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Creato da: claudio_tiny il 19/02/2009
Storia e memoria della Maruska

 

 
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Il Cinema Teatro Ferri

Post n°11 pubblicato il 04 Novembre 2015 da claudio_tiny

Nel 1974 accadde un fatto che mutò profondamente la natura della Maruska: ci fu offerto di prendere in gestione il Cinema Teatro Ferri (uno dei due teatri storici di Gropello, l'altro era quello dell'Oratorio), e noi, dopo molte discussioni e assemblee degli iscritti, decidemmo di accettare.

I motivi per farlo erano più d'uno: innanzitutto per non far sparire per sempre uno dei pochi luoghi idonei a ospitare attività pubbliche (fossero spettacoli teatrali, riunioni o altro); inoltre, per avere la possibilità di organizzare eventi anche durante la cattiva stagione (d'inverno il cortile della Maruska non era utilizzabile); infine, per avere uno spazio più vicino al centro del paese, e quindi più accessibile a tutti.

Di contro, era evidente che la gestione di quella struttura richiedeva un impegno supplementare a tutti: si dovevano coprire più turni, si aveva bisogno di più gente. Inoltre, dal punto di vista economico era una scommessa non facile da vincere. Ma era un momento di grande crescita, c'era sempre più gente che partecipava alle attività e avevamo molta fiducia nelle nostre forze, così si decise di rischiare.

All'epoca, il Ferri (come comunemente veniva chiamato) era più che altro un cinematografo. Tre o quattro sere a settimana si proiettava un film (anche la domenica pomeriggio, mi pare, ma non ne sono del tutto sicuro). Nella cabina di proiezione sedevano a turno Bruno Giuliani e Renato Ferrari, a quanto ricordo. Oltre a uno di loro, il turno prevedeva un addetto alla cassa e uno o due al bar (a seconda delle serate).

Il livello dei film era quello che era, anche perché le pellicole si noleggiavano a gruppi: magari ti capitava un bel film insieme a tre o quattro boiate, e bisognava proiettarli tutti.

Già in quei tempi non è che ci fosse un grande afflusso (un po' in tutta Italia i cinema stavano entrando in crisi – ad eccezione di quelli a luci rosse…), se poi si proponevano dei film inguardabili si finiva per vedere due o tre persone sala, che si addormentavano oppure uscivano di soppiatto alla fine del primo tempo.

Ma a parte le proiezioni dei film, il teatro veniva utilizzato anche per serate da ballo (solitamente molto frequentate, erano quelle che alla fine rendevano di più) o per altre manifestazioni. Ne voglio qui ricordare un paio, che mi sono rimaste impresse nella memoria:

La mostra faunistica del 1975. In occasione della festa patronale, organizzata principalmente da Luciano Repetto, venne allestita una mostra faunistica, in cui vennero esporti centinaia o forse migliaia di uccelli impagliati, di tutte le specie immaginabili. La cosa straordinaria è che la mostra fu allestita nel corso della notte, al termine di una serata danzante. Terminate le danze, all'una di notte, la sala fu rapidamente sgombrata grazie al lavoro di decine di volontari, i tavolini e le sedie vennero riposti nel deposito laterale e sostituiti da bancali su cui poi vennero posati gli uccelli imbalsamati, ognuno con la sua targhetta esplicativa. Un lavoro certosino, che si concluse ben dopo l'alba. Il mattino seguente, alle dieci, la mostra venne inaugurata, e ancora oggi mi chiedo come facessero tutti quelli che avevano lavorato l'intera notte a essere presenti. Io, da parte mia, diedi una mano fin verso le tre o le quattro di notte, poi andai a dormire per potermi svegliare in tempo (eh sì, sono un dormiglione!)

Gli spettacoli della Befana. Per due anni consecutivi, il 1976 e il 1977, il giorno dell'Epifania organizzammo uno spettacolo teatrale, con scenette, monologhi e canzoni, il tutto eseguito da noi. Artefice degli spettacoli fu ovviamente (e non poteva essere altri che lui!) il Maestro Sergio Ventura, da sempre appassionato di teatro e che aveva alle spalle già molte esperienze simili. Buona parte delle scenette erano scritte da lui o da suo nipote, il già citato Walter Fontana. Gli attori o pseudo-tali erano parecchi, tutti frequentatori della Maruska. Avevamo persino l'orchestra, composta da (vado a memoria, potrei sbagliarmi su qualcuno di loro): Fulvio Maldifassi alla tastiera, Fabrizio Bernardotti alla batteria, Graziano Accomando alla chitarra solista, Giorgio Farina alla chitarra ritmica e non so più chi al basso (forse Martella, ma non ci giurerei). Oltre a loro, anche io, Dario e altri che non ricordo si esibimmo con la chitarra, eseguendo qualche canzone.

