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« Pastori 'resi' buoni

Note a margine sul testo ‘apparentemente illusorio’ di Dawkins

Foto di umbertodelgiudice

 

Pubblico un mio breve intervento a conclusione di un'attività seminariale con una classe di studenti che ha letto e commentato L'illusione di Dio di Richard Dawkins. Spero che vi saranno commenti che mi aiutino ad approfondire la questione in prospettiva di una pubblicazione più congrua sul tema. Il testo è stato creato più come una bozza: il lettore mi scurerà per imprecisioni e refusi.

____________________________________________

 

Ho letto con voi l’intero libro di Richard Dawkins nella sua traduzione italiana[1]. L’illusione di Dio è un libro che segue altri scritti[2] tutti di carattere divulgativo e concernenti alcune delle teorie tra le più diffuse sull’origine della vita (cosmologica ed antropologica) ed il suo ‘progresso’. Il libro che però abbiamo letto aveva una caratteristica diversa rispetto agli altri scritti di Dawkins; The God Delusion offre delle riflessioni che hanno una pretesa in più: quella di asserire la non esistenza (o l’inutilità) di un essere superiore e creatore che potremmo chiamare Dio. Sintetizzo qui alcune riflessioni che voglio condividere alla fine di questo percorso seminariale. Le questioni riguarderanno tre tematiche fondamentali: la forma, il contenuto ed una possibile (prima) critica.

 

La forma

Ø  Titolo: sono da rilevare due differenze tra il titolo in inglese e quello in italiano. L’autore nel titolo in inglese scrive ‘Delusion’ reso in italiano dall’editor con ‘illusione’. La traduzione è lecita, tuttavia non si riesce a comprendere perché non sia stato reso col sostantivo ‘delusione’ anche in italiano. D’altra parte in inglese esiste il sostantivo ‘Illusion’ che rimanda proprio ad una accezione più legata al mondo immaginario che a quello della ‘delusione’; quest’ultimo termine ha un rimando più alla ‘frustrazione di una mancata speranza’. A stimolare la curiosità è il sottotitolo dell’edizione italiana che nell’originale semplicemente manca (Le ragioni per non credere). Sulla traduzione del titolo niente da dire anche se forse l’autore voleva rimarcare una ‘disillusione’ propria dei ‘credenti’ messi davanti alle tesi sostenute nel suo scritto. Rimane curioso però l’aggiunta del sottotitolo che dice quanto il mestiere di editor debba tener conto anche della dimensione accattivante di uno slogan; il titolo, infatti, è seducente, mentre il testo tende a rimanere una sonora illusione dell’autore ed un altrettanta acuta delusione per il lettore avvezzo ad articolazioni riflessive, a paradigmi espositivi e a toni ben diversi. Nei punti seguenti tento di piegare perché.

Ø  La retorica: leggendo il libro per intero (la qual cosa è già una soddisfazione personale e professionale giacché così facendo non si cede all’inutile pedanteria faziosa del testo) ciò che mi ha maggiormente sorpreso è stato lo stile tremendamente divulgativo e orrendamente offensivo. Mi spiego. Circa il carattere divulgativo del testo ho poco da dire se non due punti: a) è lecito a chiunque scrivere delle proprie convinzioni (e ci mancherebbe) b) ma da un divulgatore scientifico (nonché biologo, etnologo e professore di Università) mi sarei atteso più una riflessione in relazione ad un ragionamento interdisciplinare (tra biologia e filosofia/teologia) sul concetto di ‘natura’ piuttosto che un panegirico sul demerito della religione e dei credenti (entrambe queste due ultime realtà, tra l’altro, non tolgono né mettono niente, coi loro vissuti, alla questione fondamentale della teodicea). Dal punto di vista della retorica in senso intensivo non posso non accennare al fatto che l’autore spesso non solo manca di veri argomenti riflessivi ma tesse tutto il ‘dire’ con un atteggiamento, oltre che semplicemente ironico, abbastanza offensivo rispetto ad una realtà (quella della religione e dei credenti) che indubbiamente va aiutata nel ‘depurarsi’ da sovrastrutture inutili ma che (considerando che alcuni miliardi di persone si autodefiniscono ‘credenti’) certamente non va affrontata con faciloneria offensiva. E tutto questo nonostante quell’iniziale paragrafo sul ‘rispetto meritato’ (deserved respect) da attribuire alla dimensione religiosa, che in realtà si definisce e si esaurisce in un non meglio specificato sentimento generalista meravigliato davanti alla (complessità della) Natura. Credo che ciò che rende un libro tale non è tanto la verità che esprime, quanto la capacità che l’autore ha sia di esprimersi in una verità, sia di farlo nei termini più concreti possibili. Ed è concreto colui che non usa la ‘sua’ verità come pretesto per offendere gli altri nonostante la nitidezza e chiarezza delle sue responsabili affermazioni. Tuttavia si comprende il tono non pacato di Dawkins solo in relazione al contesto cui è principalmente destinato il testo: quello del conservatorismo integralista teologico statunitense, da una parte, e del fondamentalismo biblico, dall’altra.

