Stamani leggendo il post di un amico mi è venuto in mente mio padre.
Papà era un uomo mite, a volte l'ho pure giudicato pusillanime. Era diventato "l'uomo di casa" a 10 anni.Nonna a 29 anni rimase vedova con cinque figli.Papà era il più grande. Come si usava allora andò a lavorare.
Uomo intellettualmente curioso proseguì gli studi da grande quando , finalmente , ne ebbe la possibilità. Da lui e da nonna ho ereditato l'amore per i libri.
Ma l'eredità più bella che mi ha lasciato papà è la mancanza di paura dell'"altro", del "diverso".
Sigfrido, questo era il suo nome, comunista, ateo, metteva in pratica tutti i giorni svariati precetti del vangelo.
Un ricordo per tutti: quando ero bimba ancora i poveri bussavano alla porta per chiedere l'elemosina.Spesso erano zingari che mandavano i bambini.
Papà invariabilmente apriva.Se era ora di pranzo faceva entrare chiunque bussasse alla porta e lo metteva a tavola con noi. Questo dividere il cibo mi è rimasto dentro come un bisogno che si esprime nel nutrire tutte le creature, umane e non, che passano da casa mia.
Sigfrido lavorava in un manicomio. Aveva cominciato a lavorarci nel '54.Erano anni in cui all'ospedale psichiatrico entrava un sacco di gente che non aveva motivo di stare lì. Spesso, la domenica, quando i parenti andavano a trovare i ricoverati, papà portava a casa qualcuno dei "pazienti" che non aveva nessuno.
Ho imparato a muovermi così avendo ben presente quanto è sottile il velo che divide i cosidetti "normali" dagli altri.E anche di questo gli sono immensamente grata.
Sono felice di averlo potuto accompagnare nella morte, leggendogli pezzi del Bardo Thodol ( il libro Tibetano dei Morti ), così come lui desiderava.
E sono felice di ritrovare in mia figlia tratti della dolcezza del nonno con cui da piccina ha passato tanto tempo mentre io ero al lavoro.