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"Ma qual è la pietra che sostiene il ponte?” - chiede Kublai Khan.
- Il ponte non è sostenuto da questa o quella pietra - risponde Marco - ma dalla linea dell’arco che esse formano”.
Kublai Khan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: - Perché mi parli delle pietre? E’ solo dell’arco che m’importa.
Polo risponde: - Senza pietre non c’è arco.
 

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« Dichiarazione di rifiuto...Una serata particolare »

Perché la Coca Cola sì e la Coca Sek no

Post n°8 pubblicato il 22 Marzo 2007 da navigantegd
 

di Alberto Rueda

La recente misura di sequestrare ad alcuni indios del Cauca colombiano tre prodotti che utilizzavano la foglia di coca come materia prima per la elaborazione di bevande gassate, biscotti e tè costituisce francamente una genialità che contrasta coi principi generali del diritto, dell’opportunità e dell’assurdo. Spiego perché.

Contrasta coi principi generali del diritto e finisce con l’essere piuttosto una misura di quelle che offendono e discriminano una nazione india. L’art. 27 della Convenzione unica degli stupefacenti del 1961 stabilisce espressamente che gli Stati possano autorizzare l’uso delle foglie di coca per la preparazione di un agente soporifero che non contenga alcaloidi.

Questa è esattamente la norma che consente alla Coca Cola di utilizzare la foglia di coca a livello mondiale, dato che fa parte della materia prima della sua famosa formula segreta.
Se la Coca Cola può utilizzare la foglia di coca, allora perché succede invece che venga proibita in modo assoluto la Coca Sek, una bibita realizzata da un piccolo gruppo di indios del Cauca? Possibile che l’assurdo proposito della Convenzione dell’ONU sia quello di proteggere gli interessi economici di una multinazionale e scoraggiare la sopravvivenza culturale ed etnica dei popoli indios?

I tre enti statali protagonisti di questa proibizione: il Ministero della protezione sociale, la Direzione Nazionale degli stupefacenti e l’Istituto Nazionale di vigilanza delle medicine e degli alimenti (INVIMA) si sono comportati come un tecnico di laboratorio che segue pedissequamente il manuale di istruzioni, senza rendersi conto che si tratta di una faccenda complessa che tocca la protezione e la conciliazione di diritti fondamentali. Il Ministero della protezione sociale, per esempio, col concetto decontestualizzato e grossolano che i derivati della coca sono monopolio di Stato, finisce non solo col negare la ragione stessa della sua esistenza, trasformandosi in attore passivo di non protezione, e addirittura in agente attivo di un sopruso nei confronti di questo gruppo collettivo e umano del Cauca.

La Direzione Nazionale degli stupefacenti accoglie un concetto soprattutto poliziesco di tolleranza zero, senza interpretare la legge nel suo significato completo che include chiari limiti, come il rispetto dei diritti umani e il rispetto dei valori culturali del consumo tradizionale. E l’INVIMA che finisce col cedere, forse come dicono gli indigeni per le stesse pressioni della Coca Cola, e si precipita ad adottare delle misure, pur non avendo, come si dice familiarmente, nessun pane che sta bruciandosi nel forno.

Non sono stati forniti argomenti, improvvisamente vi è stata una applicazione selettiva di norme senza criterio giuridico, un semplicismo del quale hanno finito con l’essere vittime soprattutto gli indigeni e le popolazioni più vulnerabili del paese. Dobbiamo forse ricordare a questi enti che la coca non è cocaina e che, se può farlo la Coca Cola, non sarebbe forse nostro dovere nazionale e umano aiutare questi indios del Cauca a fare sì che possano anche loro?

Osservatorio Internazionale per i Diritti - www.ossin.org

LA STORIA NERA DELL'ACQUA NERA da tmcrew.org

 
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Un blog di: navigantegd
Data di creazione: 22/02/2007
 

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La tenuta agricola di Vicarello, che si estende per 1.015 ettari sul lago di Bracciano, costituisce una testimonianza preziosa del paesaggio agrario della Tuscia meridionale. Boschi di castagno, ville imperiali, terme millenarie, oliveti secolari, antichissime opere idrauliche, villaggi sommersi dalle acque ne fanno uno degli ultimi esempi di quella fusione tra segni dell’uomo e segni della natura che costituisce la bellezza e insieme la ricchezza del nostro territorio. Ma Vicarello non rappresenta solo testimonianza e memoria viva di un passato, ma anche una realtà socio-economica su cui negli ultimi trent’anni si sono scontrati gli interessi dei pochi e le legittime aspirazioni dei molti. Passaggi di mano di proprietà, minacce di colate di cemento più volte bloccate dalla società civile e dalla parte migliore delle istituzioni, degrado progressivo del suo patrimonio agricolo sono la storia contemporanea di Vicarello. Ora, recenti notizie sulla vendita da parte della banca di investimento inglese che ne detiene la proprietà e l’interesse dichiarato di grandi gruppi finanziari per i quali Vicarello rappresenta esclusivamente una fonte di profitto da sfruttare secondo i criteri del massimo utile e non certo della compatibilità con la storia, la memoria e l’ambiente, ci spingono a mobilitarci in difesa di questo patrimonio di tutti. Noi cittadine e cittadini riteniamo che solo l’acquisizione e la destinazione pubblica della tenuta di Vicarello, l’utilizzazione rispettosa del suo patrimonio architettonico, la riapertura degli impianti termali, attraverso l’avvio di un percorso virtuoso che veda insieme i Comuni del territorio, già impegnati peraltro da un protocollo firmato nel 1999, le Province di Roma e Viterbo, la Regione Lazio e il Parco di Bracciano, le Università e le istituzioni di ricerca, possano dare ai cittadini un luogo in cui sperimentare, alle porte di Roma, un processo di utilizzazione integrata delle risorse turistiche, agricole, ambientali e paesaggistiche che spezzi la monocultura del cemento. Un’operazione basata sulla difesa dei beni comuni (acqua e terra in primo luogo) che può costituire un primo passo di una diversa economia, di lunga prospettiva, un cambio di paradigma che inizi a mettere da parte un modello di sviluppo i cui guasti, anche economici, sono sotto gli occhi di tutti. settembre 2007
 

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