 

Il contenuto

Nelle vostre esposizioni avete ben organizzato la sintesi di alcune idee chiavi del testo (anche se forse maggiore puntualità nel contenuto e nelle definizioni sarebbe stata auspicabile). In fondo però tutto il testo si racchiude dietro due concetti che secondo l’autore sono opposti poiché uno è pro-ateismo e l’altro è pro-teismo (o meglio è quello propinato –secondo Dawkins– dai teisti). Ecco i due concetti:

Ø  Selezione naturale (Natural selection). Uno dei principali argomenti di Dawkins contro la possibile[3] esistenza di Dio è la cosiddetta ‘selezione naturale’. Concetto da voi ben conosciuto e su cui non mi dilungherò riservandomi di riprenderlo nella sezione ‘critica’.

Ø  Complessità irriducibile (Irreducible complexity): è la convinzione che vi sia necessità di un progetto intelligente attuato da un essere superiore; si oppone al concetto di selezione naturale.

 

 

‘Una’ possibile critica

Qui di seguito riporto solo alcuni appunti di alcuni punti critici (senza alcuna pretesa di essere esaustivo):

Ø  Selezione Naturale: diventa la vera ‘pozione magica’ più che una spiegazione della possibile assenza di Dio; è una "formula magica" che è stata resa ridondante e inutile da una conoscenza crescente dei poteri della selezione naturale. Utilizzando la terminologia di D. Dennett, Dawkins sostiene che gli dèi sono come degli skyhooks, ganci appesi al cielo: essi richiedono più spiegazioni di quelle che offrono. «Le gru sono dispositivi esplicativi che effettivamente riescono a spiegare tutto. La selezione naturale è la gru campione di tutti i tempi» (73). Pertanto, sostiene Dawkins, «la risposta del teista è profondamente insoddisfacente, perché lascia l’esistenza di Dio non spiegata» (143). Questa argomentazione può essere valida contro i sostenitori del Disegno Intelligente che guardano alla "complessità irriducibile" nel mondo naturale per argomentare circa un possibile ‘progettista divino’ (un progettista la cui esistenza deve poi, secondo tale logica, richiedere una spiegazione), ma non tiene conto di coloro la cui fede in Dio è informata dalla scienza evolutiva e da altri saperi, la cui comprensione di Dio non è fissa, statica e dipendente da una comprensione letterale della Bibbia, e il cui Dio non è un "Dio tappabuchi" ma un Dio nel e del mondo. Per molti, Dio naturalmente è "spiegazione", ma non ‘uno’ che sta sopra e contro la selezione naturale. Dawkins invece usa la ‘selezione naturale’ come unica possibile soluzione anche dell’inizio della vita: al contrario una seria teoria della ‘selezione naturale’ comprende bene che tale ‘selezione’ non si autogiustifica in quanto al suo ‘principio naturale’. Qualcuno ha anche tentato, a mio parere senza riuscirci molto, una critica antropologica della selezione naturale[4]. Il ragionamento è il seguente: ‘noi possiamo protenderci dal familiare al non familiare, ma siamo noi stessi che ci estendiamo, e non c’è alcuna garanzia che tale nostro allungamento abbia una capacità di estensione infinita. Un uomo può correre un miglio in quattro minuti, per esempio, ma non riuscirà mai a correre un miglio in due minuti’. Un darwiniano, allora, dovrebbe dubitare anche delle sue certezze basati sulla selezione, tra cui gli attributi e i poteri mentali, e cogliere che tali paradigmi scientifici non possano fornire una visione totalmente esaustiva