Sul fatto che l’argomento sia vasto, non dubito. Il vero umanista doveva essere poliedrico e completo: ma non mitizziamo troppo il passato remoto piangendo la “bella età dell’oro” e guardiamoci attorno, in epoche più vicine a noi. Abbiamo molti esempi anche recenti di “umanisti completi”: scienziati che sono al tempo stesso musicisti, filosofi, pittori di talento, letterati.
Planck, laico ma discendente di una lunga dinastia di pastori luterani, ha donato delle pagine bellissime sul rapporto tra religione e scienza (poco conosciute in Italia, tanto per cambiare) ed era un buon musicista; come Einstein (celebre esecutore al violino), Heisenberg (pianista e chitarrista di valore, oltre che conferenziere e divulgatore), Gerhard Ertl (un premio Nobel che accompagna al pianoforte e all’organo il coro della parrocchia!). Da notare che finora ho trovato tutti autori tedeschi, di nascita e di formazione. Chissà perché noi italiani abbiamo l’abitudine di copiare il peggio da inglesi e americani, come la riforma della scuola (la vecchia elementare che diventa primaria, come l’anglosassone primary school) e dell’università…
Condivido l’analisi sull’iperspecializzazione e guardo con preoccupazione al fatto che (almeno un tempo) dell’iperspecializzato in un dato campo ci si poteva fidare e una minima cultura di base gli veniva garantita da un percorso formativo che non poteva rinunciare al raggiungimento di alcuni punti fondamentali (ho visto, quando ero scolaro, bambini bocciati all’esame di quinta elementare per “a” e “o” con “acca” e “senz’acca”). Oggi riscontro il pericolo di un grave cedimento: sotto la buccia dell’iperspecializzato - o se dicente tale – si corre il rischio che manchi la polpa o che, se presente, sia ancora troppo acerba senza possibilità di maturare (per i debiti formativi accumulati, più che per la mancanza di esperienza, farmaco non troppo efficace contro i primi mali). Al di là di questo ampio capitolo sul quale non mi dilungo ulteriormente, voglio spezzare una lancia a favore di qualche raro (ma presente!) docente di materie scientifiche interessato ad ambiti che potremmo definire umanistici: il contrario accade ancora più raramente (un’eccezione potrebbe essere il mio vecchio prof. di Lettere alle medie, grande amante e cultore dell’astronomia). Condivido anche l’analisi sulla “professionalità” o presunta tale che si trasforma in antipatia per la materia e la persona: è risaputo che più che per la preparazione o per i titoli, un docente è apprezzato dagli allievi per la sua capacità di suscitare empatia in essi. Senza empatia, nemmeno la persona più preparata a questo mondo riuscirebbe a trasmettere una virgola: e allora non resta altro che imporre nozioni seminando il terrore. “Non importa che mi odino, purché imparino”: quasi una parafrasi di Caligola (Oderint dum metuant)… io ho avuto un’insegnante così al liceo - fatalità, quella di scienze: e sono uno di quelli che, diplomatosi brillantemente al liceo scientifico, ha poi preferito optare per l’area umanistica, salvo rendermi conto poi non si può essere persone “di cultura” nel XXI secolo senza conoscere in modo non superficiale il progresso delle scienze (gli sviluppi più recenti della storia personale più o meno li conoscete; magari li “subite” anche).
Ed è vero anche che molti, usciti nauseati dalle scuole tecniche magari non si indirizzano verso il ramo coltivato, ma lo potano per crescere in altro. Ne ho uno splendido esempio guardando alla classe di mio fratello, perito elettrotecnico. Lui ora fa il contabile, una sua compagna è psicologa, un altro è laureato Consulente del lavoro, un altro ancora insegna chitarra, un altro è maestro di sci… qualcuno si è iscritto a ingegneria civile.
Indossare i paraocchi della professione e ignorare volutamente il resto depaupera certamente la persona nella sua Humanitas, fatta anche di relazioni con il mondo esterno alla vita professionale. Restare sbalorditi ascoltando una fuga di Bach o il canto di una cinciallegra, ammirando un tramonto piuttosto che una tela di Raffaello; indignarsi per gli scandali che travolgono persone che dovrebbero essere garanti della morale e del diritto è umano ed è doverosamente umano. L’homo faber è faber ma non pienamente homo. Certamente la professione in cui si esprime competenza e che esige aggiornamento è una componente della promozione della persona, ma non è la sola. Ai docenti di materie umanistiche è stato permesso di salvarsi fino a qualche tempo fa: diciamo che sono stati salvati da un’impostazione dell’istruzione (mi riferisco alla riforma di Gentile) e della cultura (in Italia, dominata dall’idealismo) che ha permesso loro di restare a galla. Non credo che questo “salvagente” possa sostenerli ancora per molto se non impareranno che oltre ad Ariosto o a Aleardo Aleardi bisogna leggere e conoscere anche Boyle, Redi o Cannizzaro. Ce lo insegnano Locke e Leopardi (guardate lo Zibaldone…), Goethe e (oltre a moltissimi altri) Cesare Cantù che nella sua Storia Universale ammoniva a non fermarsi a battaglie e condottieri, ma anche ad approfondire la Storia della Cultura, poiché essa è l’anima di un popolo. Vogliamo, noi italiani, continuare a dannare la nostra? (sapete che sono prolisso e questa volta mi son lasciato prendere la mano parecchio. Perdonerete il troppo e le troppe corbellerie, ormai mi conoscete. Sul tema era comparso qualcosa anche nel mio blog, stimolato da Mattia C. - mio compagno di corso - l'autunno passato). |