Di quegli spettacoli ricordo molti episodi divertenti (a dire il vero, l'intera preparazione – due mesi di prove – era uno spasso, non ci si annoiava mai, ogni prova era come ricominciare da zero). Ma due in particolare sono i ricordi che voglio riportare.

Il primo riguarda il noto duo comico Burroni-Lazzarin (al secolo, il geometra Enzo Burroni e Pierluigi Lazzarin detto Gigia), che in entrambi gli spettacoli decisero di organizzarsi da soli una scenetta in dialetto gropellese. Detto fatto, passarono settimane a scrivere e riscrivere il testo della scenetta, a limare e aggiungere, e ogni volta che la provavano la scenetta era diversa. Alla fine riuscirono a mettere giù un testo più o meno definitivo. La serata dello spettacolo, però, il buon Enzo era un po' teso e per aiutarsi bevve un whisky o due. Risultato: appena salì sul palco fu colto da un'amnesia totale. Del testo che avevano scritto con tanta cura non ricordò più nulla. Così si mise a improvvisare, e in poche parole i due inventarono una scenetta che non aveva nulla a che fare con quello che avevano scritto. Ma nessuno (a parte noi) se ne accorse, e la gente si divertì ugualmente.

Su questo episodio, lascio la parola allo stesso Enzo Burroni: La scenetta preparata con il buon Gigia fu da me completamente dimenticata, dietro le quinte feci in tempo a svuotare quasi una bottiglia di "Vecchia Romagna"; da lì l'amnesia che mi colpì... Mi ricordo anche una scena dove entravamo io e Gigia in bicicletta; lui faceva la donna e aveva uno scialle di lana in cui rimase impigliato il bottone del mio cappotto, al momento di scendere dalla bici fu un dramma. Il bello era che sembrava tutto preparato mentre l'effetto comico che ne sortì era del tutto imprevisto, il pubblico rideva di gusto e questo era quello che volevamo...

L'altro ricordo è riferito direttamente al Maestro Ventura. Nel primo spettacolo, nell'introduzione doveva apparire sul palco vestito da Befana, con una scopa tra le gambe, e cantare una canzoncina. Lui cantava la strofa, poi il ritornello lo facevamo tutti in coro.

Sì sa che il Maestro Ventura era un amante del Vecchia Romagna. Quella sera probabilmente esagerò, così quando salì sul palco era più di là che di qua. Maldifassi suonò l'introduzione, poi lui attaccò a cantare. Completamente fuori tonalità. Mentre lui cantava imperterrito in una tonalità tutta sua, il buon Fulvio tentava disperatamente di trovare quale tonalità fosse, ma senza riuscirci. Per fortuna sul ritornello entrammo noi e salvammo in corner la situazione.

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Ma sono tanti i ricordi divertenti che mi tornano alla mente. Ne cito alcuni (non è detto che più avanti non ne aggiunga altri, magari su suggerimento di qualcuno degli “interpreti” di allora).

I pompieri di Viggiù. Una celebre canzoncina che risaliva agli anni d'oro della rivista, e che interpretammo in coro, con dei copricapo da pompiere in cartone costruiti da Bruno Muzzi (questa me l'ha ricordata Gabriella Messori).

Il cavallo Panigali. Era uno dei protagonisti di una celebre scenetta del Maestro Ventura (tutta in rima baciata). Fu interpretato da Bruno Muzzi e Claudio Maran (se la memoria non mi inganna), che dopo estenuanti prove riuscirono a muoversi all'unisono sotto al manto del cavallo.

Gli spettacoli si chiamavano “Viene viene la Befana” (il primo) e “Siam tornati dopo un anno (senza fare nessun danno)” (il secondo), e ci divertimmo tantissimo a farli. Il teatro in entrambe le occasioni era pieno, e la gente se ne andò soddisfatta per aver trascorso una serata diversa dalle solite.


 
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