della realtà fisica almeno nel suo ‘incipit’. Le ‘schermate’ su questa questione non sono mancate neanche di recente: in una lettera ad Odifreddi[5], papa Ratzinger, con un po' di malizia, cita le teorie di Dawkins come «un esempio classico di fantascienza» spacciata per scienza. Uno dei padri dell’evoluzionismo, Jacques Monod (1910-1976), nota ancora non senza umorismo Benedetto XVI, nel suo fin troppo famoso “Il caso e la necessità”, «ha scritto delle frasi che egli stesso avrà inserito nella sua opera sicuramente solo come fantascienza». Papa Ratzinger ne cita una: «La comparsa dei Vertebrati tetrapodi... trae proprio origine dal fatto che un pesce primitivo “scelse” di andare ad esplorare la terra, sulla quale era però incapace di spostarsi se non saltellando in modo maldestro e creando così, come conseguenza di una modificazione di comportamento, la pressione selettiva grazie alla quale si sarebbero sviluppati gli arti robusti dei tetrapodi. Tra i discendenti di questo audace esploratore, di questo Magellano dell’evoluzione, alcuni possono correre a una velocità superiore ai 70 chilometri orari...». «Non potendo dimostrare questa storiella, Monod, come tanti evoluzionisti, ha prodotto tecnicamente fantascienza, e neppure della migliore qualità» (Introvigne). Questa ‘battuta’ di Ratzinger non vuole essere esaustiva ma richiama un problema che va risolto in sede scientifica ed ermeneutica. In altre parole, la stessa teoria della selezione naturale è un buon paradigma scientifico ma non risolve tutti i problemi che la realtà che oggi vediamo ci pone circa la sua ‘essenza’ e la sua ‘natura’. Risolvere tutto ed in modo categorico –come fa Dawkins– con la ‘selezione naturale’ è più fideistico di un atto di fede. Questo non significa che non vi sia stata ‘una’ selezione naturale ma vuol dire però che da solo questo paradigma scientifico non risolve i problemi intrinsechi alla ‘forza della natura’ ed alla sua ‘propria energia’ ed al suo ‘inizio’. Fare della selezione naturale un assoluto, come fa Dawkins, è un altrettanto salto nel buio come lo è quello della fede senza alcun fondamento storico. Le sole tesi evoluzionistiche che si estendono non solo al progresso naturale ma anche all’inizio della vita portano in fondo a ‘credere’ nella pura e semplice selezione naturale facendo un salto ‘logico’ abbastanza ingenuo; al contrario finora la scienza ancora non ha una conoscenza approfondita di questioni circa le origini dell’evoluzione cosmica (ad es. come hanno fatto le particelle fondamentali, gli elementi costitutivi della materia, ad arrivare casualmente a tanto?[6]) o le radici della vita (come hanno fatto tutti gli elementi necessari per le attività della vita ad unirsi?). In altre parole, ancora non abbiamo alcuna prova scientifica solida per accantonare la cosiddetta creazione ex nihilo, che rimane una questione scientifica ma anche filosofica e teologica. D'altra parte, i processi in corso di evoluzione dell’Universo e della vita sono ormai fatti scientifici ben definiti che servono come elementi essenziali di quella che possiamo chiamare ‘creazione permanente’. Altro è credere, come fanno i fondamentalisti, al mito adamitico senza una comprensione ed una critica storico-letterale del testo. Dio non ha mai creato il mondo in sei giorni: ma questo ormai è chiaro! Dawkins sembra però non ricordarlo minimamente.

