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"Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?” - chiede Kublai Khan.
- Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra - risponde Marco - ma dalla linea dell’arco che esse formano”.
Kublai Khan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: - Perché mi parli delle pietre? E’ solo dell’arco che m’importa.
Polo risponde: - Senza pietre non c’è arco.
 

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Clara De Sousa

Post n°12 pubblicato il 04 Luglio 2007 da navigantegd
 
Foto di navigantegd


Donna, migrante, sarda, una brasiliana alla guida del movimento sardista per la Sinistra Europea


«Migrante, brasiliana, compagna, sarda e sardista». Claudio Cugusi, consigliere comunale a Cagliari, eletto nelle liste del Prc la presenta così. Si chiama Clara De Sousa ed è da 48 ore la nuova segretaria del Movimento sardista per la Sinistra Europea. Prende il posto proprio di Cugusi alla guida del movimento che nello scorso fine settimana ha tenuto a Cagliari la propria assemblea programmatica e politica.
Chiunque si fosse aspettato una kermesse a base di costumi tradizionali e inni separatisti deve ricredersi rapidamente di fronte alla piattaforma di questa costola della Sinistra europea che si batte per una Sardegna «libera da nuove e vecchie servitù, aperta al mondo, pacifista e plurale» e riporta il sardismo «dove era nato - ha detto il segretario uscente nel discorso di chiusura - nel socialismo, cioè dalla parte di chi ha meno».

Il movimento sardista è stato attivo, nei quasi due anni di vita, nelle vertenze dei precari cinquantenni del comune di Cagliari e della Multiservizi, nelle lotte dei call centre, a fianco dei licenziati di Atlantis e di Abbanoa, l'azienda dell'acqua, e, ancora, nella battaglia contro le servitù militari di un'isola che è quasi una portaerei.
Clara ci ha ritrovato le ragioni per cui, a soli sedici anni s'era immersa nel vivacissimo movimento studentesco della metà degli anni '80, a Sao Luis nello stato di nordest del Maranhao. Clara, figlia della figlia casalinga di una sarta, racconta a Liberazione gli scioperi lunghissimi contro il malfunzionamento dei servizi pubblici, per l'accesso popolare a sanità e istruzione, contro il lavoro senza contratto e le politiche nepotistiche e clientelari dell'oligarchia. «Era il periodo in cui Lula si affacciava sulla scena pubblica». Clara vuole fare la giornalista, sogna di fare l'inviata di guerra e si iscrive al Pt, il partito dei lavoratori. Sono anni di fermento per la prima generazione nata dopo la fine della dittatura, anni che avrebbero portato, per la prima volta nella storia, un operaio alla presidenza della repubblica. Clara è attivissima nel laboratorio politico che sono state le prime campagne elettorali di Lula.
A vent'anni, però, si innamora di un italiano. I piani cambiano e fa la spola tra Cagliari, il Brasile e la Germania dove fa la barista tra gli immigrati italiani. «Il primo approccio con l'immigrazione», dice ancora.


A Cagliari, otto anni fa, comincia quello che lei stessa chiama «il mio percorso definitivo all'interno della società sarda: a partire dalla difficoltà di trovare condizioni decenti di lavoro». Lavorerà come parrucchiera, segretaria fino a diventare, tre anni fa, mediatrice culturale in progetti di integrazione per stranieri: «Non puoi restare ai margini della società dove si svolge la tua vita, dove scegli di stare. E' vero, vengo da lontano, ma vorrei dare il mio contributo. C'è molta gente che qui riesce a trovare una propria dimensione. La mia storia non cambia ma non mi impedisce di partecipare qui».


Un anno e mezzo fa l'incontro con il progetto visionario del nuovo movimento sardista, l'incontro con Cugusi e la visione di una società sarda da «preservare, perché bisogna custodire le tue radici, ma senza escludere le culture con le quali si convive». E' una visione dinamica dell'autonomia, lei la chiama «lungimiranza: i sardi che ho conosciuto in altre parti del mondo avevano il mio stesso approccio, specialmente le nuove generazoni coniugare le radici con le nuove appartenze. Prima ho partecipato a molti incontri, poi ho aderito: non potrei stare da un'altra parte. Quella che si fa carico della collettività, di una società più equa». Lavorare per l'autonomia significa per Clara e i suoi compagni, lavorare con i senza diritti come i precari di Zona deprecarizzata, associazione che lavora in sintonia col movimento, per l'inclusione di tutti - immigrati e sardi - per trattenere i giovani nella loro terra, per l'abbattimento di barriere architettoniche e sociali come la mancata connessione a internet di molte aree dell'isola. La nuova Sardegna è antiliberista: «Se uno è talmente preso dai bisogni primari - spiega - non può esprimere la propria cittadinanza».
La partecipazione alla Sinistra europea, con queste premesse, serve «a dare continuità a quello che vogliamo per la terra sarda, la possibilità di collegarci e affacciarsi sul Mediterraneo».

Liberazione 03/07/2007

 
 
 
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Un blog di: navigantegd
Data di creazione: 22/02/2007
 

APPELLO PER VICARELLO

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La tenuta agricola di Vicarello, che si estende per 1.015 ettari sul lago di Bracciano, costituisce una testimonianza preziosa del paesaggio agrario della Tuscia meridionale. Boschi di castagno, ville imperiali, terme millenarie, oliveti secolari, antichissime opere idrauliche, villaggi sommersi dalle acque ne fanno uno degli ultimi esempi di quella fusione tra segni dell’uomo e segni della natura che costituisce la bellezza e insieme la ricchezza del nostro territorio. Ma Vicarello non rappresenta solo testimonianza e memoria viva di un passato, ma anche una realtà socio-economica su cui negli ultimi trent’anni si sono scontrati gli interessi dei pochi e le legittime aspirazioni dei molti. Passaggi di mano di proprietà, minacce di colate di cemento più volte bloccate dalla società civile e dalla parte migliore delle istituzioni, degrado progressivo del suo patrimonio agricolo sono la storia contemporanea di Vicarello. Ora, recenti notizie sulla vendita da parte della banca di investimento inglese che ne detiene la proprietà e l’interesse dichiarato di grandi gruppi finanziari per i quali Vicarello rappresenta esclusivamente una fonte di profitto da sfruttare secondo i criteri del massimo utile e non certo della compatibilità con la storia, la memoria e l’ambiente, ci spingono a mobilitarci in difesa di questo patrimonio di tutti. Noi cittadine e cittadini riteniamo che solo l’acquisizione e la destinazione pubblica della tenuta di Vicarello, l’utilizzazione rispettosa del suo patrimonio architettonico, la riapertura degli impianti termali, attraverso l’avvio di un percorso virtuoso che veda insieme i Comuni del territorio, già impegnati peraltro da un protocollo firmato nel 1999, le Province di Roma e Viterbo, la Regione Lazio e il Parco di Bracciano, le Università e le istituzioni di ricerca, possano dare ai cittadini un luogo in cui sperimentare, alle porte di Roma, un processo di utilizzazione integrata delle risorse turistiche, agricole, ambientali e paesaggistiche che spezzi la monocultura del cemento. Un’operazione basata sulla difesa dei beni comuni (acqua e terra in primo luogo) che può costituire un primo passo di una diversa economia, di lunga prospettiva, un cambio di paradigma che inizi a mettere da parte un modello di sviluppo i cui guasti, anche economici, sono sotto gli occhi di tutti. settembre 2007
 

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