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Creato da IlCercatoreDiParole il 17/12/2008

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Storie di vampiri e non solo

Post n°24 pubblicato il 06 Agosto 2009 da IlCercatoreDiParole
 

Mi sono dedicato per buona parte del giorno alla lettura di un celebre romanzo: Dracula, di Bram Stoker.
Trovo che sia una letteratura intensa e inquietante, ricca nella forma e nei contenuti: da tempo non mi capitava di imbattermi in parole così fluide e stupefacenti.
Molte storie sono talmente famose da essere ormai ricoperte da uno strato di polvere; un comprensibilissimo sentimento di noia ci avvolge ogniqualvolta, in libreria, scorriamo con gli occhi lo scaffale dove sono riposti i classici. Chi non ha vissuto un’esperienza del genere? Pensate a titoli come I promessi sposi, La montagna incantata, La Divina commedia, Guerra e pace, Delitto e Castigo, Il nome della Rosa, e potrei continuare. A chi attribuirne la responsabilità? Non ultima, è stata la scuola a renderci nauseanti simili capolavori. Al liceo (ormai sono passati dieci anni!), avevo un insegnante che mi ha fatto amare la letteratura attraverso gli autori contemporanei, quasi miei coetanei. Credeva, il Professore, che proporre scritture giovanili fosse un ottimo viatico per intraprendere letture di volta in volta più impegnative. Non si può partire subito con Proust, però ci si può arrivare passo dopo passo (step by step, per usare un’odiosissima espressione oggi in voga). Per carità, non è mia intenzione assegnare tutte le colpe all’istituzione scolastica. Anche il lavoro è ladro di tempo ed energie vitali, annichilisce la creatività e ci rende poco inclini a trascorrere il poco tempo libero piegati su tomi di letteratura classica. Per non parlare della televisione e di internet; forse il progresso è diventato il diavolo dei tempi moderni. Il linguaggio è sempre più veloce, condito di inglesismi e di acronimi di ogni tipo: una lettura ricca di particolari non ci permette di rilassarci fino in fondo. Il cervello deve essere vuoto, sgombro di pensieri. Insomma, è meglio facebook!
Dracula di Stoker è una storia di vampiri, resa celebre dalle innumerevoli versioni cinematografiche che sono state prodotte. Leggendo il romanzo ci si rende conto della straordinarietà dello scrittore, della potenza evocativa di cui è farcita ogni pagina della narrazione. Sembra quasi di essere lì, di camminare per i cupi corridoi del castello del Conte in Transilvania, o per le vie di una Londra ottocentesca infestata dalla presenza spettrale del vampiro. Non so perché, ma ho come la sensazione che la figura del Conte Dracula ispiri nel lettore una certa simpatia, benché in fin dei conti si tratti di un demone (quindi, un rappresentante del maligno) e malgrado lo scrittore ne dipinga un ritratto tetro e ripugnante.
Forse la ragione di tale stranezza si riallaccia alla mia prima impressione: certi romanzieri hanno un talento così raro che la loro penna riesce a rendere invidiabile perfino la miseria, o mirabile la malvagità.
Nel romanzo Il Maestro e Margherita, scritto da un altro genio della letteratura, il male si rende necessario al bene. A una simile conclusione, del resto, era giunto molti anni prima Eraclito di Efeso, predicando che se non ci fosse il male, non potremmo nemmeno essere coscienti del bene, dal momento che resteremmo sprovvisti di uno dei due termini di paragone.

 
 
 

Il limbo

Post n°23 pubblicato il 05 Agosto 2009 da IlCercatoreDiParole
 


Rileggendo i miei scritti, mi sono accorto come il termine “limbo” ricorra in modo abbastanza frequente. Non posso certo affermare che si tratti di una scoperta sensazionale, e nemmeno sorprendente, però sono rimasto perplesso.
In primis, che cos’è il limbo? Semplice, il luogo descritto da Dante nell’Inferno.