Ø  Le immagini demoniache di Dio: qualche tempo fa uno psichiatra tedesco ha delineato quelle immagini ‘demoniache’ che ci portiamo dentro di quello che poi chiamiamo ‘Dio’[7]. La ricerca –oltre a mettere in evidenza i limiti di una religiosità distorta anche in campo cattolico– evidenziava come siamo propensi a trasferire i nostri vissuti su quello che poi chiamiamo ‘Dio’ declinandolo così:

•             Il Dio che giudica e punisce: è il “super-Dio”, giudice minaccioso che fa esclamare al singolo: «mi hai defraudato della possibilità di sentirmi qualche volta in regola, riappacificato con me stesso, del tutto a mio agio…», simile al Dio carnefice. Vi si collega il carattere punitivo che emerge dall’associazione tra peccati e malattie inerenti alcune parti del corpo.

•             Il Dio della morte: formata spesso fin dalla fase prenatale, questa immagine è determinata molto dall’atteggiamento dei genitori nei confronti del nascituro o del neonato. Il messaggio subdolo sta nel non sentire la propria vita accettata dagli altri e quindi neanche da Dio.

•             Il Dio contabile e legalista: è un demone privo di sentimenti e senza cuore come un giudice inesorabile (assimilabile alla mamma che fa la spia e al papà che punisce!). La norma è percepita come controllo e non come guida e aiuto divenendo assillo per il malcapitato che così “combatte il peccato” fino ed oltre lo scrupolo poiché «anche se nessuno conosce i tuoi peccati Dio li vede e ti punirà».

•             Il Dio dell’efficienza che esige efficienza: è un Dio apparentemente buono poiché chiedendo l’annichilimento totale del soggetto attraverso l’efficienza, mezzo per l’acquisto della stima da parte di Dio, questo demone ottiene l’autodistruzione del soggetto stesso spingendo al «bene senza misura».

Vi ho riportato queste immagini poiché sono proprio quelle contro cui Dawkins sembra combattere: purtroppo lo fa rivelando ancora una notevole ignoranza circa i testi biblici, la loro Formgeschichte, la loro Redaktionsgeschichte e la loro Tradiktionsgeschichte. Questo lo si deduce soprattutto dalle sue narrazioni circa alcuni miti biblici: cita il mito adamitico, il (mancato) sacrificio di Isacco. La sua scarsa attitudine ad una interpretazione ermeneutica (che potremmo chiamare anche come ingenua presunzione) si ‘allunga’ fino ai testi dei primi cristiani: cerca di trattare il peccato originale secondo Agostino con scarso risultato (dimenticando di citare la questione pelagiana contro cui Agostino argomentando sul cosiddetto peccato originale afferma la gratuità della grazia non la necessità del peccato). Insomma Dawkins fa teologia quando non è capace di farla non perché non ha i titoli ma perché manca di strumenti filologici, storici, analitici per comprendere sia la Bibbia sia gli errori degli stessi cristiani (e credenti in genere) fondamentalisti.

Ø  Il fondamentalismo. È il vero ‘peccato capitale’ tanto dei teisti quanto degli atei. Il fanatismo non comprende la totalità dei fenomeni; ora questo limite chiude alla realtà qualsiasi essa sia: gli scienziati fanatici si chiudono alla complessità del fenomeno della vita e del fenomeno religioso; i credenti fanatici si arricciano in un improponibile dogmatismo contro le evidenze scientifiche. Entrambi i gruppi di ‘fanatici’ precludono a loro stessi la possibilità di vedere ‘altro’.

Ø  La questione circa la verità: la verità circa l’esistenza di Dio non potrà mai essere né dimostrata né smentita dal punto di vista scientifico; questo per un duplice motivo. a) Sia il microcosmo che il macrocosmo potranno sempre essere ulteriormente investigati (osservato il primo sezionato il secondo); b) la ricerca scientifica coglie una parte della realtà: quella che vuole vedere. La scienza, infatti, coglie la natura in un campo semantico che è quello empirico: la natura è quella che vedo. Ma tradizionalmente facciamo sempre riferimento ad un’altra accezione di ‘natura’: non tanto quello che appare, ma che quello che è ed il fine naturale di questo o quello ‘ente’ naturale. In altre parole il concetto di natura è profondamento diverso se accostato dalla scienza, dal diritto, dalla psicologia, dalla filosofia o dalla teologia. In questo senso la verità della natura non è posseduta da nessuna di queste discipline ma tutte vanno integrate in un discorso interdisciplinare che oggi è appena agli inizi.

