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Perfidie di Stefano Torossi

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Accidenti, è luned'


  IL CAVALIER SERPENTE

  Perfidie di Stefano Torossi

 29 aprile 2013

   ACCIDENTI, E' LUNEDI'


Il pericoloso argomento che andiamo ad affrontare oggi è il lunedì. Accidenti, è lunedì! Maledetto lunedì! E' di nuovo lunedì, si ricomincia! E così via imprecando.

E' certo che noi, come molti nostri lettori, apparteniamo alla fortunata categoria di chi esercita una professione, o un'arte, scelta e portata avanti con piacere. E questo naturalmente significa che per noi lavorare è giocare. E in più ci pagano. E' il massimo, ed è la condizione che ci fa accettare le nottate di angoscia prima dello spettacolo, o il panico di vedere un nostro progetto nel momento della realizzazione. Corrisponderà a quello che avevamo pensato? Soffre il compositore che, fino a che non sente suonare la propria musica, non sa realmente cosa diavolo ha partorito. Così il pittore davanti a una tela che più bianca non si può. O il regista, l'attore, l'architetto, eccetera eccetera.

Ecco perché ci sembra di entrare in un altro mondo ogni volta che viene fuori questo punto doloroso: il lunedì. Siamo davvero costretti a prendere atto che per la grande maggioranza della gente il lavoro è una condanna, non una scelta. E quindi avere uno, o anche due giorni ogni sette, in cui cancellare dalla propria esistenza questa maledizione diventa una benedizione. Ma, lasciatecelo dire a noi che abitiamo in pieno centro storico, nella zona dello shopping coatto, delle bancarelle della Befana, nell'area della passeggiata domenicale. I capifamiglia che vediamo passare sotto le finestre spingendo irosi le carrozzine o trascinandosi dietro mogli impennacchiate e bambini stanchi e frignanti ci sembrano tutt'altro che felici, tutt'altro che riposati, anzi ci par di vedere nei loro occhi il miraggio dell'officina a cui ritornare il lunedì per ricominciare una vita normale.

E allora? La letteratura, e spesso anche la cronaca nera, ci segnalano che per molti lasciare l'ambiente del lavoro e rientrare in quello familiare o sociale non è affatto un riposo. E' un trauma. Anzi spesso significa cadere nel calderone in cui ribollono la violenza domestica e talvolta il delitto.

Poi ci viene anche il sospetto che ci sia una strumentalizzazione dall'alto dell'istituto del riposo settimanale, un modo per togliere alla gente la libertà di decidere cosa fare del proprio tempo. Per fortuna il mondo cattolico si è evoluto un po' prima degli altri, e quindi l'obbligo della domenica (ma poi perché obbligare qualcuno a fare festa? Ci sembra una scemenza, anche se naturalmente ci rendiamo conto che è un modo per tutelare i sottoposti) si è notevolmente attenuato.

Ma pensiamo a quei paesi dove il quotidiano si identifica con la religione: e allora da una parte troviamo gli ultraortodossi per cui il sabato non si può neanche premere il pulsante dell'ascensore, perché questo atto è considerato un lavoro e sarebbe contro la legge divina; dall'altra ci sono i fedeli del profeta che bloccano tutto cinque volte al giorno per pregare, e poi una volta alla settimana, il venerdì, per la stessa ragione, e poi addirittura per un mese intero ogni anno  per seguire oscure pratiche medievali.  

E i vari giorni dei vari riposi delle varie religioni sembrano scelti per farsi dispetto gli uni con gli altri: una volta con il mondo a dorso di mulo o di cammello poteva anche andare bene, ma oggi con la comunicazione istantanea è un pasticcio dagli esiti infausti.

 

P.S. Stavolta, più che sul riposo, sul lavoro. Per una strana coincidenza, proprio in questo periodo parecchi nostri amici stanno facendo ristrutturazioni. La lamentela costante di padrone di casa ansiose, ma anche di architetti e ingegneri professionisti è sulla scarsa qualità del lavoro: piastrelle sbilenche, rubinetti fuori squadra, intonaci bitorzoluti, e così via. Nessuno sembra saper fare il proprio mestiere. Forse è colpa degli operai, o forse degli impresari che per risparmiare assumono a giornata rumeni tutto fare, ma tuttofare male. Fatto sta che i risultati sono invariabilmente scadenti.

Noi non sappiamo niente di muri a squadra o di coibentazione, ma quando ce ne andiamo a spasso per ruderi e ci cade l'occhio sulle vecchie strutture di tufo o marmo con le pietre ancora, dopo duemila, anni perfettamente connesse che non ci passa una formica, un pensierino ci frulla per la testa. All'epoca non c'erano macchine, tutto era fatto a mano. Ma se riuscivano a segare blocchi di travertino da tonnellate in maniera così eccezionale da resistere tutti questi secoli, un minimo di capacità ci doveva essere.

Oppure la qualità del lavoro dipendeva dall'uso (vagamente antisindacale, certo) della frusta, e magari anche dalla eliminazione dello schiavo incompetente?

 

 

 

 

 
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