniche. Una dopo l'altra, sorsero le cattedrali di Evreux, di Rouen, di Reims, di Amiens, di Bayeux, di Parigi, fino ad arrivare al trionfo della cattedrale di Chartres. I piani di costruzione e tutti progetti originali di esecuzione di queste cattedrali non sono mai stati trovati. Le opere murarie erano fatte con una maestria eccezionale. Per i tecnici, come gli architetti, ad esempio, possiamo vedere come i contrafforti esterni esercitano una spinta sulle pareti laterali della navata, e così facendo il peso, anziché gravare verso il basso, viene come spinto verso l'alto, e tutta la struttura appare proiettata verso il cielo. Le Cattedrali inoltre sono tutte poste allo stesso modo: con l’abside rivolto verso est (cioè verso la luce), sono tutte dedicate a Notre Dame, cioè alla Vergine Maria e se unite insieme formano esattamente la costellazione della Vergine.

Inoltre vennero costruite su luoghi già considerati sacri al culto della "Grande Madre", ritenuto il culto unitario più diffuso prima del Cristianesimo; molti di questi luoghi inoltre sono dei veri e propri nodi di correnti terrestri, ovvero punti in cui l'energia terrestre è molto forte (grandi allineamenti di megaliti). Hanno pianta a croce latina: la croce "é il geroglifico alchemico del crogiuolo" (Fulcanelli), ed è nel crogiuolo che la materia prima necessaria per la Grande Opera alchemica muore, per poi rinascere trasformata in un qualcosa di più elevato.

Sono adornate da un gran numero di statue o bassorilievi raffiguranti figure altamente simboliche e simboli magici ed esoterici, che poco hanno a che vedere con la loro funzione di chiese cristiane ed hanno un particolare orientamento in modo che il fedele, entrando nell'edificio sacro, cammini verso l'Oriente, ovvero verso la Palestina, luogo di nascita del Cristianesimo.

Ciascuna cattedrale è dotata di una cripta in cui secondo alcune tradizioni sarebbero nascosti degli oggetti sacri molto importanti (ad esempio si dice che in una delle cripte della Cattedrale di Chartres sia custodita l'Arca dell'Alleanza, e che quando questa cripta sarà scoperta la cattedrale crollerà al suolo). Ma le cripte sono legate ad un altro elemento molto misterioso: le "Vergini Nere", statue o bassorilievi, che raffigurano appunto la vergine Maria, con la particolarità della carnagione scura.

 

Francia Parigi

 

 

Notre Dame

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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