Se non erro, è raffigurato come un colle, e accoglie tutti gli spiriti che non hanno ricevuto il battesimo cristiano. Ci sono, per esempio, i filosofi greci, insieme ad illustri personaggi storici accomunati dal fatto di essere nati prima di Gesù Cristo.
Per scrupolo, ho aperto l’enciclopedia universale Garzanti, che riporta la seguente definizione di limbo: “nella teologia cattolica, il luogo nel quale i giusti dell’Antico Testamento e del paganesimo attesero, dopo la morte, la redenzione operata da Cristo. Nella tradizione teologica post-agostiniana, oggi abbandonata, è il luogo (“l. degli infanti”) che accoglie i bambini morti senza battesimo”.
Nel mio caso, l’associazione d’idee più comune suscitata dalla parola “limbo” è leggermente diversa.
Per fare ulteriore chiarezza, ho continuato la mia breve ricerca filologica, affidandomi questa volta alle pagine profumate di un vecchio dizionario (lo Zingarelli). Qui si evidenzia un particolare interessante nella definizione del limbo: “…soggiorno delle anime di coloro che sono morti portando la sola colpa del peccato originale…”.
In conclusione, si tratta di anime innocenti, la cui unica colpa, paradossalmente, non può essere loro attribuita! In senso figurato, invece, il limbo è inteso come “luogo, stato, ambito, condizione o situazione non esattamente definita né definibile”.
Eureka! Credo che nel mio vocabolario parlare di limbo equivalga a descrivere una situazione di indeterminatezza (nella quale mi trovo?), anche se non sono capace di guardare oltre, di compiere l’ultimo epico sforzo che valga a contestualizzarla.

Beh, forse è meglio che niente: prendere atto di situazioni o circostanze è già un ottimo punto di partenza nel percorso che porta a conoscere se stessi.

 
 
 

Gli ambasciatori

Post n°21 pubblicato il 04 Luglio 2009 da IlCercatoreDiParole
 

Quando ho varcato per la prima volta l'ingresso della National Gallery a Londra, sono rimasto affascinato da un'infinità di particolari, oltreché dalla bellezza dei capolavori in essa custoditi.

Ricordo, per esempio, ciò che lessi su un cartello affisso in prossimità dell'entrata. Recitava più o meno così: "i dipinti qui custoditi sono patrimonio dell'umanità. Affinché tutti possano ammirarli, non è richiesto l'acquisto del biglietto".

Se dovessi trovare la parola che meglio esprime il significato di questa frase sceglierei senza ombra di dubbio il termine "equità". So che è un'esprssione retorica, ricorda i libri di scuola e l'educazione civica. Qui mi riferisco al senso profondo del termine, "la giustizia del caso singolo".

Ma torniamo a Londra.

Non riuscirei mai a stilare una classifica dei dipinti esposti nel prestigioso museo londinese. In primis, perché non sono riuscito a vederli tutti; in secundis, perché la magnificenza di ciascuno li rende incomparabili.

Ne ricordo uno, che più di altri mi ha suscitato pensieri e riflessioni ancora vive a distanza di anni. Il ritratto di cui parlo raffigura "Gli Ambasciatori", ed è stato dipinto da Hans Holbein verso la metà del Cinquecento (in pieno rinascimento).
Ho letto qualche informazione su internet per rinfrescare la memoria, ma non voglio trascriverle perché sarebbe un tedio infernale.
La critica d'arte è una materia che allontana le persone dall'arte, impedisce di apprezzare i dipinti in assolutà libertà.

Volevo invece scrivere che i due ambasciatori hanno una caratteristica peculiare: lo sguardo. Quello di destra ha gli occhi socchiusi, a testimonianza di uno spirito contemplativo. L'altro ha uno sguardo più vivace, esprime la tempra dell'uomo d'azione. Il diverso approccio alla vita si riflette nella profondità dello sguardo dei due illustri diplomatici.

