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Post n°139 pubblicato il 15 Novembre 2006 da thevitos
Il gioco dei tarocchi è il più antico gioco di carte italiano, fin dal Rinascimento giocato nelle corti, ma forse anche tra il popolo. Nei secoli successivi ebbe gran diffusione, in Italia e altrove. Ad esempio l’Austria, definita da Musil Kakania (dal doppio titolo nobiliare del suo sovrano, Kaiser und König, imperatore e re), era regolarmente chiamata anche Tarokania, per l’abitudine diffusa tra i funzionari del Sacro Romano Impero di giocare a tarocchi durante il servizio. Si giocava a tarocchi anche in Piemonte, naturalmente: fino agli anni Sessanta del secolo scorso in molte piòle (taverne) torinesi si disputavano partite a tre o quattro giocatori, così come in alcune zone del Monferrato si giocavano partite semplificate (gieugh curtt). Un mazzo logoro di tarocchi esiste ancora, per esempio, in qualche cassetto del circolo ricreativo parrocchiale di Montafia (AT). Il fascino di questo gioco, fin che durò, era dovuto anche alla bellezza delle carte dei tarocchi. Un mazzo famoso e preziosissimo, anche se incompleto, si trova al Museo del Castello Sforzesco di Milano, il famoso mazzo Visconti. Gli elementi essenziali del gioco Per continuare il discorso bisogna, adesso, introdurre gli elementi essenziali del gioco. I semi sono quelli classici di coppe, denari, spade e bastoni, con le rispettive figure di re, dama, cavallo, ma con in più il fante. A queste carte si mescolano i 22 tarocchi veri e propri, che funzionano come briscola o atout ogni qual volta si esaurisca un seme. Ed è proprio l’iconografia dei 22 tarocchi, o “trionfi”, che li rende particolarmente affascinanti. Nelle figure rappresentate in stile rinascimentale si possono trovare anche tracce di stili più antichi, dal romanico al gotico al bizantino. Il significato dei tarocchi, ognuno con un proprio nome oltre che un numero da zero a ventuno, risale a miti ed epoche molto antiche. Il Medioevo è evocato dalla contrapposizione tra il Papa (5) e l’Imperatore (4), tra la Papessa (2) e l’Imperatrice (3): è da notare che il valore di queste carte è più alto per la figura maschile, e che la lotta per le investiture vede primeggiare il Papa. Inoltre il tarocco più alto è l’Angelo (20), che evoca la suprema autorità di Dio. Esiste anche nei tarocchi il gusto per il “mondo alla rovescia”: così il Mondo (21) viene preso dall’Angelo (20), quasi a ribadire la superiorità delle cose celesti su quelle terrene; così la carta più piccola, il Bagatto (1), che rappresenta un calzolaio con il suo piccolo piano di lavoro, pur essendo al livello più basso della scala sociale, al momento del conteggio finale vale quanto un Re o l’Angelo. Lo zero poi, il Matto, rappresentato da una sorta di giullare a caccia di farfalle, vale quattro punti assicurati, in quanto serve a rifiutare la mano e viene direttamente incamerato dal giocatore cui arriva in sorte. Il “mondo alla rovescia” trova poi un’ulteriore verifica nel gioco vero e proprio: infatti, mentre per le cartine di spade e bastoni vale la regola “normale”, che la più alta prende la più bassa, per quelle di denari e coppe vale il contrario: le più piccole prendono le più alte. Le altre figure dei tarocchi hanno favorito l’uso improprio di queste carte, per le facili speculazioni dei cartomanti: gli Amanti (6), la Giustizia (8), la Rota di Fortuna (10), la Forza (11), l’Appeso (12), la Morte (13), il Diavolo (15). Nel gergo dei giocatori piemontesi le ultime due carte hanno dei soprannomi: bërlica fojòt (lecca pignatte) per il Diavolo, che, come è noto, fa le pentole ma può anche leccarle quando sono bollenti senza bruciarsi; Catlin-a per la Morte, che ha tramandato la fama di sventura al numero che la connota, il tredici appunto. I valori che hanno il sopravvento sono comunque quelli soprannaturali, rappresentati in una scala di ascesa di valori numerici, a mano a mano che si sale verso l’alto: sedici la Torre, diciassette le Stelle, diciotto la Luna, diciannove il Sole. |
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TAROCCO PIEMONTESE
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