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"Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?” - chiede Kublai Khan.
- Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra - risponde Marco - ma dalla linea dell’arco che esse formano”.
Kublai Khan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: - Perché mi parli delle pietre? E’ solo dell’arco che m’importa.
Polo risponde: - Senza pietre non c’è arco.
 

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« Clara De Sousa

Il decreto anti-rom e il sogno del pastore nero americano

Post n°13 pubblicato il 11 Dicembre 2007 da navigantegd
 

«Ho un sogno: che un giorno questa nazione si sollevi e viva pienamente il vero significato del suo credo: che tutti gli uomini sono stati creati uguali...»
«Ho un sogno, che un giorno, sulle rosse colline della Georgia, i figli degli antichi schiavi e i figli degli antichi proprietari di schiavi riusciranno a sedersi insieme al tavolo della fratellanza...»

«Ho un sogno oggi! Ho un sogno, che un giorno, giù in Alabama, con i suoi razzisti immorali, con il suo governatore le cui labbra gocciolano delle parole "interposizione" e "annientamento" - un giorno proprio là in Alabama bambini neri e bambine nere possano prendersi per mano con bambini bianchi e bambine bianche come sorelle e fratelli...»

«Ho un sogno oggi! Ho un sogno, che un giorno ogni valle sia colmata, e ogni monte e colle siano abbassati, i luoghi tortuosi vengano resi piani e i luoghi curvi raddrizzati. Allora la gloria del Signore sarà rivelata ed ogni carne la vedrà...».

Le avete riconosciute, vero, queste righe? Lo sapete chi le ha scritte, e le ha urlate in una piazza di Washington più di quaranta anni fa? E' stato un pastore battista americano, nero, geniale, mite e forte, incrollabile, dialogante e testardo, che i fascisti americani, razzisti e reazionari, uccisero a fucilate in una mattina di aprile del 1968. Lo sapete che si chiamava Martin Luther King jr, e che è stato il padre della non violenza moderna e uno dei leader della lotta di massa degli afro-americani. Provate a sostituire - in quel discorso da brividi - alla parola nero la parola rom, o la parola straniero, o migrante, o extracomunitario; pensate per un attimo, invece che al governatore dell'Alabama - il feroce George Wallace - a un governatore di qualche regione italiana o sindaco o roba del genere, provate a immaginare che le parole «colline», e «luoghi curvi e tortuosi», si possano sostituire con la parola «confine di stato» - o di razza, o di popolo - perché è esattamente in quel senso che il dottor King adoperava quelle metafore. E poi ditemi se il sogno di King ha ancora un senso, se riguarda anche noi, se riguarda l'Italia del 2007 e le sue istituzioni.
Io - che non credo in Dio, e tantomeno credo alla gloria del Signore - ho il sogno che stamattina tutti i senatori della Repubblica italiana, di destra e di sinistra, prima di votare il decreto sulla sicurezza (il decreto anti-rom) leggano il discorso di King e ci riflettano su un paio di minuti. Penso che se lo fanno, il decreto verrà davvero stravolto dagli emendamenti, oppure verrà bocciato.

Naturalmente io so benissimo cosa è la realpolitik. Conosco le sue leggi, la necessità talvolta di anteporre le relazioni politiche ad altre considerazioni, di accettare i compromessi, di valutare tutte le conseguenze di ogni atto politico - e non solo il merito, la specificità di quell'atto. E quindi capisco che in queste ore il Parlamento (ieri ed oggi il Senato e poi la Camera) sia impegnato in una battaglia politica delicatissima, con l'obiettivo, o la speranza, di ridurre i danni che questo decreto anti-rom porterà ai grandi principi della civiltà, e di impedire al tempo stesso la caduta del governo. E quindi non posso che apprezzare lo sforzo titanico che i senatori della sinistra stanno compiendo, e insieme a loro anche alcuni parlamentari ex-Ds e alcuni cattolici.

Però - lo ammetterete - è difficile non fremere di rabbia di fronte a quello che sta avvenendo in questo paese: cioè alla freddezza cinica con la quale sono stati mandati al macero i principi fondamentali della civiltà (quel sogno di King: la consapevolezza che gli esseri umani sono tutti uguali, cioè sono fatti della stessa carne e anima ed hanno gli stessi diritti) per calcoli elettorali, per piccole manovre che stanno dentro un gioco che consiste nella conquista (o nella speranza di conquista) di qualche pezzo di opinione pubblica e di elettorato conservatori e xenofobi.