Mai come in questo periodo sto realizzando quanto i due mondi siano distanti.
Mi torna in mente Italo Svevo, che alternava la vita dell'uomo d'affari a quella del letterato, sostenendo anch'egli che le due realtà fossero pressoché incompatibili.

Sono d'accordo. Scrivere richiede tempo, pazienza, tristezza, solitudine, felicità, introspezione. Attributi che intralciano irrimediabilmente la vita dell'uomo d'azione. Scegliere una strada richiede l'abbandono dell'altra.
L'alternativa?
Il limbo.

 
 
 

indovina indovinello...

Post n°20 pubblicato il 29 Giugno 2009 da IlCercatoreDiParole

Giusto due righe prima di infilarmi nel letto.

La luce dell'Est, ecco il titolo adeguato per l'immagine caricata come intestazione del blog. La precedente raffigurava una collezione di maschere veneziane, e rappresentava alla perfezione il mio spirito camaleontico, il mio carattere pirandelliano.Ciò che siamo non è definito, ma varia in funzione deil nostri innumerevoli interlocutori: volenti o nolenti, ciascuno si riduce a fare i conti con il giudizio altrui. La celebre canzone di Battisti, invece, racconta una storia che in un certo senso mi appartiene, sempre di più. Le similitudine riscontrate leggendo il testo sono davvero inquiteanti.

Penso che osservando con attenzione la foto, le sagome degli edifici che sorgono in lontananza, si possano ricavare indizi sufficienti per capire dove è stata scattata. Conservo molte altre foto del viaggio, alcune molto belle, ma infine ho deciso di caricare una delle poche che non avrei voluto scattare, perché stimavo un risultato non apprezzabile. Le circostanze in cui ci troviamo spesso ci inducono in errore. Così è stato, quello scatto si è rivelato uno dei migliori (per un profano della fotografia quale sono).

Chiudo con una chicca: "Non prendersi troppo sul serio è sinonimo di maturità".

 
 
 

vivere o... sopravvivere?

Post n°19 pubblicato il 27 Giugno 2009 da IlCercatoreDiParole

Non smarrire la propria creatività, sviluppare il pensiero laterale, coltivare lo spirito critico. Immaginare un’alternativa al percorso intrapreso, a prescindere dal fatto che questo ci piaccia o no. Ecco il mio consiglio per coloro che non intendono rinunciare a sentirsi vivi, protagonisti dell’esistenza propria e partecipi di quella altrui.

Non crediate, è sufficiente distrarsi un momento per precipitare in una fiacca dimensione atemporale, una sorta di limbo del pensiero (e della morale) dal quale è molto difficile fare ritorno.
Mi sto sforzando di impostare un ragionamento di carattere generale, che trascenda l’esperienza di chi scrive. Con alcuni piccoli accorgimenti, credo sia possibile scendere a compromessi con la società dei social network, degli happy hour, della televisione commerciale, del degrado morale, dell’ignavia generalizzata, dell’apatia politica dilagante. Parlo di compromessi perché l’unica alternativa sarebbe la ribellione, quali che siano le forme con cui tale opzione può essere esercitata.

Si parlava di compromessi. Ebbene, ecco alcuni rimedi della nonna: leggere con lentezza, assaporare la cucina tradizionale, gioire delle soddisfazioni intellettuali, corteggiare le donne con eleganza. E ancora: dedicarsi al bello (in ogni sua forma) e all’esercizio fisico, dormire nel week-end, uscire con un amico e discutere di politica.
Della politica vera, non di quella che raccontata dai giornalisti in televisione o sui quotidiani.

O forse è quella la politica dei giorni nostri?
Un coacervo di argomenti di scarsa rilevanza e del tutto privi d’interesse per i cittadini: sistemi elettorali, organizzazione dei partiti, scandali inauditi, anti-berlusconismo (Franceschini riesce a parlare d’altro?), corruzione, risibili proposte politiche (perché non cambiamo l’inno di Mameli?).
In una parola, la politica che parla di se stessa.

 
 
 
 
 

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