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"Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?” - chiede Kublai Khan.
- Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra - risponde Marco - ma dalla linea dell’arco che esse formano”.
Kublai Khan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: - Perché mi parli delle pietre? E’ solo dell’arco che m’importa.
Polo risponde: - Senza pietre non c’è arco.
 

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Omaggio a Joris Ivens

Post n°11 pubblicato il 30 Marzo 2007 da navigantegd
 

Joris Ivens è stato uno dei più grandi documentaristi della storia del cinema. Olandese, comunista, ha diretto una quarantina di film nei quali ha descritto gli uomini e le loro lotte a tutte le latitudini. In questo mi ha ricordato molto Sebastiao Salgado, il fotografo degli ultimi, quelli che popolano tutti i sud del mondo.

A Ivens fu commissionato da Enrico Mattei, un film sui vantaggi della ricerca degli idrocarburi in Italia. Era il 1959 e Ivens, che pure realizzò un'opera che magnificava l'opera dell'Eni in Italia come in Egitto e in Iraq, mostrò un'Italia ancora terribilmente lontana dagli standard di vita dei paesi ricchi, nella quale al di fuori delle città, intere famiglie vivevano in condizioni misere e senza alcuna garanzia per il futuro. Si era alla vigilia del boom economico e la classe dirigente dell'epoca, tutta tesa a magnificare il nuovo sviluppo che ci sarebbe venuto dal capitalismo italiano, non gradì. La Rai, che pure era compartecipe nel film, tagliò tutte le parti "sgradevoli" tanto da costringere Ivens al disconoscimento dell'opera che fu trasmessa d'estate e in tardo orario, con il titolo di "Frammenti di un film di Joris Ivens". In effetti, per quello che era rimasto, si poteva parlare solo di frammenti.

Nelle prossime settimane sarà possibile rivedere questo magnifico documentario in alcune sale italiane e nella versione integrale. Nel film c'è un'Italia oggi impossibile da immaginare, ingenua e sognatrice nelle persone che cercavano nuove possibilità dal mondo del lavoro, e già terribilmente disillusa in chi lottava per la sopravvivenza. E' una società non ancora globalizzata in cui i ricercatori sono "i giovani scienziati", e si parla di aviogetti, di cervelli elettronici e di cosmonauti e le comunicazioni tra valle padana e sicilia sono possibili solo via radio.

Un giovane cineasta italiano, Daniele Vicari, ha fatto 40 anni dopo il viaggio inverso e da Gela è arrivato fino a Venezia, per mostrare l'Italia del mondo del lavoro come è oggi e sulle orme di Ivens, ha realizzato un documentario che si chiama "Il mio paese" tornando sui luoghi già filmati dal regista olandese. Il film sarà distribuito nel circuito delle sale Arci insieme a "L'Italia non è un paese povero". Da vedere per ragionare su cosa siamo diventati.

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La tenuta agricola di Vicarello, che si estende per 1.015 ettari sul lago di Bracciano, costituisce una testimonianza preziosa del paesaggio agrario della Tuscia meridionale. Boschi di castagno, ville imperiali, terme millenarie, oliveti secolari, antichissime opere idrauliche, villaggi sommersi dalle acque ne fanno uno degli ultimi esempi di quella fusione tra segni dell’uomo e segni della natura che costituisce la bellezza e insieme la ricchezza del nostro territorio. Ma Vicarello non rappresenta solo testimonianza e memoria viva di un passato, ma anche una realtà socio-economica su cui negli ultimi trent’anni si sono scontrati gli interessi dei pochi e le legittime aspirazioni dei molti. Passaggi di mano di proprietà, minacce di colate di cemento più volte bloccate dalla società civile e dalla parte migliore delle istituzioni, degrado progressivo del suo patrimonio agricolo sono la storia contemporanea di Vicarello. Ora, recenti notizie sulla vendita da parte della banca di investimento inglese che ne detiene la proprietà e l’interesse dichiarato di grandi gruppi finanziari per i quali Vicarello rappresenta esclusivamente una fonte di profitto da sfruttare secondo i criteri del massimo utile e non certo della compatibilità con la storia, la memoria e l’ambiente, ci spingono a mobilitarci in difesa di questo patrimonio di tutti. Noi cittadine e cittadini riteniamo che solo l’acquisizione e la destinazione pubblica della tenuta di Vicarello, l’utilizzazione rispettosa del suo patrimonio architettonico, la riapertura degli impianti termali, attraverso l’avvio di un percorso virtuoso che veda insieme i Comuni del territorio, già impegnati peraltro da un protocollo firmato nel 1999, le Province di Roma e Viterbo, la Regione Lazio e il Parco di Bracciano, le Università e le istituzioni di ricerca, possano dare ai cittadini un luogo in cui sperimentare, alle porte di Roma, un processo di utilizzazione integrata delle risorse turistiche, agricole, ambientali e paesaggistiche che spezzi la monocultura del cemento. Un’operazione basata sulla difesa dei beni comuni (acqua e terra in primo luogo) che può costituire un primo passo di una diversa economia, di lunga prospettiva, un cambio di paradigma che inizi a mettere da parte un modello di sviluppo i cui guasti, anche economici, sono sotto gli occhi di tutti. settembre 2007
 

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