Da parte della destra e da parte di settori significativi anche del centrosinistra.
Lo so che molte parti di questo decreto - anche alcune delle parti peggiori - erano state anticipate da un precedente decreto governativo (del gennaio di quest'anno) che poneva dei limiti ai diritti dei cittadini stranieri, basati sulla loro ricchezza (cioè escludeva i più poveri da questi diritti, ed escludeva le persone sfruttate con il lavoro nero dagli imprenditori italiani). Nessuno si era accorto dell'esistenza di questo decreto, finché non lo ha scovato, e usato, il sindaco leghista di Cittadella, in Veneto, suscitando una indignazione generale - dei politici, dei giornali - che è durata quasi 48 ore filate e poi si è spenta. Ma non era meglio cancellarlo questo decreto assurdo, feudale, invece di rafforzarlo e rilanciarlo? Certe volte mi chiedo: ma per quale ragione l'abbiamo fatta l'Europa, per quale ragione abbiamo buttato via i confini? Per qualche ragione ideale? Temo che in realtà non abbiamo cancellato i confini ma solo le dogane, e che l'Europa è un affare che riguarda i mercati, non i principi, i diritti, gli esseri umani.

Lo so che è impensabile una crisi di governo su un decreto di bandiera, voluto per motivi di bandiera, per motivi elettorali, da alcuni partiti e da alcuni leader, e che non modifica gli interessi e i diritti degli italiani, ma si limita a colpire solo gli immigrati più poveri, e in modo speciale i rom, cioè la popolazione più ininfluente politicamente d'Europa, e la più perseguitata. Che risultati si avrebbero da una crisi di governo aperta così? L'ira della stragrande maggioranza della popolazione e basta. In cambio di qualcosa? In cambio della semplice affermazione teorica di uno dei modestissimi principi della rivoluzione francese... Che ancora deve arrivare sulle rosse colline della Georgia, e che forse è già scomparso anche dagli Appennini e dalle Alpi.

Piero Sansonetti - Liberazione, 06/12/2007

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Anonimo il 25/12/07 alle 23:13 via WEB
Auguri di un felice, sereno e splendido Natale dal blog Napoli Romantica...
 
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Anonimo il 23/03/08 alle 17:09 via WEB
Auguri per una serena e felice Pasqua...
Kemper Boyd
 
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La tenuta agricola di Vicarello, che si estende per 1.015 ettari sul lago di Bracciano, costituisce una testimonianza preziosa del paesaggio agrario della Tuscia meridionale. Boschi di castagno, ville imperiali, terme millenarie, oliveti secolari, antichissime opere idrauliche, villaggi sommersi dalle acque ne fanno uno degli ultimi esempi di quella fusione tra segni dell’uomo e segni della natura che costituisce la bellezza e insieme la ricchezza del nostro territorio. Ma Vicarello non rappresenta solo testimonianza e memoria viva di un passato, ma anche una realtà socio-economica su cui negli ultimi trent’anni si sono scontrati gli interessi dei pochi e le legittime aspirazioni dei molti. Passaggi di mano di proprietà, minacce di colate di cemento più volte bloccate dalla società civile e dalla parte migliore delle istituzioni, degrado progressivo del suo patrimonio agricolo sono la storia contemporanea di Vicarello. Ora, recenti notizie sulla vendita da parte della banca di investimento inglese che ne detiene la proprietà e l’interesse dichiarato di grandi gruppi finanziari per i quali Vicarello rappresenta esclusivamente una fonte di profitto da sfruttare secondo i criteri del massimo utile e non certo della compatibilità con la storia, la memoria e l’ambiente, ci spingono a mobilitarci in difesa di questo patrimonio di tutti. Noi cittadine e cittadini riteniamo che solo l’acquisizione e la destinazione pubblica della tenuta di Vicarello, l’utilizzazione rispettosa del suo patrimonio architettonico, la riapertura degli impianti termali, attraverso l’avvio di un percorso virtuoso che veda insieme i Comuni del territorio, già impegnati peraltro da un protocollo firmato nel 1999, le Province di Roma e Viterbo, la Regione Lazio e il Parco di Bracciano, le Università e le istituzioni di ricerca, possano dare ai cittadini un luogo in cui sperimentare, alle porte di Roma, un processo di utilizzazione integrata delle risorse turistiche, agricole, ambientali e paesaggistiche che spezzi la monocultura del cemento. Un’operazione basata sulla difesa dei beni comuni (acqua e terra in primo luogo) che può costituire un primo passo di una diversa economia, di lunga prospettiva, un cambio di paradigma che inizi a mettere da parte un modello di sviluppo i cui guasti, anche economici, sono sotto gli occhi di tutti. settembre 2007
 

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