Conclusione

Mi aspetterei da Dawkins –e da altri studiosi come lui– una riflessione su ciò che la biologia intende per ‘natura’ tentando così di delineare un ‘dialogo’ anche riformatore rispetto alla visione credente senza per questo offenderla del tutto. A chi poi dice che l’esperienza religiosa è solo una questione ‘mentale’ ricordo che la scienza studia i fenomeni e nessuno si sognerebbe di dire che la religiosità non è un fenomeno umano e sociologico comune. Per quanto poi riguarda la possibile esistenza di Dio ricordo che essa è una ‘verità’ non oggettivabile poiché se lo fosse ciò che sarebbe ‘oggetto della nostra conoscenza’ non sarebbe più Dio. D’altra parte però bisogna ricordare che di Dio si può fare esperienza e nell’esperienza diventa ragionevole coglierne l’esistenza. Che tipo di esperienza serva è tutt’altra questione che va approfondita ulteriormente. Mi basta però concludere con alcune idee chiavi, le mie:

Ø  L’evoluzionismo non è il contro creazionismo e viceversa (tra l’altro è giusto sapere che questa è una affermazione anche del Magistero ufficiale della Chiesa cattolica, contrariamente a quanto affermato).

Ø  Non va confuso lo studio dei fenomeni con la riflessione sul fondamento: i fenomeni (la vita umana, il cosmo…) non riescono da soli a dire tutto della vita che semplicemente ‘è’.

Ø  Il concetto di natura è (almeno) triplice: è fenomeno per la scienza; è questione per la filosofia; è grazia per la teologia. Questo non toglie che è probabilmente il vero oggetto di studio che può unire in una ricerca interdisciplinare queste varie discipline.

Ø  Il fenomeno religioso in generale da solo non dice nulla sulla possibile esistenza di Dio ma va studiato per ciò che è: un fenomeno umano e sociale.

Ø  La verità non si esaurisce ma si esperisce: il solo studio del fenomeno non rende capaci di accedere alla ‘verità’ che è sempre frutto di una ‘relazione’ tra chi guarda e colui (o la cosa) che è guardata.

Ø  La sola forza della vita (alias selezione naturale) può essere ‘studiata’ ma se ‘isolata’ non ha senso.

 

Partendo da questi presupposti comuni si sta iniziando una ricerca proficua. Ma alcuni se lo sono dimenticati (come Dawkins e Odifreddi…).

I principi che sopra ho esposti meriterebbero da voi un maggiore approfondimento.

 

 

© 2014 Umberto Rosario Del Giudice



[1] R. Dawkins, L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Milano 2007 [tit. or. Id., The God Delusion, London 2006].

[2] The Selfish Gene (1976-1989); The Extended Phenotype (1982); The Blind Watchmaker (1986); River Out of Eden (1995); Climbing Mount Improbable (1996); Unweaving the Rainbow (1998); A Devil's Chaplain (2003); The Ancestor's Tale: A Pilgrimage to the Dawn of Evolution, (2004).

[3] Lascio da parte la distinzione che l’autore fa tra le varie forme di ‘possibilismo’ o ‘agnosticismo’ (da voi tra l’altro ben spiegato) poiché di fatti in tutto il testo l’autore usa una retorica che rimanda a categorie non possibiliste. Qui semplicemente mi adeguo.

[4] Cfr. M. Ruse, Can a Darwinian Be a Christian? The Relationship Between Science and Religion, New York-Cambridge 2000, 141.

[5] Piergiorgio Odifreddi, la versione italiana di Dawkins e suo amico, dopo avere pubblicato un libro intitolato «Caro Papa ti scrivo», si è visto arrivare un’inaspettata risposta dal Papa Emerito.

[6] Da notare che Dawkins scambia il concetto di ‘caso’ con quello di ‘selezione naturale’: è proprio così scontato?

[7] Cfr. K. Frielingsdorf, …Ma Dio non è così. Ricerca di psicoterapia demoniache di Dio, Cinisello Balsamo 1995.

 
 
 
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Data di creazione: 07/05/2011
 

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